Le mobilitazioni contro l’ipotesi di riforma pensionistica continuano in Francia.
Giovedì
16 gennaio si è svolta la sesta giornata di sciopero
“inter-generazionale” ed “intercategoriale” in circa un mese e mezzo,
ossia da quando il 5 dicembre scorso, con il primo riuscito sciopero
generale, sono iniziate le mobilitazioni.
Lo
sciopero, le manifestazioni svoltesi in tutto l’Esagono e le differenti
azioni di questo giovedì, concludono tre giorni di mobilitazioni
consecutive.
Per
il Ministero dell’Interno ieri avrebbero partecipato alle mobilitazioni
187.000 persone in tutta la Francia, mentre ne aveva “contate” 452.000
il 9 gennaio, lo sciopero generale precedente.
La
disparità di cifre tra il governo ed il principale sindacato è
evidente: la polizia parla di 8.000 persone al corteo marsigliese,
mentre la CGT parla di 110.000 partecipanti. La stessa differenza, in
ordine di grandezza, a Tolosa: 7.300 per la Prefettura, 80.000 per la
centrale di Montreuil, 20.000 a Bordeaux contro 4.500, più o meno come a
Le Havre!
In
altri contesti la differenza tra le cifre fornite è meno abissale:
16.000 contro 6.600 a Lione, 10.000 a Nantes contro 4.000 come a Rouen,
5.000 a Rennes contro 3100, come Montpellier, e qualche migliaio nei
centri minori come Nancy e Metz dove “France 3” dà 2.500 partecipanti.
La
CGT dichiara 250.000 partecipanti nel corteo parigino – erano 370.000
il 9 gennaio – contro i 42.000 dichiarati dalla polizia, che hanno
sfilato dietro lo striscione d’apertura: «pensione a punti: tutti perdenti, pensione a 60 anni: tutti vincenti!»
Disinformazione e sondaggi
Perché
il governo deve dare cifre così irrealisticamente al ribasso e cercare
di far passare il messaggio che il movimento si indebolisce?
Ecco la risposta.
Secondo
un sondaggio del barometro Harris Interactive, pubblicato questo
martedì su RTL e AEF, il 60% dei francesi sostiene la mobilitazione
contro la riforma del regime pensionistico. Sono il 47% per un sondaggio
Elabe, per BFM.
Lo
stesso sondaggio rileva che il 56% è ostile alla riforma e ben 67%
trovano che il Primo Ministro e l’esecutivo hanno mal gestito il
dossier.
Cifre non proprio confortanti per il governo.
Il
movimento si è “arricchito” con le marce notturne illuminate da torce
svoltesi in differenti città mercoledì sera; verranno ripetute il 23
gennaio, il giorno della presentazione dell’ipotesi di riforma
pensionistica al Consiglio dei ministri.
Per
quella giornata è stato proclamato già questo mercoledì l’ennesimo
sciopero generale, a coronamento di nuovi tre giorni di mobilitazione
promossi dall’“inter-sindacale” (CGE CGC, CGT,FO,FSU, Solidaire, FIDL,
MNL, UNEF, UNL) per la settimana prossima.
Gli avvocati
Inoltre
questa settimana gli avvocati – in sciopero ad oltranza dal 6 gennaio –
hanno ispirato differenti settori in lotta, dai medici agli insegnanti,
che li hanno imitati, con il le lancio delle proprie toghe, per i
medici i camici bianchi e gli insegnanti i libri di testo…
I 70.000 avvocati
in Francia partecipano massicciamente – anche all’interno delle
manifestazioni sindacali – alle mobilitazioni contro la riforma
pensionistica, perché il progetto di modifica prevede l’estinzione della
loro cassa pensionistica autonoma (tra l’altro in attivo e che
contribuisce ad alimentare le risorse pensionistiche complessive) e
l’aumento della contribuzione a carico di questa figura professionale
dal 14 al 28 per cento – raddoppiando quindi l’imposizione – nonché una
netta diminuzione della pensione minima dagli attuali 1.400 Euro a circa
1.000.
Questa
misura avrebbe delle conseguenze dirette anche sugli assistiti, perché
costringerebbe gli avvocati ad aumentare gli onorari, penalizzando le
figure più vulnerabili dal punto di vista economico. E non sembra
casuale, per un governo così classista, puntare a ridurre le possibilità
di difesa legale per i più deboli.
