È stato presentato il 9 luglio a Roma, dal presidente della commissione sanità del Senato Pierpaolo Sileri (M5S), un disegno di legge che estende la possibilità di intramoenia agli infermieri e a tutte le altre professioni sanitarie cosicchè “si completa il processo di valorizzazione dell’infermiere e delle altre professioni sanitarie che devono diventare attori del servizio intramoenia per poter godere di una loro esclusività, un loro tariffario e costruire un rapporto di fiducia con il paziente”.
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Nelle stesse ore, sempre a Roma, la Ministra della
salute Giulia Grillo insediava al Ministero della Salute l’Osservatorio
nazionale liste d’attesa finalizzato al monitoraggio e alla vigilanza
sulle liste d’attesa per “restituire ai cittadini un diritto a lungo
negato: quello dei tempi certi per le cure e per le diagnosi nella
sanità pubblica”.
In che modo possano coesistere tali evidenti
contraddizioni persino all’interno della stessa compagine governativa
non è dato sapere.
Sappiamo, invece, con assoluta certezza che le
liste d’attesa sono una delle conseguenze più infauste dei tagli e del
definanziamento della sanità pubblica e che l’intramoenia è responsabile
di parte di quegli oltre 30 miliardi di spesa che i cittadini sono
costretti a sborsare di tasca proprio ogni anno per avere accesso alle
cure. Oltre alle tasse che già pagano ovviamente e in spregio alla
garanzia di un diritto costituzionalmente riconosciuto.
Le liste d’attesa selezionano i cittadini che
possono curarsi in base al reddito; l’intramoenia deresponsabilizza
stato e aziende sanitarie dalla garanzia dei LEA, da stipendi e
condizioni di lavoro in grado di garantire la qualità del servizio
pubblico e contribuisce alla perdita di valore della funzione sociale
delle professioni di cura.
In un Paese che subisce da oltre un decennio le
politiche di austerità imposte dall’Unione Europea, che conta 5 milioni
di poveri assoluti, 9 milioni di poveri relativi e 5,2 milioni di
working poor, quanta malafede ci vuole per giustificare e incentivare la
disuguaglianza creata dall’intramoenia con la libera scelta dei
cittadini?
L’intramoenia vista dagli occhi di un cittadino
appare per quello che è: un’enorme ingiustizia sociale aggravata
dall’infamia di colpire persone fragili e in stato di bisogno; vista
dagli occhi degli operatori, medici o infermieri che siano, è una
grandissima marchetta, un baratto tra salari ben al di sotto della media
europea, carichi e condizioni di lavoro inaccettabili, sicurezza
inesistente.
La ricerca di una soluzione individuale a fronte di un problema comune ad un’intera categoria di lavoratori e lavoratrici.
I volumi di “affari” legati all’intramoenia del
resto parlano chiaro. Gli ultimi dati disponibili dell’AGENAS sono
relativi all’anno 2016 e parlano di 1,120 miliardi di cui 881 milioni
direttamente ai medici e 238 milioni all’azienda sanitaria. I ricavi dei
medici sono netti; a quelli delle aziende sanitarie vanno sottratti i
costi dell’utilizzo delle strutture pubbliche, l’ammortamento dei
macchinari, il costo del personale di supporto, ecc ecc.
Il 47,3 % dei medici del SSN (circa 53.000) pratica
l’intramoenia con un guadagno netto di circa 18.000 euro annui in
aggiunta allo stipendio e all’indennità del rapporto di esclusività col
servizio pubblico.
Parliamo naturalmente dell’emerso che non tiene conto dei fenomeni corruttivi diffusi nell’applicazione dell’intramoenia.
Il DdL che vorrebbe allargare l’intramoenia agli
infermieri non porta con sé alcun elemento di giustizia per la categoria
ma contribuisce, ancor di più, all’approfondimento delle
disuguaglianze, le rende strutturali.
In Italia non c’è carenza di medici ma mancano gli
specialisti, che è cosa ben diversa e che ha tra le cause l’incapacità
di programmazione sanitaria dei governi che si sono succeduti negli
ultimi 20 anni.
La media OCSE è di 3,5 medici ogni 1000 abitanti,
l’Italia ne ha 4 e, Germania a parte, gli altri maggiori paesi UE sono
al di sotto, la Francia con 3,2 e il Regno Unito con 2,9.
E’ certificata, invece, la carenza strutturale e la
lenta ma continua diminuzione di infermieri. Secondo l’ OCSE dovrebbero
esserci 8,9 infermieri ogni mille abitanti, in Italia ce ne sono 5,5.
Francia (10,8) e Germania (12,9) hanno valori circa
doppi rispetto alla situazione italiana mentre il Regno Unito pur stando
al di sotto della media si attesta a 7,8.
Mai come in questo caso i numeri esemplificano
perfettamente la vacuità delle parole che accompagnano il DdL
sull’intramoenia per gli infermieri, in particolar modo quando si fa
furbescamente riferimento al “rapporto di fiducia con il paziente”.
La fiducia, già ai minimi termini per lo stato
pietoso del SSN, è uno degli elementi fondanti della relazione di cura;
un legame stretto, un patto tra cittadini e operatori sanitari che
l’introduzione dell’intramoenia rischia di spezzare per sempre.
Il neonato Ordine degli infermieri e i “sindacati”
corporativi della professione rivendicano il loro contributo nella
stesura di questo pessimo disegno di legge, con una pochezza di analisi e
un disinteresse nella difesa del SSN e dei cittadini per i quali ci
sarebbe da vergognarsi, dimostrando che la loro idea di autonomia
professionale altro non è che uno scimmiottamento della classe medica
nel tentativo di ricavarne migliori condizioni economiche e di carriera.
Siamo fermamente convinti che le professioni di cura
non siano missioni ma che svolgano una funzione che deve essere
socialmente riconosciuta, giustamente remunerata e agita in condizioni
di salvaguardia della dignità delle persone coinvolte.
Ma pensiamo che non esista nessuna scorciatoia, tanto più se consumata sulle spalle dei cittadini.
Esiste la lotta, quotidiana e collettiva, per un
giusto salario, per la sicurezza dei luoghi di lavoro, per la formazione
a carico delle aziende, per condizioni e carichi di lavoro dignitosi.
A fianco dei cittadini, non contro.
USB Pubblico Impiego
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