A quasi tre mesi dal voto il premier uscente andrà alle Cortes. A sorpresa il leader di Podemos rinuncia a far parte dell'esecutivo, chiedendo però di dire la sua sui ministri.
Erano
sul punto di rompere, di litigare, di portare gli spagnoli alle urne
per la quarta volta in quattro anni.
Invece, due giorni dopo che Sanchez era arrivato ad accusare Podemos di “non difendere la democrazia”, è stata una mossa del leader del partito di sinistra, Pablo Iglesias, a calmare le acque.
Le trattative tra Sanchez e Iglesias
L’accordo sarà finalmente portato a casa? Nel Psoe soffiano venti di ottimismo, e ad Podemos fanno sapere alla stampa spagnola che non ci sono grosse divergenze sul programma: “Siamo convinti che arriveremo a un’intesa”, ha detto Adriana Lastra, la numero due del partito. “Bisogna parlare del programma, delle riforme di cui ha bisogno il Paese, dobbiamo dare una risposta ai desideri dei milioni di persone che hanno votato il 28 aprile”, ha sostenuto ancora Lastra.
Dopo gli scambi dei giorni scorsi, con Sanchez che ripetutamente sottolineava quante divergenze ci fossero tra il Psoe e Podemos (approccio alla questione catalana in primis), la situazione sembra essersi rasserenata.
Iglesias, infatti, ha rinunciato alle condizioni imposte all’inizio: la vicepresidenza del governo e ministeri significativi.
Il 70% dei suoi elettori, chiamati a esprimersi online, si sono mostrati favorevoli a un’intesa con i socialisti, con una premessa: che Podemos sia in qualche modo rappresentato all’interno della compagine governativa.
Iglesias si è quindi giocato l’ennesima carta: rinuncerà a far parte della coalizione a patto che Podemos possa scegliere i ministri.
“Il Psoe ora non ha scuse”, ha detto dopo aver lanciato la sua idea.
L’appello degli intellettuali
In favore dell’accordo tra Sanchez e Iglesias si sono schierati anche 200 intellettuali spagnoli, che hanno scritto un appello rivolto ai due leader: “Le elezioni di aprile hanno aperto la possibilità che una maggioranza progressista potesse raggiungere un accordo per governare. Le persone hanno lanciato un messaggio con tutte le loro forze: non vogliamo per nessuna ragione l’estrema destra al potere. Ma l’entusiasmo raccolto dopo le elezioni è andato scemando dopo le difficoltà riscontrate nel raggiungimento di un accordo”, si legge nel manifesto. Poi l’invito a non sprecare l’occasione: ”È giunta l’ora di creare un percorso, di giungere a un compromesso, di arrivare a un accordo. Questo è il tempo di fare politica per le persone”.
I numeri di Sanchez e i prossimi step
È una settimana cruciale per i socialisti quella che si apre domani, 22 luglio. Entro il 23, infatti, il premier spagnolo dovrà chiedere la fiducia al Parlamento. E la strada per il sì è non è del tutto spianata. Non è ancora chiaro, infatti, se l’intesa con Podemos sarà portata al termine, dopo mesi di trattative, dopo un susseguirsi di avvicinamenti e resistenze che hanno portato all’impasse. Con i suoi 42 parlamentari, la formazione politica di Iglesias garantirebbe ai socialisti - che hanno conquistato 123 seggi - la maggioranza assoluta. Con il necessario apporto di qualche partitino regionale.
Con l’ok di Podemos, Sanchez non dovrebbe avere grossi problemi. Riceverebbe la fiducia del Parlamento, in prima o in seconda votazione poco importa. Le difficoltà arriverebbero in caso di mancata intesa. Senza 176 voti favorevoli, Sanchez dovrebbe tornare alle Cortes 48 ore dopo. In quel caso, come previsto dalla Costituzione spagnola, per ottenere l’investitura basterebbe la maggioranza semplice che - ipotizzando il no di Podemos - potrebbe arrivare con l’astensione di uno dei grandi partiti di opposizione: i Popolari e Ciudadanos. L’ipotesi è sostanzialmente da escludere per il partito di Albert Rivera, determinato a votare “no”. Difficile ma non impossibile, invece, che i Popolari restituiscano ai socialisti il favore ottenuto nel 2016, quando una loro astensione diede il via libera all’ultimo governo Rajoy.
