sabato 18 gennaio 2020

Le pensioni di nonni e genitori rendono sostenibile il precariato di figli e nipoti

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Il Welfare più arretrato, disfunzionale e ingiusto d’Europa si regge grazie ai pensionati. La crisi sociale acutissima prodotta dal precariato strutturale di massa nell’ultimo trentennio è sostenibile solo grazie all’integrazione al reddito garantita dai genitori e dai nonni che mettono a disposizione l’assegno mensile e le varie forme di rendita accumulate nel corso di una vita di lavoro di una o più generazioni per sostenere figli e nipoti che vivono nell’economia dei «lavoretti».
Nel rapporto sulle condizioni di vita dei pensionati pubblicato ieri dall’Istat emerge un aspetto drammatico. 
Per quasi 7 milioni e 400 mila famiglie, circa una su tre, le pensioni rappresentano il primo reddito.

La crisi del reddito e del salario, la vera questione politica oggi, è arrivata a questo punto: davanti alla casualità assoluta dei guadagni delle generazioni nate dopo il 1970, quelle precedenti suppliscono in maniera quasi totale alla vita di una popolazione composta da poveri e da lavoratori poveri, giovani e meno giovani.
Questo dato rivela che la solidarietà familiare ha sostituito il patto intergenerazionale sulla quale è fondata la previdenza. 
La famiglia è stata trasformata in una rete di ultima istanza. 
È una supplenza alla mancanza di un Welfare universale che tutela il diritto di esistenza, un principio che dovrebbe essere fondativo di uno stato costituzionale di diritto. Non lo è in nessun modo.
Al contrario, si dà ormai per scontato l’esistenza di tale disponibilità finanziaria per evitare di riconoscere il diritto al lavoro, al reddito, alla casa, a una vita dignitosa nel e soprattutto fuori da un lavoro sempre più miserabile. 

Il rapporto Istat fornisce un’altra informazione che permette di comprendere l’insostenibilità e l’ingiustizia di questo sistema. 
Non solo l’anziano permette al più giovane di sostenersi, ma un pensionato su tre è anche povero. 
Il 36,3%, riceve ogni mese meno di mille euro lordi, il 12,2% non supera i 500. 
Un pensionato su quattro percepisce un reddito lordo sopra i 2 mila euro.
Tra i pensionati esiste una disuguaglianza di reddito molto significativa che si riflette sul territorio: il Nord assorbe metà della spesa. 
Le più penalizzate sono le donne, le più precarie nel lavoro, nella famiglia e anche quando arrivano all’età della pensione. 
Tutte le famiglie che dipendono dai redditi poveri dei pensionati sono, a loro volta, a rischio povertà: il 15,9% ha calcolato l’Istat.
Inoltre, i redditi precari, sommati alle pensioni povere, permettono anche agli anziani di sopravvivere. 
Il cumulo di pensioni e redditi da attività lavorativa abbassa il rischio di povertà al 5,7% rispetto al 17,9% di quelle costituite da soli pensionati.
Un altro dato è significativo. Si dice che la «silver economy», l’«economia d’argento» che sfrutta il potere di acquisto dei pensionati in termini di consumi, sia il futuro. 
Con l’allungamento dell’età pensionabile, e il cumulo del reddito da pensione e da lavoro, i pensionati che possono permetterselo lavoreranno per sostenere figli e nipoti.
Uno scenario da ricordare quando scatterà la prossima geremiade contro l’«apartheid» dei precari. 
Non sono i «vecchi» ad avercela con i «giovani». Sono entrambi sfruttati in una guerra che mantiene tutti in povertà. 
Non è una guerra tra generazioni. 
È il saccheggio di tutte le generazioni operato dal capitalismo in regime neoliberale.
* da ilmanifesto.it

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