venerdì 10 gennaio 2020

Germania anno zero

germany-berlin-souvenir-plate-kaiser_1_4b7f9729be6a9a709a661b80976ad358 Ma questo simbolo di rinascita si fa sempre più opaco: l’anno scorso la produzione automobilistica tedesca, quella che è simbolo del modello mercatista adottato con l’ordoliberismo e imposta a tutto il continente, è tornata ai livelli del 1996 lungo una curva in discesa che si è fatta ripida a cominciare dal 2017 arrivando oggi al meno 10% di vendite interne e meno 13% in export. Non è un dato inatteso, anzi non è altro che il raccolto di ciò che si è seminato, vista la sempre maggiore diffusione della precarietà e della disuguaglianza all’interno, la progressiva distruzione dei mercati continentali dovuta ai diktat di Berlino, ai venefici effetti della moneta unica nonché a una perdita di dinamismo tecnologico che vede le aziende tedesche in un pasticciato e improvvisato inseguimento dell’elettrico che per ora sta aprendo buchi nei bilanci, specialmente in quello della Daimler Benz .
Ma quella stella Mercedes è diventata anche più opaca dei numeri in rosso visto che dal 2005 quando Deutsche Bank  per dare l’assalto al mercato dei titoli spazzatura, che oggi la stanno trascinando a fondo, vendette la sua partecipazione di maggioranza, i gruppo si vide costretto ad affidarsi  ai fondi del Kuwait e poi  a quelli di Abu Dhabi per riempire il vuoto.
Non un bel segnale, ma nemmeno disastroso, specie prima della crisi, visto che quei Paesi hanno soltanto soldi in cerca di investimento, ma senza nessuna capacità produttiva propria e dove anche la progettazione di una bici con pedalata assistita potrebbe essere problematica.
Erano insomma partecipazioni di maggioranza, ma iun certo senso mute, tuttavia  dal 2018 la musica è cambiata, la maggioranza azionaria con quasi il 10 per cento appartiene al costruttore automobilistico cinese Geely ( che cura la Smart) mentre un altro 4% appartiene alla Byd, altra azienda cinese del settore. E quest’anno è già previsto un raddoppio netto di entrambe queste partecipazioni, anche perché alla poca redditività dell’azienda la quale ha già pronto un piano di licenziamenti per risparmiare un miliardo e cento milioni di euro l’anno, si è aggiunto il  flop totale delle elettriche della marca che secondo le stime dovevano vendere 15 mila esemplari mentre ne sono stati smerciati solo 55 esemplari in Germania e a poche centinaia nel resto d’Europa.  Ora tutto questo potrebbe sembrare fuori tema, ma non è affatto così: intanto perché Ferrari e Mercedes sono i due marchi di auto in assoluto più conosciuti al mondo, perché il logo della stella a tre punte è un simbolo dell’economia tedesca e on della Germania tout court e perché il fatto che il prodotto più  rappresentativo stia rientrando nell’orbita cinese cambia assolutamente e in maniera paradigmatica il modo con cui il Paese e disgraziatamente anche il resto dell’Europa trascinata all’inferno da Berlino, entreranno nella nuova via della Seta. Da una parte sarebbe suicida non entrare in questo nuovo flusso economico che rappresenta il futuro del commercio mondiale e infatti la Germania sta facendo di tutto per non essere tagliata fuori, dall’altra però conta anche il modo in cui ci si entra ovvero da protagonisti o da comparse.
Ora già la robotica industriale tedesca è cinese, il 40 per cento dei prodotti “hergestellt in Deutschland” e di cui si vanta la qualità sono in realtà asiatici e di fatto anche quelli cinesi, dunque l’apertura all’Eurasia con i suoi Paesi in rapido sviluppo che rappresentano la metà del genere umano è già in parte compromessa da politiche cieche che hanno di fatto isterilito il continente in ogni senso, compresa la cultura che è ormai una nota a margine dell’ideologia disuguale.  Non per nulla in  Germania si ha ormai l’angoscia di affrontare i rendiconti: banche riempite fino all’inverosimile di titoli spazzatura o sottratte ai controlli imposti ad altri, milioni di giovani a spasso o impegnati con i minijob da 450 euro al mese, la parte orientale che si considera maltrattata e cova malumori e Ostalgie, il calo di produzione industriale, il progetto di rapinare i risparmi privati altrui, in particolare i nostri, attraverso il cambiamento degli strumenti legati all’euro. Insomma il tentativo di trasformare l’unione europea in un terreno per la propria egemonia ha prodotto danni gravissimi e ha portato anche all’irrilevanza di tutto il continente sul piano geopolitico e per paradosso a una sua maggiore dipendenza dagli Usa come possiamo ben vedere in questi giorni in cui si è sull’orlo della guerra planetaria senza che i leader europei osino aprire bocca di fronte alla criminale arroganza a stelle e strisce.

Nessun commento:

Posta un commento