Sarà sfuggito a pochi il fatto che Matteo Salvini abbia liquidato quello che ha definito come il “problema Regeni”
dicendo che “comprende bene la richiesta di giustizia della famiglia di
Giulio Regeni. Ma per noi, l’Italia, è fondamentale avere buone
relazioni con un Paese importante come l’Egitto”. Da un certo punto di
vista, il contenuto di questa affermazione non è sorprendente, nel senso
che riassume quella che nei fatti è stata anche la linea del governo
precedente.
Basti ricordare che le relazioni economiche tra Italia ed Egitto
(unica vera leva negoziale) non sono mai state messe in discussione,
che l’ambasciatore italiano è stato rinviato al Cairo senza che nulla
fosse stato ottenuto, o che l’allora ministro degli esteri Alfano
definiva Al-Sisi come un “interlocutore appassionato nella ricerca della
verità”.
A questo proposito, mi sento
di ripetere quanto già scritto nel febbraio 2016: “Visti gli interessi
in gioco, è chiaro che il passaggio di una versione di comodo che
assolva il regime civico-militare farebbe tirare un sospiro di sollievo a
svariati soggetti su entrambe le sponde del Mediterraneo. Solo
attraverso la mobilitazione di un’opinione pubblica scioccata ma anche
giustamente sdegnata si può tentare di evitare l’insabbiamento” (1).
La campagna per la verità e la giustizia per Giulio Regeni
è riuscita effettivamente a smontare gli strampalati alibi del regime,
tant’è vero che nessuno (eccetto terrapiattisti e affini) oggi crede
veramente all’innocenza dello stato egiziano. La campagna non è riuscita
però a provocare un sostanziale mutamento nella politica estera
italiana, cosa che in ogni caso avrebbe necessitato un più ampio
contesto di radicali (e veri) cambiamenti. La gravità delle affermazioni
di Salvini sta nel fatto che, ormai, un’alta carica dello stato possa
permettersi di dichiarare pubblicamente che Al-Sisi sia per “noi,
l’Italia” un amico non perché “appassionato nella ricerca della verità”
ma nonostante il fatto che non lo sia. Le torture, gli assassinii e le
sparizioni forzate – tutta la repressione controrivoluzionaria – del
regime egiziano vengono così platealmente normalizzati. Le parole di
Salvini – come peraltro la lunga serie di provocazioni messe in fila
nelle sue prime due settimane da razzista con ministero – simboleggiano
quindi il più generale slittamento nei rapporti di forza in seguito
all’ultima tornata elettorale e alla formazione del governo
giallo-verde.
Anche in questa
vicenda, i grillini hanno per ora dimostrato nuovamente tutta la loro
complice subalternità al 17% leghista. Solo cinque giorni prima delle
dichiarazioni di Salvini, Fico aveva incontrato Amnesty International e
dichiarato di “volere la verità a ogni costo”. Ma al momento il
presidente della camera e gli altri leader M5s non sembrano essere
eccessivamente disturbati dal fatto che il loro alleato abbia detto
l’esatto contrario. D’altronde, non è più un mistero, la coerenza non è
da annoverarsi fra i tratti caratteristici dei pentastellati. Inutile
aggiungere che, in quanto a sforzi per la verità, non c’è nulla da
aspettarsi da questo governo. Per noi, è fondamentale risolvere il
“problema Salvini”.
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