I medici
Per ciò che concerne i medici,
in lotta per questioni anche legate specificatamente alla sanità
(insieme alla totalità del profili professionali della salute pubblica),
sono saliti all’onore delle cronache per una lettera di dimissioni
collettive dalle responsabilità amministrative – firmata da 1.100 membri
della categoria – che ha avuto un vasto eco nei media.
Questo gesto è l’extrema ratio
per un grido d’allarme lanciato da tempo e rimasto inascoltato, ed allo
stesso tempo esprime il rifiuto di co-gestire l’attuale situazione di
immiserimento crescente della qualità della sanità dismettendo le
responsabilità amministrative, con cui fin qui erano stati chiamati a
rimediare alle falle di un sistema che ormai fa acqua da tutte le parti,
nonostante gli sforzi eroici e l’orgoglio professionale di chi lavora
tra le corsie di un ospedale.
I
“camici bianchi” giudicano insufficienti le misure prese in via
straordinaria dall’attuale esecutivo a fine novembre, dopo la storica
mobilitazione del settore – che si ripeterà a metà febbraio – per
sopperire allo stato di collasso in cui versa la sanità pubblica in
Francia.
Il governo aveva stanziato 200 milioni aggiuntivi rispetto al budget
previsto per la Sanità quest’anno, facendosi carico inoltre di un terzo
del debito del settore; ma per i medici queste misure risultano
insufficienti ed hanno quantificato in 600 milioni la cifra minima
necessaria.
La
priorità per gli operatori del settore sanitario è una rivalorizzazione
salariale che metta fine anche all’emorragia di personale dal pubblico
al privato, dove incontrano un miglior trattamento retributivo.
In
questi anni si è assistito ad un preoccupante allargarsi della forbice
tra l’incremento del bisogno di cura da parte della popolazione e la
contemporanea riduzione delle risorse, con il taglio di posti letto, la
chiusura od il forte ridimensionamento di interi reparti (maternità e
pediatria per esempio), la costrizione a orari e turni massacranti per
la carenza d’organico.
Il
campanello d’allarme era stato suonato dal personale dei pronto
soccorso, che dalla scorsa primavera era entrato in sciopero ed in stato
d’agitazione, dando vita ad un coordinamento orizzontale tra i
collettivi dei vari ambulatori che ha sua volta ispirato la volontà di
creare collegamenti tra ospedale e ospedale da parte del personale, e
non solo delle urgences.
Di
fronte a questa situazione sulla soglia del crollo, l’attuale riforma
alzerà l’età pensionabile e penalizzerà particolarmente quelle figure
professionali “di fascia bassa”, prevalentemente femminili, che svolgono
i lavori più usuranti nel settore sanitario e che vedranno i periodi di
assenza per maternità, o la scelta di effettuare il part-time per le
necessità dovute al lavoro di riproduzione domestica (solitamente a
carico di una donna in una società patriarcale), incidere sulla propria
situazione pensionistica in un regime “a punti”.
Scuola e università
Gli insegnanti,
molto presenti nei cortei anche questo giovedì, continuano le
mobilitazioni promuovendo forme nuove di iniziativa: occupazioni dei
rettorati, azioni notturne negli istituti coinvolgendo studenti e
famiglie, boicottaggio di alcune prove previste all’interno della
recente riforma della maturità (E3C).
La
lotta del corpo docente continua e si reinventa nonostante l’esecutivo –
nel primo incontro di una consultazione che durerà sei mesi, tra parti
sociali e governo, sulla “rivalorizzazione” dello stipendio degli
insegnanti – abbia deciso di stanziare 500 milioni di Euro dal 2021 come
“compensazione” per una riforma pensionistica altamente penalizzante
per la categoria, considerato l’allungamento della vita lavorativa e la
trasformazione del calcolo pensionistico che verrà parametrato sulla
retribuzione di tutto il periodo professionale e non sugli ultimi sei
mesi, come ora.
In
realtà si tratta di briciole (70/90 Euro al mese ad inizio carriera)
soprattutto tenendo conto che questa specie di compensazione sarebbe
accompagnata da una profonda trasformazione dello status di insegnante,
in cui il miglioramento retributivo sarebbe legato all’accettazione di
una maggiore mobilità territoriale, di un orario di lavoro più lungo e
un incremento delle mansioni obbligatorie.
