venerdì 2 febbraio 2018

Anni di piombo, cosa sappiamo e cosa attende ancora risposta.

Sono passanti 36 anni esatti dalla liberazione del generale statunitense James Lee Dozier. L'ufficiale americano era stato sequestrato a Verona il 17 dicembre 1981 a opera della Brigate rosse. 
 
 
I brigatisti erano riusciti a rapire, prelevandolo da casa sua, il comandante supremo delle forze Nato del Sud Europa. Fu un vero colpaccio. Ma il 28 gennaio 1982, dopo una forsennata caccia all'uomo, un nucleo dei Nocs, reparto operativo speciale della polizia, fece irruzione in un appartamento situato nella periferia di Padova, liberando il generale di brigata dopo ben 42 giorni di prigionia. Durante il blitz vennero arrestati in tutto 5 terroristi, fra cui anche Antonio Savasta, che deciderà successivamente di collaborare con la giustizia.
Le sue dichiarazioni, insieme a quelle di Patrizio Peci, saranno determinanti nel segnare la crisi irreversibile in cui sprofonderanno le Brigate rosse. Si è quindi trattato, a tutti gli effetti, di un evento cruciale nella storia della banda armata comunista fondata da Renato Curcio.

Eppure, il sequestro del generale Dozier viene quasi sempre eluso in molte pubblicazioni e articoli sulle Brigate rosse. Vi è molto spesso stata la tendenza, quasi inspiegabile, di voler associare tutto quello che è stato fatto dalle Br solo ed esclusivamente con la vicenda inerente al rapimento e all'uccisione di Aldo Moro, cioè ad avvenimenti inerenti al 1978. E non solo del caso di Dozier si parla molto poco. Anche tutti gli altri sequestri compiuti dalle Br quali quelli di Idalgo Macchiarini, Bruno Labate, Ettore Amerio, Giovanni D'Urso, Ciro Cirillo sembrano essere finiti nel nulla, quasi volatilizzati dall'ampia pubblicistica disponibile in materia.
Ma non vi è solo questa particolare anomalia. Nell'unico citato caso che torna a sempre a galla con prepotenza da ben 40 anni, quello del dramma di Aldo Moro e dei suoi cinque agenti di scorta, assassinati in via Fani, si continua con insistenza a narrare di "misteri" e "fatti poco chiari" quando, è bene ricordalo, il cosiddetto "caso Moro" è stato visto e rivisto nelle aule di tribunale con la celebrazione di ben 5 processi.
L'elefantiasi documentale presente negli archivi è impressionante: 320.000 pagine complessive per i primi due processi, 120.000 per il terzo, 20.000 per il quarto e 10.000 per il quinto. In tutto saranno 35 i brigatisti che verranno condannati all'ergastolo. Tutte persone che non hanno mai negato le proprie responsabilità. Da sottolineare anche il non piccolo particolare che mai, né in sede giudiziaria né in alcuna commissione parlamentare d'inchiesta, sono emersi collegamenti con le Br da parte dei servizi segreti italiani o stranieri.
E le presunte "complicità di Stato" di cui avrebbero goduto, nel corso del tempo, Mario Moretti e la sua organizzazione non sono mai state provate, in alcun modo. Allora, cosa ancora si vuole cercare all'interno della vicenda Moro? Non è solo indispensabile rileggere e capire bene tutta la vera storia della "banda armata con la stella a 5 punte", strutturata in una parabola lunga 18 anni che parte dal 1970 e termina nel 1988, salvo considerare quello che è successo dopo, quando sono nate quelle che in puro stile giornalistico sono state chiamate le "nuove Br", responsabili dei delitti D'Antonae Biagi.
Bisogna ricordare che per mettere correttamente a fuoco i cosiddetti "Anni di piombo" essi furono caratterizzati da un proliferare di sigle e gruppi vari, sia di destra quanto di sinistra, che portarono la tensione sociale a livelli altissimi. Perché non vi furono le sole Brigate rosse. La sinistra extraparlamentare era composta da centinaia di fazioni, a volte in contrasto e in concorrenza tra loro, che molto spesso agivano con modus operandi completamente diversi (come per esempio Lotta Continua, Avanguardia Operaia, Prima Linea, Potere Operaio e molte altre ancora).
E vi era anche l'estrema destra, quella neo-fascista, ritenuta responsabile delle stragi più efferate come quella della stazione di Bologna, di Piazza della Loggia e di Piazza Fontana (Ordine Nuovo e i N.a.r. ne sanno qualcosa). Ed è d'ineludibile importanza evidenziare di come su altre barbare stragi costate la vita a decine d'innocenti sia necessario, ancora adesso, arrivare a una verità consolidata.
A oggi, per esempio, non abbiamo ancora alcun condannato in via definitiva per l'attentato sul treno "Italicus" del 4 agosto 1974, costato la vita a 12 persone. Avevamo ancora un processo in corso, quello per la bomba esplosa sul Rapido 904 il 23 dicembre 1984, che vedeva imputato Totò Riina.
Un processo che non sappiamo se verrà più celebrato, data la recente morte del "capo dei capi". Quindi, se proprio bisogna chiarire bene alcuni aspetti di un periodo drammatico e doloroso del nostro passato, caratterizzato dall'asprissimo clima di tensione politica che aveva avvolto tutta la nazione subito dopo l'oceanica contestazione del 1968, è bene andare a individuare i frammenti assenti dei puzzle inerenti a queste due orrende stragi. Inutile, invece, continuare ad accanirsi sulla vicenda Moro, che è stata da poco sottoposta a un'ennesima analisi viscerale da parte di un nuova commissione parlamentare d'inchiesta.
Seppure le teorie del "complotto" e del "grande vecchio burattinaio" non hanno mai trovato alcun riscontro in alcuna sede processuale, gli eccidi sanguinosi dei treni "Italicus" e "904" restano ancora con dei pezzi di verità mancanti. Una verità che è sempre bene cercare. Ma bisogna farlo dove manca per davvero, non dove sia la giustizia quanto la storia hanno già dato la propria risposta.

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