Il dibattito parlamentare che si aprirà domani servirà a sciogliere gli ultimi nodi. E a capire se gli spagnoli potranno, finalmente, avere un governo o dovranno rassegnarsi a tornare a votare.
Invece, due giorni dopo che Sanchez era arrivato ad accusare Podemos di “non difendere la democrazia”, è stata una mossa del leader del partito di sinistra, Pablo Iglesias, a calmare le acque.
Le trattative tra Sanchez e Iglesias
L’accordo sarà finalmente portato a casa? Nel Psoe soffiano venti di ottimismo, e ad Podemos fanno sapere alla stampa spagnola che non ci sono grosse divergenze sul programma: “Siamo convinti che arriveremo a un’intesa”, ha detto Adriana Lastra, la numero due del partito. “Bisogna parlare del programma, delle riforme di cui ha bisogno il Paese, dobbiamo dare una risposta ai desideri dei milioni di persone che hanno votato il 28 aprile”, ha sostenuto ancora Lastra.
Dopo gli scambi dei giorni scorsi, con Sanchez che ripetutamente sottolineava quante divergenze ci fossero tra il Psoe e Podemos (approccio alla questione catalana in primis), la situazione sembra essersi rasserenata.
Iglesias, infatti, ha rinunciato alle condizioni imposte all’inizio: la vicepresidenza del governo e ministeri significativi.
Il 70% dei suoi elettori, chiamati a esprimersi online, si sono mostrati favorevoli a un’intesa con i socialisti, con una premessa: che Podemos sia in qualche modo rappresentato all’interno della compagine governativa.
Iglesias si è quindi giocato l’ennesima carta: rinuncerà a far parte della coalizione a patto che Podemos possa scegliere i ministri.
“Il Psoe ora non ha scuse”, ha detto dopo aver lanciato la sua idea.
L’appello degli intellettuali
In favore dell’accordo tra Sanchez e Iglesias si sono schierati anche 200 intellettuali spagnoli, che hanno scritto un appello rivolto ai due leader: “Le elezioni di aprile hanno aperto la possibilità che una maggioranza progressista potesse raggiungere un accordo per governare. Le persone hanno lanciato un messaggio con tutte le loro forze: non vogliamo per nessuna ragione l’estrema destra al potere. Ma l’entusiasmo raccolto dopo le elezioni è andato scemando dopo le difficoltà riscontrate nel raggiungimento di un accordo”, si legge nel manifesto. Poi l’invito a non sprecare l’occasione: ”È giunta l’ora di creare un percorso, di giungere a un compromesso, di arrivare a un accordo. Questo è il tempo di fare politica per le persone”.
I numeri di Sanchez e i prossimi step
È una settimana cruciale per i socialisti quella che si apre domani, 22 luglio. Entro il 23, infatti, il premier spagnolo dovrà chiedere la fiducia al Parlamento. E la strada per il sì è non è del tutto spianata. Non è ancora chiaro, infatti, se l’intesa con Podemos sarà portata al termine, dopo mesi di trattative, dopo un susseguirsi di avvicinamenti e resistenze che hanno portato all’impasse. Con i suoi 42 parlamentari, la formazione politica di Iglesias garantirebbe ai socialisti - che hanno conquistato 123 seggi - la maggioranza assoluta. Con il necessario apporto di qualche partitino regionale.
Con l’ok di Podemos, Sanchez non dovrebbe avere grossi problemi. Riceverebbe la fiducia del Parlamento, in prima o in seconda votazione poco importa. Le difficoltà arriverebbero in caso di mancata intesa. Senza 176 voti favorevoli, Sanchez dovrebbe tornare alle Cortes 48 ore dopo. In quel caso, come previsto dalla Costituzione spagnola, per ottenere l’investitura basterebbe la maggioranza semplice che - ipotizzando il no di Podemos - potrebbe arrivare con l’astensione di uno dei grandi partiti di opposizione: i Popolari e Ciudadanos. L’ipotesi è sostanzialmente da escludere per il partito di Albert Rivera, determinato a votare “no”. Difficile ma non impossibile, invece, che i Popolari restituiscano ai socialisti il favore ottenuto nel 2016, quando una loro astensione diede il via libera all’ultimo governo Rajoy.
Il dibattito parlamentare che si aprirà domani servirà a sciogliere gli ultimi nodi. E a capire se gli spagnoli potranno, finalmente, avere un governo o dovranno rassegnarsi a tornare a votare.
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