La Finanza passa al setaccio i Cda per verificare gli allarmi inascoltati.
repubblica.it GIUSEPPE FILETTO
Dieci anni di verbali, stilati dai consigli di amministrazione di Atlantia, che raccontano tutte le attività di controllo, di verifica, dei lavori fatti dal 2008 a questa parte sul ponte Morandi. Una montagna di carte, di registrazioni e anche di file informatici che arrivano fino al 14 agosto del 2018, giorno in cui crolla il viadotto e si porta via 43 vite umane. È quanto ieri ha sequestrato la Guardia di Finanza nella sede della società, a Roma.
In via Nibby, a due passi da Villa Torlonia, i militari in abiti borghesi si sono presentati all’orario di ufficio, alle 9. È la seconda volta che lo fanno da quando il ponte è crollato. Al Gruppo della famiglia Benetton, che controlla Autostrade per l’Italia, le Fiamme Gialle avevano fatto visita lo scorso marzo, sequestrando il “Risk Managemet”, il piano del rischio. Secondo quanto trapela da Palazzo di Giustizia, l’acquisizione serve a verificare se nelle riunioni del cda sono state verbalizzate le criticità del viadotto; se l’argomento è stato trattato in un modo o nell’altro.
E però c’è una coincidenza di non poco conto, nel momento in cui i militari del Primo Gruppo di Genova, guidati dal colonnello Ivan Bixio, fanno accesso nella sede di Atlantia. Lo stesso giorno il Financial Times pubblica la notizia del report commissionato dalla società ed arrivato sul tavolo del cda lo scorso novembre. E scrive che nel rapporto, già 10 anni fa, si evidenziavano i problemi di sicurezza del ponte.
“Un documento mai reso pubblico”, scrive Donato Mancini sul quotidiano economico-finanziario del Regno Unito. Anche se quelle 87 pagine sono state acquisite da tempo dalla Procura della Repubblica e messe agli atti dell’inchiesta che vede 71 indagati più le due società, Aspi e Spea (la controllata delegata al monitoraggio della rete autostradale).
Secondo qualificate fonti investigative la notizia al Ft è stata data da un consigliere che non è più nel cda della holding. Lo stesso che avrebbe raccontato come “la presentazione del rapporto era stata affrettata, senza abbastanza tempo per elaborare i risultati del documento”. La richiesta del report e di una indagine interna, per chiarire alcuni punti oscuri sulle responsabilità, sarebbe partita nei giorni successivi al disastro. E il rapporto conterrebbe una serie di indicazioni sulle urgenzi maggiori da risolvere, formulando una scala con un punteggio da 10 a 70 (più alto, maggiore l’urgenza). E sarebbe stato affidato un codice di grado 60 sui tiranti corrosi del “Morandi”.
Per la Procura e per gli investigatori quel documento, “non è dirimente”: è una sorta di ricognizione di quanto monitorato ed effettuato come opere negli anni. D’altra parte – ricordano – il progetto di retrofitting approvato dal Ministero delle Infrastrutture a giugno 2018 e che sarebbe dovuto partire ad ottobre, si basava proprio su questo. C’è di più: già nel ‘94 la stessa Autostrade pubblicava uno studio sulle pile 9 (quella che ha fatto la strage) e 10 (fatta esplodere il 28 giugno scorso insieme alla 11). E anche Spea, più volte, aveva rappresentato le criticità. Tutto comprovato dai documenti acquisiti dai pm Massimo Terrile e Walter Cotugno.
Tuttavia, ieri Atlantia ha precisato che “l’audit citato dal Ft non ha evidenziato alcun problema di sicurezza del ponte Morandi, e diagnosi antecedenti al crollo non avevano comunque mai mostrato la necessità di un intervento urgente”.
Nessun commento:
Posta un commento