Le scelte fondamentali di politica economica adottate per fronteggiare la crisi sono nascoste all’opinione pubblica, attraverso un «furto di informazione»… A dirlo, in una lettera-appello, è un gruppo di economisti, giuristi, intellettuali e docenti di diversa estrazione politico-culturale: Alberto Burgio, Mario Dogliani, Gianni Ferrara, Luciano Gallino, Giorgio Lunghini, Alfio Mastropaolo, Guido Rossi e Valentino Parlato.
articolo21.org
Furto al quale partecipano «le più alte cariche dello Stato» e che costituisce «un attacco di inaudita gravità alla democrazia».
«La politica – scrivono i firmatari della lettera – è scontro d’interessi, e la gestione di questa crisi economica e sociale non fa eccezione. Ma una
particolarità c’è, e configura, a nostro avviso, una grave lesione della democrazia». Per i promotori dell’appello «il modo in cui si parla della crisi costituisce una sistematica deformazione della realtà e una intollerabile sottrazione di informazioni a danno dell’opinione pubblica.
Le scelte delle autorità comunitarie e dei governi europei, all’origine di un attacco alle condizioni di vita e di lavoro e ai diritti sociali delle popolazioni che non ha precedenti nel secondo dopoguerra, vengono rappresentate, non soltanto dalle forze politiche che le condividono (e ciò è comprensibile), ma anche dai maggiori mezzi d’informazione (ivi compreso il servizio pubblico), come comportamenti obbligati («non-scelte»), immediatamente determinati da una crisi a sua volta
raffigurata come conseguenza dell’eccessiva generosità dei livelli retributivi e dei sistemi pubblici di welfare». Gli otto intellettuali spiegano che «viene nascosto all’opinione pubblica che, lungi dall’essere un’evidenza, tale rappresentazione riflette un punto di vista ben definito (quello della teoria economica neoliberale), oggetto di severe critiche da parte di economisti non meno autorevoli dei suoi sostenitori. Così, una teoria controversa, da molti ritenuta corresponsabile della crisi (perché concausa degli eccessi speculativi e degli squilibri strutturali nella divisione internazionale del lavoro e nella distribuzione della ricchezza sociale), è assunta e presentata come auto-evidente, sottraendo a milioni di cittadini la nozione della sua opinabilità e impedendo la formazione di un consenso informato, presupposto della sovranità democratica». I sottoscrittori dell’appello non esitano a mettere sotto accusa la politica e le istituzioni, ai massimi livelli. «Non possiamo sottacere scrivono che a rendere, a nostro giudizio, particolarmente grave tale stato di cose è il fatto che la sottrazione di informazione che riteniamo necessario denunciare coinvolge l’operato delle stesse più alte cariche dello Stato, alle quali la Costituzione attribuisce precise funzioni di garanzia e vincoli d’imparzialità». «Tutto ciò è l’amara conclusione della lettera costituisce ai nostri occhi un attacco alla democrazia repubblicana di inaudita gravità, che ai pesantissimi effetti materiali della crisi e di una sua gestione politica volta a determinare una redistribuzione del potere e della ricchezza a beneficio della speculazione finanziaria e dei ceti più abbienti assomma un furto di informazione e di conoscenza gravido di devastanti conseguenze per la democrazia».
Furto al quale partecipano «le più alte cariche dello Stato» e che costituisce «un attacco di inaudita gravità alla democrazia».
«La politica – scrivono i firmatari della lettera – è scontro d’interessi, e la gestione di questa crisi economica e sociale non fa eccezione. Ma una
particolarità c’è, e configura, a nostro avviso, una grave lesione della democrazia». Per i promotori dell’appello «il modo in cui si parla della crisi costituisce una sistematica deformazione della realtà e una intollerabile sottrazione di informazioni a danno dell’opinione pubblica.
Le scelte delle autorità comunitarie e dei governi europei, all’origine di un attacco alle condizioni di vita e di lavoro e ai diritti sociali delle popolazioni che non ha precedenti nel secondo dopoguerra, vengono rappresentate, non soltanto dalle forze politiche che le condividono (e ciò è comprensibile), ma anche dai maggiori mezzi d’informazione (ivi compreso il servizio pubblico), come comportamenti obbligati («non-scelte»), immediatamente determinati da una crisi a sua volta
raffigurata come conseguenza dell’eccessiva generosità dei livelli retributivi e dei sistemi pubblici di welfare». Gli otto intellettuali spiegano che «viene nascosto all’opinione pubblica che, lungi dall’essere un’evidenza, tale rappresentazione riflette un punto di vista ben definito (quello della teoria economica neoliberale), oggetto di severe critiche da parte di economisti non meno autorevoli dei suoi sostenitori. Così, una teoria controversa, da molti ritenuta corresponsabile della crisi (perché concausa degli eccessi speculativi e degli squilibri strutturali nella divisione internazionale del lavoro e nella distribuzione della ricchezza sociale), è assunta e presentata come auto-evidente, sottraendo a milioni di cittadini la nozione della sua opinabilità e impedendo la formazione di un consenso informato, presupposto della sovranità democratica». I sottoscrittori dell’appello non esitano a mettere sotto accusa la politica e le istituzioni, ai massimi livelli. «Non possiamo sottacere scrivono che a rendere, a nostro giudizio, particolarmente grave tale stato di cose è il fatto che la sottrazione di informazione che riteniamo necessario denunciare coinvolge l’operato delle stesse più alte cariche dello Stato, alle quali la Costituzione attribuisce precise funzioni di garanzia e vincoli d’imparzialità». «Tutto ciò è l’amara conclusione della lettera costituisce ai nostri occhi un attacco alla democrazia repubblicana di inaudita gravità, che ai pesantissimi effetti materiali della crisi e di una sua gestione politica volta a determinare una redistribuzione del potere e della ricchezza a beneficio della speculazione finanziaria e dei ceti più abbienti assomma un furto di informazione e di conoscenza gravido di devastanti conseguenze per la democrazia».
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