Portuali, cultura, ferrovieri
I portuali hanno
bloccato i sette scali francesi per 72 ore consecutive, questa
settimana, nell’ennesima ondata di operazioni “porto morto” che hanno
dato man forte alla mobilitazione del settore trasporti – ferrovie e
metro parigina – oltre al settore chimico in sciopero “ad oltranza” dal 5
dicembre, con quattro raffinerie su otto coinvolte nello sciopero
inter-categoriale di questa settimana.
Anche il settore della cultura continua ad essere mobilitato, mentre in questi giorni sono entrati nella partita anche i netturbini,
che hanno occupato il più grande inceneritore d’Europa saldando in
cancelli dell’entrata nella periferia sud-orientale di Parigi a
Ivry-sur-Seine, per poi essere sgomberati dalla polizia.
I settori che sono stati la punta di lancia della mobilitazione – come i ferrovieri della SNCF e i lavoratori della RAPT
parigina – stanno pensando ad altre forme incisive, differenti dallo
sciopero “ad oltranza”, considerando che questo mese si ritroveranno con
una busta paga pari a zero.
Nella
sesta giornata di sciopero inter-categoriale nelle ferrovie il tasso
degli scioperanti si è alzato rispetto ai giorni precedenti, quando era
stato toccato il picco negativo, attestandosi giovedì attorno al 10%
dell’organico, con un terzo dei macchinisti che si sono astenuti dal
lavoro, circa un controllore su cinque e un addetto agli scambi su otto.
Per
venerdì, nel 44simo giorno di sciopero, circoleranno 8 TER su 10, 9 TGV
su 10, con un traffico “normale” sull’asse Nord e per l’Eurostar,
mentre le linee che servono la regione parigina vedranno circolare 3 “transilien” su 4.
I collegamenti del centro con la periferia (la RAPT e le linee RER), vedranno in media in circolare un treno su due.
Nella
metro, circoleranno regolarmente solo tre linee: la 1 e le 14, che sono
automatizzate e la 11, mentre le altre linee vedranno una circolazione a
singhiozzo con orari ridotti, percorsi limitati e stazioni chiuse.
Se
quindi il traffico ferroviario non sarà ridotto come nei momenti di
punta della mobilitazione, quello della metro rimarrà parecchio
perturbato.
Le
stime delle perdite per la SNCF e la RAPT sono piuttosto consistenti:
200 milioni di Euro per la metro parigina e 800 milioni per le ferrovie,
ha annunciato Mantignon mercoledì sera, in un comunicato governativo
successivo all’incontro con le direzioni delle due aziende. «Conseguenze finanziare importanti», sono state le parole usate dal governo.
L’altro
giorno la raccolta di fondi per scioperanti della CGT Info’com che ha
raggiunto i 2 milioni e 400 mila euro, è stata indirizzata alle ottanta
collettività di sciopero che ne hanno fatto richiesta. Ogni sindacato ha
una sua “cassa di sciopero”, a seconda delle dimensioni.
Si
parla di possibile “sciopero ad intermittenza” nelle ferrovie, così
come venne attuato contro la privatizzazione dell’azienda per circa tre
mesi nella primavera del 2018, che mandò in tilt l’organizzazione dei
trasporti…
Le
altre categorie sono state maggiormente coinvolte dalle iniziative
inter-categoriali di azione diretta per dare forza e visibilità alle
mobilitazioni in modalità “coup de poign”, oltre che nelle raccolta di fondi.
Le “concessioni” del governo Macron
Ma cosa ha realmente concesso il governo?
La parziale apertura del Primo Ministro ad una temporanea “sospensione” dell’aumento dell’età pivot
(o “di riequilibrio”) a 64 anni – spostata dal 2022 al 2027, sempre
che venga raggiunto entro aprile un accordo alla “Conferenza di
finanziamento” -, fatta sabato scorso, non ha convinto la base nelle
varie categorie dei sindacati, le cui direzioni avevano espresso un
certo entusiasmo per questo presunto segno di apertura, facendo
addirittura gridare alla “vittoria” il segretario della CFDT, il
“collaborativo” Laurent Berger!
Le
direzioni della UNSA e della CFDT erano rapidamente state smentite
dalla propria base, che ha continuato la mobilitazione mentre la
dirigenza non dava indicazioni di partecipazione alle iniziative
promosse dall’“intersindacale”.
