I brigatisti erano riusciti a
rapire, prelevandolo da casa sua, il comandante supremo delle forze
Nato del Sud Europa. Fu un vero colpaccio. Ma il 28 gennaio 1982, dopo
una forsennata caccia all'uomo, un nucleo dei Nocs, reparto operativo
speciale della polizia, fece irruzione in un appartamento situato nella
periferia di Padova, liberando il generale di brigata dopo ben 42 giorni
di prigionia. Durante il blitz vennero arrestati in tutto 5 terroristi,
fra cui anche Antonio Savasta, che deciderà successivamente di
collaborare con la giustizia.
Le
sue dichiarazioni, insieme a quelle di Patrizio Peci, saranno
determinanti nel segnare la crisi irreversibile in cui sprofonderanno le
Brigate rosse. Si è quindi trattato, a tutti gli effetti, di un evento
cruciale nella storia della banda armata comunista fondata da Renato
Curcio.
Eppure,
il sequestro del generale Dozier viene quasi sempre eluso in molte
pubblicazioni e articoli sulle Brigate rosse. Vi è molto spesso stata la
tendenza, quasi inspiegabile, di voler associare tutto quello che è
stato fatto dalle Br solo ed esclusivamente con la vicenda inerente al
rapimento e all'uccisione di Aldo Moro, cioè ad avvenimenti inerenti al
1978. E non solo del caso di Dozier si parla molto poco. Anche tutti gli
altri sequestri compiuti dalle Br quali quelli di Idalgo Macchiarini,
Bruno Labate, Ettore Amerio, Giovanni D'Urso, Ciro Cirillo sembrano
essere finiti nel nulla, quasi volatilizzati dall'ampia pubblicistica
disponibile in materia.
Ma
non vi è solo questa particolare anomalia. Nell'unico citato caso che
torna a sempre a galla con prepotenza da ben 40 anni, quello del dramma
di Aldo Moro e dei suoi cinque agenti di scorta, assassinati in via
Fani, si continua con insistenza a narrare di "misteri" e "fatti poco
chiari" quando, è bene ricordalo, il cosiddetto "caso Moro" è stato
visto e rivisto nelle aule di tribunale con la celebrazione di ben 5
processi.
L'elefantiasi
documentale presente negli archivi è impressionante: 320.000 pagine
complessive per i primi due processi, 120.000 per il terzo, 20.000 per
il quarto e 10.000 per il quinto. In tutto saranno 35 i brigatisti che
verranno condannati all'ergastolo. Tutte persone che non hanno mai
negato le proprie responsabilità. Da sottolineare anche il non piccolo
particolare che mai, né in sede giudiziaria né in alcuna commissione
parlamentare d'inchiesta, sono emersi collegamenti con le Br da parte
dei servizi segreti italiani o stranieri.
E
le presunte "complicità di Stato" di cui avrebbero goduto, nel corso
del tempo, Mario Moretti e la sua organizzazione non sono mai state
provate, in alcun modo. Allora, cosa ancora si vuole cercare all'interno
della vicenda Moro? Non è solo indispensabile rileggere e capire bene
tutta la vera storia della "banda armata con la stella a 5 punte",
strutturata in una parabola lunga 18 anni che parte dal 1970 e termina
nel 1988, salvo considerare quello che è successo dopo, quando sono nate
quelle che in puro stile giornalistico sono state chiamate le "nuove
Br", responsabili dei delitti D'Antonae Biagi.
Bisogna
ricordare che per mettere correttamente a fuoco i cosiddetti "Anni di
piombo" essi furono caratterizzati da un proliferare di sigle e gruppi
vari, sia di destra quanto di sinistra, che portarono la tensione
sociale a livelli altissimi. Perché non vi furono le sole Brigate rosse.
La sinistra extraparlamentare era composta da centinaia di fazioni, a
volte in contrasto e in concorrenza tra loro, che molto spesso agivano
con modus operandi completamente diversi (come per esempio Lotta
Continua, Avanguardia Operaia, Prima Linea, Potere Operaio e molte altre
ancora).
E
vi era anche l'estrema destra, quella neo-fascista, ritenuta
responsabile delle stragi più efferate come quella della stazione di
Bologna, di Piazza della Loggia e di Piazza Fontana (Ordine Nuovo e i
N.a.r. ne sanno qualcosa). Ed è d'ineludibile importanza evidenziare di
come su altre barbare stragi costate la vita a decine d'innocenti sia
necessario, ancora adesso, arrivare a una verità consolidata.
A oggi, per esempio, non abbiamo ancora alcun condannato
in via definitiva per l'attentato sul treno "Italicus" del 4 agosto
1974, costato la vita a 12 persone. Avevamo ancora un processo in corso,
quello per la bomba esplosa sul Rapido 904 il 23 dicembre 1984, che
vedeva imputato Totò Riina.
Un
processo che non sappiamo se verrà più celebrato, data la recente morte
del "capo dei capi". Quindi, se proprio bisogna chiarire bene alcuni
aspetti di un periodo drammatico e doloroso del nostro passato,
caratterizzato dall'asprissimo clima di tensione politica che aveva
avvolto tutta la nazione subito dopo l'oceanica contestazione del 1968, è
bene andare a individuare i frammenti assenti dei puzzle inerenti a
queste due orrende stragi. Inutile, invece, continuare ad accanirsi
sulla vicenda Moro, che è stata da poco sottoposta a un'ennesima analisi
viscerale da parte di un nuova commissione parlamentare d'inchiesta.
Seppure
le teorie del "complotto" e del "grande vecchio burattinaio" non hanno
mai trovato alcun riscontro in alcuna sede processuale, gli eccidi
sanguinosi dei treni "Italicus" e "904" restano ancora con dei pezzi di
verità mancanti. Una verità che è sempre bene cercare. Ma bisogna farlo
dove manca per davvero, non dove sia la giustizia quanto la storia hanno
già dato la propria risposta.
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