“Se pensi che a nessuno interessi se sei vivo, prova a saltare il pagamento di un paio di rate dell’auto”.
it.businessinsider.com Mauro Bottarelli
Nella sua infinita saggezza, spesso ulteriormente dilatata dall’alcool, John Belushi esemplificava così una delle questioni più antiche e annose non solo dell’economia ma della vita: il contrarre un debito.
E se quel semplice essere in ritardo con un paio di scadenze sulla macchina è in sé spiacevole cartina di tornasole dell’essere in vita di qualcuno, preso nella sua interezza debitoria possiamo allora dire che il mondo non solo è vegeto ma scoppia letteralmente di salute.
E’ infatti appena uscito l’aggiornamento del Global Debt Monitor dell’Iif e il responso è, per l’ennesima volta dal 2008 in poi, la rottura di un nuovo record in negativo: come mostra questo grafico, il pianeta sta letteralmente annegando nei debiti.
Di ogni genere: sovrani, corporate, privati, finanziari e non finanziari. Non si salva nessuno. Nel primo trimestre di quest’anno, infatti, il debito privato totale è pari al 59,8% del Pil, quello delle aziende non finanziarie al 91,4%, quello governativo all’87,2% e quello finanziario all’80,8%.
Il tutto per raggiungere la ragguardevole sommetta di 246 trilioni di dollari, pari quasi al 320% del Pil del pianeta. Non male, altro che un paio di rate dell’automobile.
Ma c’è di meglio. Questi altri due grafici mostrano una dinamica ancora più preoccupante.
- Institute of International Finance/Ft
- Institute of International Finance/Ft
Una situazione che ha portato Sonja Gibbs. managing director per le iniziative politiche globali dell’Iif, a indossare i panni di un John Belushi più intellettuale e sintetizzare così il quadro: “E’ quasi pavloviano. I tassi scendono e l’indebitamento sale. E una volta che i debiti sono stati contratti e si sono sedimentati è difficile farli scendere senza dover stornare fondi da altri obiettivi, come ad esempio investimenti produttivi da parte delle aziende o spesa pubblica da parte dei governi”.
E quando le si fa notare come nelle ultime due decadi, il debito corporate dei Paesi sviluppati sia cresciuto più o meno in linea con il Pil, mentre nelle economie emergenti la prima voce è salita del 50% più rispetto alla seconda, la Gibbs annuisce: “C’è stato un eccessivo e non calibrato accesso di capitali su quei mercati negli ultimi venti anni. E non solo sul lato corporate ma anche in termini di liabilities contingenti per i governi. Questo non è un gruppo di Paesi con esperienza nella gestione di stock di debito nel corso dei cicli economici. Oltretutto, c’è un eccesso di indebitamento corporate a breve termine, una dinamica che espone le aziende in maniera decisamente impattante agli scostamenti dell’appetito di rischio globale”.
Insomma, guai più seri e strutturali nascosti dietro le nude cifre.
Ma una domanda finale sorge spontanea: quando la Gibbs parla di “un eccessivo e non calibrato accesso di capitali su quei mercati negli ultimi venti anni” intende forse mettere in discussione la globalizzazione tout court, lavorando per una delle istituzioni mondiali che ne è stata architrave e sponsor entusiasta?
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