L’età
pivot rimane uno dei cardini della riforma delle pensioni “a punti”
universale, ma con importanti eccezioni di categoria (poliziotti,
militari, controllori di volo, marinai) previste dall’esecutivo.
Con
l’attuale regime vi è una età minima – 62 anni – a cui si può andare in
pensione anche se non si è raggiunta la quota di trimestri versati per
raggiungere una pensione “a tasso pieno”, ed una età massima – 67 anni –
a cui si va comunque in pensione con un trattamento pieno. Questa è una
regola generale, derogabile – almeno fino ad oggi – per quei settori in
cui si concludo accordi migliorativi.
Con
la pensione “a punti”, prevista per tutti i nati dal 1975 in poi, si
introduce invece un sistema simile al risparmio privato. La quota del budget
statale sarà agganciata ad una percentuale fissa (il 18%) – quindi non
collegata ai bisogni pensionistici – la cui gestione verrà assicurata
dai partner sociali.
L’età di “equilibrio” – che per ora sembra essere fissata a 64, ma potrebbe essere aumentare più avanti – prevede una logica di bonus/malus,
per cui ogni anno di pensione anticipata corrisponde ad un 5% di
diminuzione della pensione, ed un incremento della stessa percentuale in
caso di pensione posticipata, al di là degli anni di versamenti. Una
specie di “Fornero” in salsa francese…
Per
le fasce alte dei salariati – 200.000 lavoratori circa, in totale –
organizzati prevalentemente dal sindacato dei quadri che partecipa
comunque all’inter-sindacale, è prevista un contributo “di solidarietà”
di poco superiore al 2%, ma anche la fine della contribuzione per i
propri fini pensionistici e “naturalmente” la cessazione della
contribuzione da parte delle aziende; e quindi sarebbero obbligati ad
accedere a una pensione “a capitalizzazione”.
Si
spiana così la strada al partenariato tra banche ed assicurazioni,
insieme a gestori di attivi finanziari – come il gigante Blackrock. Si
punta a cominciare con questa categoria, per poi dilagare in generale
con lo stesso sistema per tutti coloro che saranno costretti ad accedere
ad una pensione privata integrativa o a rimpinguare la pensione minima…
Certo,
dal testo che esporremo nel dettaglio nei prossimi giorni emergono
alcuni “angoli scuri”, soprattutto riguardo alla transizione tra
l’attuale regime e quello ipotizzato.
Le parole di Édouard Philippe su questo punto, mercoledì, sono state sibilline.
Per
lui lo sciopero in ferrovia e nella metro parigina sembra senza sbocchi
ed è durato anche troppo. Il Primo Ministro sarà soddisfatto quando
tutto tornerà alla normalità.
Osserva
una diminuzione della partecipazione e se ne rallegra, e ribadisce la
sua intransigenza sulla soppressione dei regimi speciali.
Trova una sponda nei media mainstream, che nella battaglia della comunicazione cercano di seppellire il movimento mentre è ancora in vita.
***
Un manifestante cinquantenne, intervistato nel reportage del quotidiano Libération
sulla manifestazione parigina, esprime un sentimento condiviso: come
far fare marcia indietro ad un governo che non ha praticamente ceduto su
nulla, in un mese e mezzo di mobilitazioni e con il più lungo sciopero
“ad oltranza” in Francia dal dopoguerra ad oggi?
Gilles, questo il nome dell’intervistato, afferma: «La
maggioranza dei francesi,secondo i sondaggi, è contro il progetto. Ma
coloro che si battono non sono così numerosi. Vediamo i limiti delle
manifestazioni. Di fronte ad uno Stato organizzato ed autoritario, che
nuovi strumenti d’azione si devono utilizzare?»
Intanto
sul piano politico, il leader de La France Insoumise, J. L. Mélenchon,
ha chiesto alle altre forze politiche “di sinistra” che si oppongono
alla riforma di depositare insieme una “mozione di sfiducia”; ma PCF e
PS hanno declinato l’invito preferendo far prima svolgere il dibattito
parlamentare, e giungere a tale ipotesi al massimo alla fine della
battaglia parlamentare.
Reinventarsi
per durare sembra essere la necessità principale del movimento, insieme
ad un suo ampliamento. Facciamo nostre le parole del segretario della
CGT Philippe Martinez che abbiamo usato come titolo di questo
contributo…
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