Alla fine sono stati fregati dai bonifici per provare a mettere in salvo oltre 5 milioni di euro, da quel “potere assoluto” esercitato sulla Popolare di Bari da cinquant’anni e che non sarebbe stato azzerato dal commissariamento dello scorso 13 dicembre e da alcune cariche ancora ricoperte in istituti di credito controllati dalla PopBari o in altre società del settore bancario. Così l’ex presidente e vice direttore Marco e Gianluca Jacobini, padre e figlio, sono finiti agli arresti domiciliari insieme a Elia Circelli, tuttora responsabile della Funzione Bilancio e Amministrazione della Direzione Operations. Un anno di interdizione per l’ex amministratore delegato Vincenzo De Bustis, banchiere già ai vertici di Banca 121, Mps e Deutsche Bank.
Le accuse – L’inchiesta sul crac della banca barese – 9 indagati – sfocia quindi in una serie di misure cautelari chieste e ottenute dal procuratore aggiunto Roberto Rossi e dai pm Federico Perrone Capano e Savina Toscani, che contestano a vario titolo 21 imputazioni, 12 delle quali riconosciute dal gip Francesco Pellecchia: ci sono 13 falsi in bilancio commessi tra il 2014 e il 2018, un falso in prospetto, 6 condotte di ostacolo alle funzioni di vigilanza e controllo di Consob e Banca d’Italia e un ultimo episodio di maltrattamenti ed estorsione su un ex dipendente, rigettato dal giudice nella misura cautelare.
La corsa per spostare i soldi – Gli arresti sono stati richiesti dopo il commissariamento varato dal governo Conte per diversi motivi. In primis, le mosse degli Jacobini per “l’occultamento dei profitti illeciti” al punto che, poche ore prima dalla decisione del Consiglio dei ministri, hanno trasferito dai loro conti correnti, cointestati alle rispettive mogli, somme per complessivi 5,6 milioni di euro verso Banca Sella e poi verso la Banca Popolare Pugliese con decine di assegni circolari e bonifici intestati anche a società a loro riconducibili, un’agenzia Allianz e la Società Agricola Masseria Donna Giulia srl (leggi). “Trattasi di operazioni poste in essere nella imminenza della formalizzazione del commissariamento (e tutt’ora in corso) – si legge negli atti – che dimostrano l’intenzione di sottrarre i profitti illeciti ad eventuali operazioni di sequestro”. Le operazioni – come ricostruito in cinque note dell’Unità di informazione finanziaria di Bankitalia – sono avvenute tra il 12 e il 13 dicembre scorsi, mentre si decideva il commissariamento, e sono proseguite anche a ridotto delle festività natalizie.
Gli altri indagati e la faccenda Miulli – Nell’inchiesta sono indagate complessivamente 9 persone: oltre ai quattro destinatari delle misure cautelari, risultano indagati: Giorgio Papa, amministratore delegato dal 2015 al 2018, Roberto Pirola e Alberto Longo, presidenti del collegio sindacale della banca, e Giuseppe Marella, responsabile dell’Internal Audit della BpB dal 2013. I falsi in bilancio riguardano il presunto occultamento di perdite, commesso omettendo la svalutazione degli avviamenti per 397 milioni di euro di sette società, tra le quali la stessa Tercas, postando un utile inesistente di 42 milioni relativo ad un contenzioso con l’Ente ecclesiastico ospedale Miulli, indicando una apparente liquidità di 500 milioni di euro derivante da una operazione di cartolarizzazione e, infine, contabilizzando imposte anticipate sulla perdita fiscale per 141 milioni di euro al fine di occultare perdite di bilancio.
L’ostacolo alla vigilanza su Tercas – Contestualmente alla notifica della misura, sono state eseguite 17 perquisizioni presso le abitazioni e gli uffici di Bari, Roma, Milano e Bergamo dei quattro destinatari della misura e di altri sei responsabili dell’istituto di credito. La Guardia di finanza ha anche perquisito la direzione della Popolare di Bari dove risultano alcune cassette di sicurezza nella disponibilità dell’ex presidente Marco Jacobini. Alla vicenda Tercas fa riferimento anche l’unica accusa di ostacolo alla vigilanza riconosciuta sussistente dal gip, contestata al solo Marco Jacobini, il quale alla Consob avrebbero fornito “dichiarazioni non veritiere” nei prospetti informativi relativi all’offerta di prodotti finanziari, omettendo “di riportare informazioni complete in merito alla determinazione del prezzo di offerta delle azioni”. L’operazione di salvataggio di Tercas è costata alla Popolare di Bari 325 milioni di euro e “i crediti deteriorati netti della BPB prima della fusione con Tercas-Caripe – si legge nell’imputazione relativa al falso in prospetto – ammontavano a 780 milioni di euro, mentre dopo la fusione a 1 miliardo 440 milioni”.
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