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– di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano – Viva sorpresa e
costernazione ha suscitato fra i leghisti la sentenza della Consulta che
boccia il referendum dei leghisti per cancellare il Rosatellum (votato
anche dai leghisti) e sostituirlo con una legge elettorale maggioritaria
su misura dei leghisti. Eppure un indizio preciso di come sarebbe
finita ce l’avevano: l’autore del quesito era Roberto Calderoli. Un
nome, una garanzia di catastrofe. Calderoli, in arte “Pota”, dentista di
Bergamo Alta inopinatamente scambiato da 25 anni per un riformatore,
vanta una collezione di fiaschi che nemmeno una cantina sociale. Un
giorno, a Pontida, per sventare l’avvento dell’euro, s’inventò il
tallero padano, detto “calderòlo”. Quando il pataccaro Igor Marini fu
accolto in commissione Telekom Serbia come “supertestimone” delle
tangenti a Prodi, Fassino e Dini sui conti “Mortadella”, “Cicogna” e
“Ranocchio”, fu il Pota a garantire sulla sua attendibilità, definendolo
“una persona di una memoria che fa impallidire Pico della Mirandola,
intelligente, sveglia e preparata”. Infatti Marini fu arrestato per
essersi inventato tutto. Quando Ratzinger fu eletto papa, Calderoli
pensò di migliorare i rapporti fra Lega e Vaticano dichiarando: “A
Benedetto XVI avrei preferito Crautus I”. Nell’estate 2005 si inerpicò
su una baita di Lorenzago del Cadore, in compagnia di costituzionalisti
del suo calibro (D’Onofrio, Brancher e Tremonti che portava da bere),
per riscrivere la Costituzione fra un grappino e una polenta taragna: la
famosa devolution, regolarmente spazzata via nel referendum del 2006.
Poco dopo, il cavadenti padano sfornò la più indecente legge
elettorale della storia dell’umanità prima dell’arrivo di Renzi. Infatti
lui stesso, conoscendola, la definì “una porcata” (per gli amici
Porcellum, ovviamente fulminata dalla Consulta). E, conoscendosi,
confidò al Corriere: “Su di me non avrei scommesso un euro”. Ma gli
altri sì, anche se lui faceva di tutto per metterli sull’avviso: come la
sera che apparve al Tg1 e si aprì la camicia mostrando in mondovisione
una canotta con una vignetta anti-Maometto, che nel giro di 48 ore
provocò una rivolta a Bengasi, 11 morti dinanzi al consolato italiano e
le sue immediate dimissioni da ministro delle Riforme. Ma non bastò,
nemmeno quando si riempì il giardino di leoncini, che lo riconobbero e
lo azzannarono agli arti inferiori. L’equivoco continuò, tant’è che nel
2008 fu promosso ministro della Semplificazione Normativa: ruolo che
purtroppo interpretò con la consueta dedizione. Appena arrivato,
accatastò nel cortile del ministero un mucchio di norme stampate su
carta.
Poi convocò la stampa e, con gli occhi spiritati a favore di
telecamera, le semplificò bruciandole col lanciafiamme. “Sono 375 mila
leggi inutili”, annunciò trionfante. Si scoprì poi che l’Italia, fra
leggi utili e inutili, non supera le 150 mila, anche perché il
Parlamento, per produrne 375 mila, avrebbe dovuto lavorare
ininterrottamente dall’Unità d’Italia per 150 anni, compresi quelli di
guerra e i mesi di ferie, sfornandone una media di 7,8 al giorno. Dunque
non s’è mai capito che diavolo abbia bruciato Calderoli quel giorno. E
soprattutto cosa si fosse fumato. In ogni caso qualcuna la incendiò: per
esempio, i decreti ottocenteschi di annessione all’Italia del Veneto e
del ducato di Mantova, riportando in vita i serenissimi dogi e i
Gonzaga. Più utile si rivelò la depenalizzazione del reato di banda
armata a fini politici, che salvò i leghisti imputati a Verona nel
processo “Camicie verdi”, tra i quali lui. Che, intanto, continuava a
lasciare tracce, come le molliche di Pollicino, per far capire ai suoi
che dovevano fermarlo. Chiamava i gay “culattoni ricchioni” e
gl’immigrati “bingo-bongo”. Proponeva un “Maiale Day” contro la nuova
moschea di Bologna. Chiedeva le dimissioni del premier Monti per aver
festeggiato il Capodanno con i parenti a spese dei contribuenti (Monti
rispose: “Gli acquisti di cotechino, lenticchie, tortellini e dolce sono
stati effettuati a proprie spese dalla mia signora”), proprio mentre la
Procura di Roma indagava Calderoli per truffa su un volo blu da Roma a
Cuneo per visitare il figlio della compagna Giovanna Gancia in ospedale
per un incidente stradale (la trasvolata da 10.271,56 euro restò
impunita per il solito no del Senato all’autorizzazione a procedere).
Ma niente, tutti continuavano a prenderlo sul serio. A destra e pure a
sinistra, malgrado avesse dato a dell’“orango” alla ministra Kyenge e
chiesto l’immunità al Parlamento perché la sua era “una critica politica
al governo Letta per il divertimento delle persone presenti, con toni
leggeri, infatti non ho detto ‘orango’, ma ‘oranghi’, riferendomi a
tutti i ministri” (la cosa però non parve un alibi di ferro, lui andò a
giudizio e fu condannato per razzismo). Così nel 2015 fu correlatore
della controriforma costituzionale Renzi-Boschi-Verdini. E fu una
fortuna: anche quella fu bocciata dagli elettori nel referendum del
2016. Con questo curriculum era naturale che Salvini e gli otto
governatori di centrodestra promotori del referendum maggioritario
chiedessero a lui di scrivere il quesito. Tutti i costituzionalisti, ma
anche i passanti, che lo leggevano sapevano che sarebbe stato respinto
perché, essendo troppo manipolativo, avrebbe lasciato il Paese senza
legge elettorale. Ma l’Uomo Fiasco garantiva: “Niente paura, passerà”.
Aveva pure chiesto alla Consulta di presenziare all’udienza in qualità
di “delegato della Basilicata”. E la presidente Cartabia, con uno
strappo alla regola, aveva accettato. Lui pensava che la cosa fosse di
buon auspicio. In realtà era un premio per aver garantito alla Corte la
piena occupazione con la sua produzione industriale di leggi
incostituzionali. Infatti è entrato dall’ingresso fornitori.
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