L’esenzione concessa tre mesi fa e poi prorogata non è stata rinnovata e le economie del Vecchio continente ne risentiranno in modo pesante. Il dazio Usa colpirebbe quasi 5 milioni di tonnellate di prodotti europei, di cui 3,4 milioni rappresentati da prodotti finiti e 1,5 milioni di prodotti semi-finiti e altri prodotti, come cavi e tubi. A tanto infatti è ammontato, secondo i dati raccolti da Bloomberg, l’export dei Paesi dell’Unione Europa verso gli Usa nel 2017. I Paesi più colpiti saranno la Germania e l’Olanda che, con 951mila e 632mila tonnellate di prodotti finiti esportati sono in testa all’interscambio commerciale con gli Usa. Un prezzo salato lo pagherà anche l’Italia, quinto esportatore verso gli Usa, con 212mila tonnellate di prodotti finiti lo scorso anno dietro a Francia (237.345) e Svezia (216.041) e segutia da Lussemburgo (206.957), Spagna (193.199), Gran Bretagna (172.977), Portogallo (169.082) e Belgio (153.590). “Questo è protezionismo puro e semplice“, ha replicato in una nota il presidente della Commmissione Ue Jean Claude Juncker. “Non ci resta altra scelta che prendere contromisure e procedere con un ricorso all’Organizzazione mondiale del commercio e con l’imposizione di dazi aggiuntivi su una serie di importazioni” da oltre Atlantico.
Quali concessioni chiedeva Washington? All’inizio di marzo, annunciando le misure Trump aveva specificato di avere “dei nemici che si sono approfittati enormemente di noi da anni su commercio e difesa. Se guardiamo la Nato, la Germania paga l’1% e noi paghiamo il 4,2% di un Pil molto più importante. Questo non è giusto”, ha detto riferendosi alle spese militari – fin dalla campagna elettorale Trump chiede agli alleati del Patto Atlantico di raggiungere la quota del 2% del loro Prodotto interno lordo – confermando la prassi inaugurata con il suo arrivo alla Casa Bianca: utilizzare i rapporti economici come principale paradigma nelle relazioni internazionali.
A marzo Bruxelles aveva ventilato ritorsioni per un valore di 3,3 miliardi di dollari su prodotti made in Usa come i jeans Levi’s, le moto Harley-Davidson e il bourbon, confutando le “motivazioni di sicurezza nazionale” addotte dall’amministrazione Trump per giustificare queste limitazioni al commercio internazionale.
“Consideriamo queste misure unilaterali come illegali, la sicurezza nazionale non è una giustificazione possibile”, ha detto Steffen Seibert, portavoce del governo di Angela Merkel. “Questo passo – ha aggiunto – comporta il rischio di una escalation che sarà dannosa per tutti”. Washington non arretra: “Gli Stati Uniti continueranno a combattere gli abusi di tipo commerciale”, ha fatto sapere Ross. “La eventuale rappresaglia non avrà un impatto significativo sull’economia Usa”.
Malmstroem e il ministro dell’economia del Giappone Hiroshige Seko in precedenza avevano diffuso una nota congiunta paventando “gravi turbolenze sul mercato globale” e “la fine del sistema commerciale multilaterale basato sulle regole del Wto”. I dazi sulle auto, infatti, “avrebbero un impatto restrittivo maggiore che colpirebbe una parte molto sostanziale del commercio globale”. Sia Malmstroem che Seko hanno quindi “confermato la loro intenzione di cooperare strettamente nel discutere di queste preoccupazioni con gli Stati Uniti e di fare appello ad altri Paesi che la pensano allo stesso modo di unirsi ai loro sforzi”.
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