martedì 7 gennaio 2020

Mafia/e. La ‘ndrangheta è un cancro che dilaga in tutto il mondo, ramificata in 30 paesi dei 5 continenti.


Come insegnava Giovanni Falcone, seguendo i flussi finanziari degli affari illeciti dei clan, gli investigatori hanno ricostruito una sorta di mappa planetaria della ‘ndrangheta e dei suoi business ormai globali.
Lo afferma un rapporto sulla criminalità organizzata che dalla Calabria si è ramificata nei 5 continenti acquisendo il monopolio del traffico di droga, una capacità crescente di infiltrare i circuiti economici legali, un fatturato che stime probabilmente approssimate per difetto collocano oltre i 55 miliardi: per mettere i bastoni tra le ruote della ‘ndrangheta Spa è ormai indifferibile una grande alleanza mondiale ed è in questa direzione che va il nuovo progetto approvato dall’Interpol, I-Can, International Cooperation against ndrangheta: l’Italia è pronta a investire 4 milioni e mezzo in tre anni.
Ma non può farcela da sola. Perché il cancro delle ‘ndrine ha sviluppato metastasi da San Luca ad Anversa, da Duisburg a Melbourne, passando per Europa dell’Est, Canada e Sud America. Un ‘marchio’ tristemente riconoscibile, un perverso franchising criminale.

