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Il
Welfare più arretrato, disfunzionale e ingiusto d’Europa si regge
grazie ai pensionati. La crisi sociale acutissima prodotta dal
precariato strutturale di massa nell’ultimo trentennio è sostenibile
solo grazie all’integrazione al reddito garantita dai genitori e dai
nonni che mettono a disposizione l’assegno mensile e le varie forme di
rendita accumulate nel corso di una vita di lavoro di una o più
generazioni per sostenere figli e nipoti che vivono nell’economia dei
«lavoretti».
Nel
rapporto sulle condizioni di vita dei pensionati pubblicato ieri
dall’Istat emerge un aspetto drammatico.
Per quasi 7 milioni e 400 mila
famiglie, circa una su tre, le pensioni rappresentano il primo reddito.
La
crisi del reddito e del salario, la vera questione politica oggi, è
arrivata a questo punto: davanti alla casualità assoluta dei guadagni
delle generazioni nate dopo il 1970, quelle precedenti suppliscono in
maniera quasi totale alla vita di una popolazione composta da poveri e
da lavoratori poveri, giovani e meno giovani.
Questo
dato rivela che la solidarietà familiare ha sostituito il patto
intergenerazionale sulla quale è fondata la previdenza.
La famiglia è
stata trasformata in una rete di ultima istanza.
È una supplenza alla
mancanza di un Welfare universale che tutela il diritto di esistenza, un
principio che dovrebbe essere fondativo di uno stato costituzionale di
diritto. Non lo è in nessun modo.
Al
contrario, si dà ormai per scontato l’esistenza di tale disponibilità
finanziaria per evitare di riconoscere il diritto al lavoro, al reddito,
alla casa, a una vita dignitosa nel e soprattutto fuori da un lavoro
sempre più miserabile.
Il
rapporto Istat fornisce un’altra informazione che permette di
comprendere l’insostenibilità e l’ingiustizia di questo sistema.
Non
solo l’anziano permette al più giovane di sostenersi, ma un pensionato
su tre è anche povero.
Il 36,3%, riceve ogni mese meno di mille euro
lordi, il 12,2% non supera i 500.
Un pensionato su quattro percepisce un
reddito lordo sopra i 2 mila euro.
Tra
i pensionati esiste una disuguaglianza di reddito molto significativa
che si riflette sul territorio: il Nord assorbe metà della spesa.
Le più
penalizzate sono le donne, le più precarie nel lavoro, nella famiglia e
anche quando arrivano all’età della pensione.
Tutte le famiglie che
dipendono dai redditi poveri dei pensionati sono, a loro volta, a
rischio povertà: il 15,9% ha calcolato l’Istat.
Inoltre,
i redditi precari, sommati alle pensioni povere, permettono anche agli
anziani di sopravvivere.
Il cumulo di pensioni e redditi da attività
lavorativa abbassa il rischio di povertà al 5,7% rispetto al 17,9% di
quelle costituite da soli pensionati.
Un
altro dato è significativo. Si dice che la «silver economy»,
l’«economia d’argento» che sfrutta il potere di acquisto dei pensionati
in termini di consumi, sia il futuro.
Con l’allungamento dell’età
pensionabile, e il cumulo del reddito da pensione e da lavoro, i
pensionati che possono permetterselo lavoreranno per sostenere figli e
nipoti.
Uno
scenario da ricordare quando scatterà la prossima geremiade contro
l’«apartheid» dei precari.
Non sono i «vecchi» ad avercela con i
«giovani». Sono entrambi sfruttati in una guerra che mantiene tutti in
povertà.
Non è una guerra tra generazioni.
È il saccheggio di tutte le
generazioni operato dal capitalismo in regime neoliberale.
* da ilmanifesto.it
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