Dalla lotta alle diseguaglianze alla cancellazione del Jobs Act e della legge Fornero, dall’abrogazione del 41bis ai diritti civili, parla la candidata di Potere al Popolo, la lista nata dal centro sociale napoletano Je so’ pazzo. LeU? “Contigui al Pd”. Il M5S? “Un pezzo di establishment”. E i suoi tre punti di riferimento sono Mandela, Brecht e la partigiana Nori Brambilla. Infine si scaglia contro il voto utile: “Il voto si dà a chi ti rappresenta meglio”.
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micromega intervista a Viola Carofalo di Giacomo Russo Spena
“Ci è chiaro chi sono i nostri nemici: sono gli speculatori, i grandi evasori fiscali, i devastatori dell’ambiente, le cricche e chi ci sfrutta con lavori precari o gratuiti”.
Viola Carofalo è la portavoce di Potere al Popolo. Si mette a ridere se la chiamano candidata premier o segretaria. Preferisce esser definita per quel che è: ricercatrice universitaria e attivista. Non ha mai avuto una tessera di partito, ha 37 anni ed è militante del centro sociale napoletano Je so’ pazzo. Dove sorgeva un Opg, dal 3 marzo 2015 c’è un collettivo di giovani che agisce sul territorio con pratiche di mutualismo e fornisce servizi per la cittadinanza.
Sulle cronache nazionali è diventata nota quando lo scorso 18 giugno, ai tempi del Brancaccio, ha contestato Anna Falcone rea, secondo lei, di essere troppo vicina al ceto politico della sinistra: “Basta con i giochini elettorali, la sinistra deve imparare dalle lotte dei movimenti. E i dirigenti attuali, che sono parte del problema, devono farsi da parte”, sosteneva in quell’occasione. Alla fine Anna Falcone si è candidata come indipendente con Liberi e Uguali, lei ha lanciato insieme a Rifondazione e Comunisti Italiani una sigla nazionale: Potere al Popolo.
A sorpresa, la lista ha raccolto le firme per presentarsi in ogni collegio ed ora punta a superare la soglia di sbarramento del 3 per cento: “Ce la faremo, sono ottimista” dice Viola Carofalo. Poi, aggiunge, “il progetto di Potere al Popolo continuerà, a prescindere dal voto, anche dopo il 4 marzo”.
Perché un centro sociale napoletano ha deciso di lanciare, da un giorno all’altro, una lista nazionale?
Assistiamo ad un terribile spostamento a destra del dibattito pubblico. Se pensiamo alle dichiarazioni successive all’attentato fascista di Traini, vediamo che il problema sono sempre i migranti e non l’ondata neofascista nel Paese o i veri responsabili della crisi economica. Negli anni i governi – sia centrodestra che centrosinistra – hanno smantellato la scuola pubblica e il lavoro. Ha trionfato l’ultraliberismo. Essendo un centro sociale non siamo mai stati all’interno di percorsi politici a sinistra ma la situazione era troppo grave per rimanere con le mani in mano. Ci siamo detti: “Non ci rappresenta nessuno, proviamoci noi”.
In Italia esistono due blocchi di potere: il centrodestra e il centrosinistra. Il cosiddetto voto antisistema è, invece, rappresentato dal M5S che sondaggi alla mano è il primo partito in Italia. Intorno alla figura di Pietro Grasso si sta organizzando un quarto polo, a sinistra del Pd e per i delusi del renzismo. Mi spiega dov’è lo spazio politico per Potere al Popolo, a quale elettorato puntate?
Sgombriamo il campo da equivoci: il Pd non è di sinistra. Ed anche Liberi e Uguali non rappresenta una reale alternativa, è in totale contiguità col Pd. Loro stessi dichiarano di voler ricostruire un nuovo centrosinistra. Tra l’altro, scegliendo come leader Grasso e Boldrini, seconda e terza carica dello Stato, si rappresentanto come una lista di Palazzo. A sinistra esiste un popolo, ormai disilluso, che si rifugia nell’astensionismo o nel M5S, dobbiamo rivolgerci a loro. Dobbiamo ridare speranza ai tanti delusi dalla politica. Potere al Popolo è un voto di rottura col Sistema e di costruzione di un’alternativa alle destre nel Paese.
I sondaggi vi danno tra l’1 e il 2 per cento. Perché un elettore di sinistra – che individua la priorità nei beni comuni o nella lotta alle diseguaglianze – dovrebbe votare per voi e non LeU che è data intorno al 6?
Lo dico con fermezza: il voto a LeU è un voto ad una parte del Pd. Inoltre, sono stati al governo fino a due mesi fa e non si sono opposti a quei provvedimenti che ora criticano (penso al Jobs Act o al decreto Minniti). Ma che credibilità possono avere?
Stanotte un militante di Potere al Popolo è stato accoltellato a Perugia. Sia Grasso che Boldrini hanno chiesto lo scioglimento dei gruppi neofascisti in Italia. Almeno su questo andate d’accordo, o no?
È il minimo indispensabile, lo dovebbero dire tutte le forze democratiche. I gruppi neofascisti non esistono da un mese ma da anni e questa dichiarazione, seppur giusta, sarebbe stata più utile se fosse stata enunciata prima della campagna elettorale, sollecitando il Parlamento.
L’attore Marescotti ha dichiarato, in una recente intervista su MicroMega, che pur essendo comunista ingoierà il rospo e voterà il M5S in quanto “voto tattico” per fermare le destre. Il voto a PaP sarebbe un voto sprecato ed inutile. E credo che Marescotti incarni un pensiero diffuso a sinistra. Come replica?