In Europa. La Spagna – secondo l’ultima relazione della Dia – è l’anello di congiunzione tra i clan calabresi e le organizzazioni criminali sud americane: qui arrivano fiumi di cocaina e di hashish; qui vengono riciclate enormi quantità di denaro; qui trascorrono latitanze più o meno dorate boss in fuga. Due anni fa ad Aguilas, nella comunità di Murcia, uomini incappucciati uccisero a colpi di arma da fuoco un esponente di vertice della famiglia Nirta-Scalzone. E sarebbe recente il patto di non aggressione tra ‘ndrine calabresi, clan di camorra e cosche di cosa nostra per tenere più basso il prezzo dello stupefacente. La prima presenza della ‘ndrangheta oltralpe risale agli anni ’70 e la Francia continua a costituire un polo d’attrazione per i clan: il «locale» di Ventimiglia svolge da sempre funzione di ‘camera di passaggio’ preposta al coordinamento operativo e strategico».
Le zone più sfruttate dalla criminalità organizzata italiana, arrivata alla seconda generazione, si trovano nella regione delle Alpi, in Provenza e in Costa Azzurra, dove vengono reinvestiti i capitali di provenienza illecita e dove trovano rifugio i latitanti. Tanti gli ‘ndranghetisti catturati in Francia, tra gli ultimi un membro del clan Barbaro-Papalia: aveva aperto una ditta di pulizie per condomini.
Tracce sempre più consistenti della presenza di ‘ndrine sono state rilevate negli ultimi tempi in Austria e in Romania (dove l’interesse delle cosche sembra essere forte soprattutto per il gioco illegale) e cresce anche l’appeal della Repubblica Slovacca: le indagini sull’omicidio del reporter Jan Kuciak, avvenuto a Bratislava nel febbraio 2018, hanno fatto emergere gli appetiti delle cosche per i fondi europei per l’agricoltura, assegnati in quello Stato.
In America. Negli Usa la ‘ndrangheta si è consolidata di recente come referente dei cartelli sudamericani del narcotraffico: la famiglie della criminalità organizzata calabrese, in particolare quelle originarie della Locride, sarebbero in espansione soprattutto nello stato di New York e in Florida. Altro crocevia strategico per il traffico internazionale di droga sono i Paesi Bassi con lo scalo portuale di Rotterdam: poco più di un anno fa un’operazione congiunta italo-olandese ha colpito le cosche Pelle-Vottari, Romeo e Giorgi di San Luca e Ietto-Cua di Natile: avevano investito ingenti somme di denaro in alcuni ristoranti che costituivano le basi di supporto logistico ai traffici di coca dall’America Latina. In Olanda la ‘ndrangheta sarebbe coinvolta anche nel traffico d’armi.
La prima apparizione della ‘ndrangheta in Canada risale addirittura agli anni ’70 e già negli anni ’90 erano diventati evidenti i collegamenti operativi tra le cosche calabresi (il cosiddetto ‘Siderno Group’) e gli omologhi sodalizi stanziati nella regione di Toronto: quest’ultimi hanno focalizzato i propri interessi nel gioco d’azzardo, nell’usura, nelle estorsioni. E il riconoscimento giudiziario, simbolicamente importante, dell’esistenza della ‘ndrangheta è arrivato poco meno di un anno fa, quando la Corte Superiore di Giustizia dell’Ontario ha condannato un sodale della famiglia Ursino ad 11 anni e mezzo di reclusione per traffico di stupefacenti. In Messico, i cartelli della droga – sempre più frazionati in mini organizzazioni – secondo gli analisti della Dia hanno stabilito «solidi canali di collegamento con esponenti della criminalità calabrese, campana e siciliana». E, ha sottolineato lo stesso procuratore nazionale antimafia, «vedono nella ‘ndrangheta un protagonista al loro stesso livello». Lo stesso vale per la Colombia, maggior produttore mondiale di cocaina, dove la ‘ndrangheta, «potendo contare su una rete strutturata di affiliati distribuiti sui principali porti internazionali, ha dimostrato di essere in grado di tenere contatti con le organizzazioni locali per la gestione dei grandi traffici di stupefacenti». Argentina e Venezuela sono territorio di transito e di stoccaggio della cocaina e, in misura minore, della marijuana e dell’eroina ed è più che probabile che le ‘ndrine abbiano assunto un ruolo sempre più importante proprio in virtù del grande credito acquisito presso i principali cartelli del narcotraffico. In Brasile risultano insediamenti di ‘ndrangheta da almeno una quarantina d’anni, con cosche del calibro dei Morabito, dei Piromalli, dei Commisso e dei Pelle e dei Maesano tra Rio de Janeiro, San Paolo e Fortaleza.
Dalla Germania alla City di Londra. Le indagini della Dia hanno documentato «la capacità della ‘ndrangheta di operare agevolmente anche in Svizzera, attraverso cellule in grado di riprodurre in modo fedele lo schema organizzativo ed il modus operandi dei sodalizi d’origine» ma è la Germania ad attirare storicamente le mire espansionistiche delle organizzazioni mafiose di matrice italiana: la ‘ndrangheta, in particolare, ha saputo esportare il proprio modello delinquenziale, ‘clonando’ le strutture del territorio di origine.
La strage di Duisburg, dodici anni fa, svelò drammaticamente al mondo una realtà che gli investigatori già conoscevano ma negli anni successivi si sono moltiplicate le prove dell’esistenza di locali e di centinaia di affiliati in diversi Lander e sono state ricostruite le strategie del narcotraffico, del riciclaggio e del reimpiego di beni di provenienza illecita nel settore immobiliare e della ristorazione.
La particolare legislazione anglosassone che consente la creazione agevole di società ha fatto a lungo del Regno Unito una sede privilegiata per attività finanziarie, anche da parte di gruppi criminali: ad inizio 2018 fu smantellata un’organizzazione ‘ndranghetista dedita ad attività di riciclaggio ed autoriciclaggio. Bisogna vedere ora se la Brexit cambierà qualcosa e come.
Il riciclaggio ai tempi del bitcoin. Le varie operazioni antidroga condotte nell’area portuale di Gioia Tauro, da sempre una delle porte privilegiate per l’ingresso degli stupefacenti in Europa, hanno spinto la ‘ndrangheta verso una strategia di delocalizzazione dei punti di arrivo della droga proveniente dal Sud America. E in questa strategia un ruolo centrale se lo è guadagnato il Belgio, in particolare Anversa. Aree come quelle di Mons-Charleroi, Hainaut e di Liegi si sono progressivamente caratterizzate per la presenza stabile di esponenti della ‘ndrangheta, che hanno utilizzato questi territori per l’avvio di nuove attività criminali: documentati, in almeno un caso, anche pagamenti in bitcoin.
In Australia la ‘ndrangheta si conferma come la principale organizzazione mafiosa italiana presente, con una serie di omicidi risalenti addirittura agli anni tra le due guerre mondiali. Anche in questo caso, il core business è rappresentato dal traffico di stupefacenti, ma con il tempo sono cresciuti e si sono consolidati interessi nei settori dei trasporti, dell’edilizia, della ristorazione e dell’agricoltura. Tra i gruppi più attivi, con radici in tutti gli Stati, i Papalia-Sergi-Barbaro, gli Alvaro e i Giorgi-Morabito-Barbaro.

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