venerdì 17 gennaio 2020

«È greenwashing». L’anti-trust multa Eni

 
dinamopress
La società petrolifera multata con 5 milioni di euro per una campagna sul Diesel +, prodotto che vendeva come “green”. Esultano Legambiente e i Fridays for future. Adesso serve lo stop ai sussidi ai produttori di combustibili fossili
Il colosso petrolifero dovrà pagare 5 milioni di euro alle casse dello Stato per aver condotto una campagna pubblicitaria ingannevole del suo prodotto «Eni Diesel+». Lo ha stabilito ieri l’anti-trust affermando che la pretesa riduzione dei consumi (-4%) e delle emissioni gassose (-40%) che la società aveva utilizzato come slogan per promuovere il cosiddetto «green diesel» non sono fondate. La logica della decisione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) è che il gasolio è un prodotto altamente inquinante e quindi in nessun caso può essere considerato «verde».

Il carburante in questione è ottenuto miscelando un 85% di gasolio minerale con un 15% di biodiesel, combustibile di origine vegetale. «L’ingannevolezza dei messaggi derivava in primo luogo dalla confusione fra il prodotto pubblicizzato EniDiesel+ e la sua componente biodiesel Hvo, chiamata da Eni “Green Diesel”, attribuendo al prodotto nel suo complesso vanti ambientali che non sono risultati fondati», sostiene la nota dell’Agcm. Le associazioni e i movimenti ambientalisti contestano da tempo l’utilizzo di biodiesel, che si produce a partire dall’olio di palma. Quest’olio è sempre meno utilizzato a livello alimentare perché anni di campagne ambientaliste sono riuscite a renderlo “debole” sul mercato, oltre che per gli effetti negativi sulla salute, ma continua a essere fortemente utilizzato per produrre carburante ed energia. L’etichetta “biodiesel” dietro cui si nasconde serve proprio a ripulirne l’immagine.
«Gli europei mangiano sempre meno olio di palma, mentre ne bruciano senza saperlo sempre più utilizzando auto e camion – scrive il sito valori.it – L’anno scorso il 65% dell’olio di palma importato nell’UE è stato utilizzato per l’energia; il 53% è stato utilizzato per produrre biodiesel per auto e camion, un massimo storico, e il 12% per generare elettricità e riscaldamento, un altro record». L’Italia è il secondo produttore europeo di biodiesel da olio di palma, un prodotto estremamente nocivo per l’ambiente perché all’origine di enormi processi di deforestazione soprattutto in Indonesia e Malesia (paesi da cui viene l’85% del mercato globale). A settembre 2018 l’organizzazione ambientalista Greenpeace ha pubblicato il report «Final Countdown» in cui dimostra che negli ultimi 3 anni 25 produttori di olio di palma hanno cancellato almeno 130mila ettari di foreste e torbiere, rari ambienti acquitrinosi con importanti funzioni ambientali.

La campagna che ha causato la multa
Il ricorso contro la pubblicità ingannevole di Eni è stato promosso da Legambiente, Movimento Difesa del Cittadino e Transport and Environment (federazione europea che raccoglie organizzazioni non governative che operano nel settore dei trasporti e dell’ambiente). «Buone notizie: abbiamo portato in tribunale il #greenwashing e abbiamo vinto contro #Eni – ha commentato Legambiente su twitter – Il colosso nemico del clima è giudicato colpevole di aver pubblicizzato #EniDiesel+ come conveniente ed eco-friendly. Di verde ha solo il nome, e da oggi neanche quello. #changeclimatechange». Dal canto suo la società petrolifera si è detta stupita per l’esito del procedimento e ha annunciato l’intenzione di ricorrere al Tar.
L’Eni è finita al centro delle contestazioni dei giovani dei Fridays For Future durante l’ultimo sciopero per il clima, il 29 novembre scorso. Due giorni prima della mobilitazione globale gli uffici romani del colosso dell’energia fossile sono stati bloccati per ore, con cartelli che recitavano tra le altre cose: «Eni, basta greenwashing». Nel giorno dei cortei, invece, azioni di disturbo e blocco sono state realizzate a Stagno (Livorno) e Sannazzaro (Pavia). I Fff italiani hanno espresso soddisfazione per la decisione dell’Agcm, scrivendo sul loro profilo Facebook: «Per un’azienda che fattura 77 miliardi di euro l’anno, 5 milioni sono briciole. Ma il messaggio è chiaro: sono i maggiori inquinatori del pianeta a dover pagare i costi di questa #transizione!».
Il peso della decisione dell’antitrust è sicuramente forte, visto che Eni cura con molta attenzione (e molti soldi) la sua immagine e si promuove come azienda verde. Inoltre questo stop al greenwashing potrebbe fare da monito anche ad altre compagnie che utilizzano la rinnovata sensibilità ambientale per promuovere i loro affari, spesso resi possibili da prodotti complici della distruzione del pianeta. Quello che serve davvero, però, è lo stop immediato dei sussidi pubblici a tutte le aziende che producono energia dai combustibili fossili.

LA PAROLA
Con “greenwashing” si fa riferimento alle strategie di comunicazione di imprese, organizzazioni o istituzioni politiche che hanno l’obiettivo di costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale, allo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi per l’ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti.

Foto di copertina di Flavio Aragozzini, durante il blocco degli uffici Eni nel quartiere romano dell’Eur (27/11/2019)

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