È quello che hanno scoperto gli uomini della Guardia di Finanza di Livorno: agli arresti sono finite nove persone, sette ai domiciliari.
Tra queste c’è anche il vice prefetto reggento dell’isola d’Elba, Giovanni Daveti. E poi Giuseppe Belfiore, esponente di una famiglia della ‘ndrangheta operante in Piemonte e fratello del mandante dell’omicidio del procuratore di Torino Bruno Caccia.
Le accuse – Tra le 7 persone finite ai domiciliari c’è un commercialista torinese di 50 anni, due livornesi di 41 anni e 53 anni, tre persone originarie della provincia di Ravenna e un trentottenne di Trani, in provincia di Bari. L’indagine, coordinata dal procuratore di Livorno Ettore Squillace Greco, riguarda complessivamente una trentina di persone che sono accusate a vario titolo di associazione per delinquere, porto abusivo di esplosivi detenuti per compiere un atto di intimidazione, indebita compensazione di debiti tributari con crediti inesistenti, contrabbando di 9 tonnellate di tabacchi lavorati esteri e illecita sottrazione al pagamento delle accise sugli alcolici, anche mediante falso in documenti pubblici informatici.
I rapporti tra il viceprefetto e Belfiore – Il cuore dell’inchiesta è rappresentato proprio dal rapporto tra Daveti e Belfiore. Secondo gli inquirenti dopo un accertamento tributario in cui aveva ricevuto cartelle esattoriali per 115 mila euro, il viceprefetto chiese aiuto all’uomo della ‘ndrangheta, per abbattere la pendenza debitoria sfruttando, in compensazione, inesistenti crediti Irpef artificiosamente creati e sfruttati per compilare i modelli unificati di pagamento F24. Il sistema utilizzato, secondo gli inquirenti, “prevedeva il frazionamento dell’importo complessivo dovuto all’erario in somme di entità inferiore e, per ciascuna di tali frazioni, il ‘pagamento’ mediante un modello di versamento F24 recante la corresponsione materiale, attraverso il canale home banking, dell’irrisoria somma di un euro affiancata dalla fittizia compensazione di decine di migliaia di euro”.
“La vendetta e l’amico di ‘ndrangheta” – Dall’indagine, poi, emergerebbe come il vice prefetto, ritenendosi vittima di una truffa immobiliare, avrebbe pianificato con un amico livornese una vendetta: avrebbe chiesto a un complice di reperire l’esplosivo da usare contro la vettura di famiglia del suo presunto truffatore. Gli ordigni furono intercettati dagli investigatori il 16 novembre vicino al porto livornese in un’auto con a bordo uno degli indagati, arrestato e ancora ai domiciliari: 4 cariche confezionate in modo da essere fatte brillare a distanza con un telecomando.
La frode fiscale – Gli inquirenti avrebbero accertato che queste compensazioni di cui ha beneficiato Daveti non erano un caso isolato. Con le stesse modalità altri 7 soggetti avrebbero ottenuto l’abbattimento delle proprie posizioni debitorie nei confronti del fisco, per un valore complessivo di circa un milione di euro. In un caso questo sistema ha avvantaggiato un’imprenditrice di Faenza , moglie di un membro della banda, per quasi 175mila euro. Il sistema pianificato prevedeva il versamento, da parte dei soggetti intenzionati ad accedere all’indebita compensazione, di un importo pari al 22% del “beneficio” richiesto, quale compenso per il “servizio” ottenuto. A questo importo, secondo quanto ricostruito dalle fiamme gialle, si doveva, inoltre, aggiungere un ulteriore 8% a titolo di commissione da riconoscere a Daveti per il proprio ruolo di intermediario.
Alcolici e sigarette: gli affari – Secondo le fiamme gialle l’associazione a delinquere avrebbe pianificato e realizzato frodi “nel settore del commercio internazionale di prodotti alcolici, con l’intento di sottrarsi completamente al pagamento delle accise” e operato anche nel contrabbando: un carico di 9 tonnellate di sigarette non dichiarate è stato sequestrato al porto di Livorno nei giorni scorsi. Gli inquirenti hanno stimato profitti illeciti per centinaia di migliaia di euro. Sarebbero stati architettati viaggi “fittizi” relativi a carichi di prodotti alcolici, gravati da rilevanti imposte di fabbricazione, che, predisponendo falsi documenti di trasporto, venivano fatti transitare attraverso depositi fiscali compiacenti, per poi essere esportati verso destinazioni extra-Ue grazie a una documentazione fittizia. Per compiere le truffe la banda ha anche rilevato una società di trasporti di Torino, di fatto non più operativa e individuata dal commercialista torinese: in questo modo l’organizzazione ha affittato un capannone a Castelnuovo Don Bosco, in provincia di Asti, per costituire un proprio “deposito fiscale” da utilizzare strumentalmente nelle operazioni illecite. Le frodi messe in piedi con questo sistema, spiegano le fiamme gialle, consentivano “di immettere sul mercato dell’Ue alcolici senza pagare imposte e quindi drogando il mercato, sotto il profilo del prezzo, e di spartirsi un profitto equivalente alle imposte non pagate”. L’organizzazione è risultata direttamente coinvolta nel traffico di un carico di tabacchi lavorati esteri, pari a 9 tonnellate di sigarette, per valore complessivo di 1,5 milioni di euro, che si accingevano a far entrare di contrabbando dentro un container diretto in Italia e giunto al porto di Livorno. Il carico, proveniente dalla Guinea Bissau, con scalo a Tangeri (Marocco), e che avrebbe dovuto essere composto da tavoli e sedie in legno, è stato intercettato dalle fiamme gialle e sequestrato.
I precedenti – Negli anni scorsi il vice prefetto era già finito a processo. Ai tempi in cui era capo di gabinetto della prefettura di Livorno era stato coinvolto nell’inchiesta sulle patenti ritirate per eccesso di velocità restituite previo pagamento di una somma di denaro. Nel 2009 il vice prefetto era stato assolto. Aveva sempre sostenuto la sua innocenza, ipotizzando che il suo coinvolgimento nell’indagine fosse legato alle sue inimicizie in prefettura e alla sua battaglia contro la criminalità organizzata.
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