Peccato
che di questo argomento si parli poco e non si spieghi che è in corso
una dinamica di sostituzione che avrà effetti di lungo periodo sulla
nostra Repubblica (che è fatta di Istituzioni, società ed economia) tra
immigrati a bassa qualificazione ed emigrati ad alta qualificazione.
Impedire l’arrivo dei primi non è infatti accompagnato da un analogo
impegno a mantenere in Patria i secondi o ad attirarne altri di livello
analogo.
Nella infinità
di dati disponibili, che spesso servono solo a creare confusione,
Giovanni Barbieri ha selettivamente richiamato la mia attenzione sui
seguenti. Secondo un rapporto del Centre for European Political Studies
(Ceps), la dinamica migratoria italiana tra il 2007 e il 2017 ha visto
un flusso in ingresso di 594.000 unità con titoli di studio basso
(354.000) e medio (240.000), e un deflusso verso l’estero di 133.000
italiani con titolo di studio corrispondente alla laurea o di livello
superiore.
Questo significa che la dinamica migratoria italiana è
caratterizzata da un flusso in uscita di individui con titoli di studio
alti (laurea e post-laurea, livelli ISCED 5-8) che non è per nulla
compensato dai flussi in ingresso, caratterizzati dalla predominanza di
immigrazione con titoli di studio medio-bassi, determinando di fatto un
‘drenaggio di cervelli’ verso l’estero.
Per
dare un’idea dell’enormità di questi numeri, si pensi che la Gran
Bretagna, sullo stesso arco temporale di 10 anni, ha beneficiato di un
saldo netto positivo di immigrati con alto titolo di studio pari a circa
830.000 unità, un numero che non è eguagliato dalla somma dei valori di
immigrati con titoli di studio medi (436000) e bassi (208000).
Tra
il 2007 e il 2017, il numero di espatriati italiani con alto titolo di
studio ha visto un incremento di circa il 15%, attestandosi al 33% circa
del totale degli espatri.
Questo dato contrasta con quello relativo
alla percentuale di cittadini italiani residenti dotati di un titolo di
studio di livello alto sul totale della popolazione, che si attesta a
circa il 18% del totale.
Questo dato è ancora più significativo se si
considera che l’Italia è il paese Ocse, penultimo in classifica, con la
media più bassa di laureati totali, ma con la media più alta di laureati
in materie umanistiche (30%).
Il 2017 non ha segnato un mutamento nel
trend. Secondo l’Istat, infatti, il numero di laureati italiani che ha
lasciato il paese è stato di circa 25000 con un incremento del 4%
rispetto al 2016.
In
definitiva, l’effetto di una simile dinamica è che gli individui con
alto livello di istruzione che lasciano l’Italia sono molto più numerosi
rispetto alla popolazione con equivalente titolo di studio che rimane
all’interno dei confini nazionali.
Questo ha chiaramente delle serie
ripercussioni anche sulla capacità del sistema economico nel suo
complesso di diffondere l’innovazione, che solo un nucleo di imprese
forti e competitive riesce a tenere.
Una
mobilità di questo tipo può essere spiegata non solo a partire dalla
limitata attrattività del mercato del lavoro interno per gli Italiani
con un alto livello di istruzione, ma anche con la libertà di
circolazione garantita positivamente dai Trattati europei e quindi con
la ‘condivisione’ dei cervelli.
Ci si è chiesto perché europei
qualificati di Paesi meno sviluppati dell’Itala non vengono nel nostro
Paese? Non certo perché è “brutto”, ma forse perché è troppo
burocratico”?
Inoltre bisogna rilevare che l’Italia non ha adottato
alcuna specifica politica di attrazione delle competenze, se non per
quei pochi casi, isolati e disorganici, di schemi di agevolazione
fiscale per il rientro dei cervelli.
Inoltre, gli investimenti in
Istruzione e Ricerca rimangono ancora a livelli insoddisfacenti.
Così
come grandi rimangono le difficoltà dei ricercatori nell’avere posizioni
compatibili in due diversi Paesi europei.
Infine un’economia avanzata,
come quella Italiana realizza investimenti pubblici in istruzione pari
al 4,1% del Pil su una media Ue del 4,9% (dati 2015).
Un divario enorme,
se si considera che gli stessi valori per la Germania, la Francia, e
l’Inghilterra sono rispettivamente del 4,5%, 5,5% e 5,7%. In termini di
valori assoluti sono decine di miliardi di euro di differenza da
ciascuno dei paesi citati.
Il
problema diventa ancora più grave per il Mezzogiorno che continua a
esportare giovani qualificati. Eppure il sistema dell’Istruzione
Italiana costituisce ancora un’eccellenza, altrimenti il flusso
migratorio dei giovani qualificati cesserebbe.
Una
tra le priorità di chi governa il paese dovrebbe essere perciò quella
di intervenire in maniera decisa sulle cause che spingono questi giovani
a emigrare arginando così il doppio problema della perdita di capitale
umano e anche di investimento pubblico, dal momento che la formazione di
queste competenze è sopportata, nella maggioranza dei casi, dalla
finanza pubblica e quindi dalle tasse degli italiani.
L’implementazione
di politiche orientate in tal senso, unitamente al rilancio degli
investimenti in infrastrutture sarebbe il volano per un rinnovato
percorso di sviluppo ed evoluzione dell’economia italiana nel contesto
europeo.
Nel XXI secolo le barriere sovraniste non potranno fermare il
progresso tecnoscientifico, ma solo quello sociale e civile perché senza
più istruzione e conoscenza prevarrà solo il rancore verso chi è più
istruito, più innovativo, più intraprendente.
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