Il voto si dà a chi ti rappresenta meglio, punto. Tra l’altro, il ragionamento di Marescotti (o di chi per lui) è pericoloso. Se è vero che il voto al M5S non va a rafforzare l’inciucio Berlusconi/Renzi, dall’altro è un movimento che ha posizioni di destra su sicurezza e immigrazione. E, persino, sul lavoro hanno idee convergenti col liberismo. Stanno persino assumendo tratti dell’establishment: Di Maio che va a parlare coi lobbisti della City è tutto tranne che un voto anti Sistema. Infine, i grillini sono stati all’opposizione per 5 anni avendo molti deputati: non hanno strappato né ottenuto nulla. È il voto al M5S ad essere sprecato.
Sostiene che il M5S sul lavoro ha posizioni neoliberiste, però è favorevole all’introduzione del reddito di cittadinanza. Sul tema del reddito voi di Potere al Popolo siete spaccati al vostro interno?
Siamo per il reddito anti povertà, quello proposto dal M5S è vincolato al lavoro. Sono due proposte ben differenti. Il M5S ha seguito il meccanismo inglese, più vicino al pauperismo che al raggiungimento di migliori condizioni reali per i soggetti più deboli. Ad esempio se un disoccupato risiede a Caltanissetta e viene chiamato per lavorare a Trento, è costretto ad accettare perché nella loro proposta è previsto il trasferimento da una città all’altra. Un’assurdità.
Nel programma parlate molto di lavoro proponendo la cancellazione del Jobs Act e della legge Fornero, inoltre promettete la piena stabilizzazione. Ma i soldi da dove li prendete? Avete pensato alla copertura finanziaria?
Abrogare la Fornero costa 20 miliardi di euro cioè quanto speso nel decreto salvabanche. Di cosa siamo parlando? È un problema di priorità politiche. Il tema centrale è quello della redistribuzione delle ricchezze, bisogna togliere a chi ha di più: patrimoniale sulla casa, tassazione dei grandi capitali, contrasto all’evasione, sistema fiscale fortemente progressivo, Infine, riduzione delle spese militari che rappresentano un dissanguamento per le casse italiane.
Leggo che siete per l’abolizione dell’ergastolo e del 41bis. Se non foste quotidianamente attivi nell’antimafia sociale uno penserebbe che lo dite per prendervi i voti dei clan della criminalità organizzata, ne è consapevole?
Siamo per la riforma del sistema giudiziario: il carcere, ad oggi, è una discarica sociale dove ci finiscono solamente i poveracci, chi non si può permettere un buon avvocato, chi ha commesso piccoli reali di microcriminalità o i tossicodipendenti. La recidività è altissima perché non esiste nessun percorso di reinserimento socio-lavorativo. Il carcere ha solo un impianto punitivo. La nostra Costituzione, invece, ci imporrebbe altro.
Capisco il ragionamento sul carcere come luogo dell’emarginazione sociale ma perché togliere il 41bis per i mafiosi?
Il 41bis è tortura. Questo non lo dice Potere al Popolo ma l’Onu. E quando noi parliamo di superare il 41bis non vogliamo aprire la porta ai mafiosi o aiutarli a comunicare con l’esterno. Ci mancherebbe. La nostra attenzione si sofferma su alcuni aspetti che hanno a che fare soltanto con la mera vendetta. Vogliamo cancellare quelle forme che reputo disumane per i reclusi nel 41bis come il mangiare solo pasti freddi o il non poter leggere nemmeno un libro. Se la tortura non va bene, non va bene per nessuno. Non si possono fare i distinguo. Altrimenti poi giustifichiamo anche Abu Ghraib o Guantanamo.
Nel programma parlate di “rompere l’Unione Europea dei trattati”. Che intendete? La dicitura è alquanto ambigua. Ad esempio, siete pro o contro l’euro?
Dobbiamo lavorare su due livelli: un Plan A e un Plan B. Non siamo contrari all’Europa in senso nazionalista, ma l’Unione Europea così com’è non va bene. È da riformare perché con la gabbia dell’austerity e coi vincoli del pareggio di bilancio, in questi anni, ci hanno imposto soltanto smantellamento dello Stato sociale, tagli a servizi, sanità, scuola, pensioni e compressione dei diritti sul lavoro. La risposta non sta nell’inseguire le destre né nell’abbracciare il concetto di sovranità nazionale – sono e resto internazionalista – ma nella costruzione di un’Europa che dia diritti ed opportunità alle classi popolari. Questo è il piano A. Ma se si scoprisse che questi trattati non sono riformabili dall’interno, o che non ci siano i rapporti di forza per farlo, guardiamo con interesse ad un piano B. Non moriremo per l’Europa, siamo disposti anche a rompere con essa.
E in cosa consisterebbe questo piano B? Il ritorno alla patria?
Non ci interessa la sovranità nazionale, quella è un feticcio, ma un’unione con gli altri Paesi del Sud Europa, in difficoltà come l’Italia, coinvolgendo anche gli Stati del Nord Africa. Un’Europa del Mediterraneo – popolare e solidale – contro la locomotiva tedesca.
Sempre nel vostro programma c’è scritto che siete per “l’abrogazione dell’articolo 7 con il richiamo ai Patti Lateranensi, per la piena affermazione del principio di laicità dello Stato in tutte le sfere della vita pubblica”. Come mai non fate alcun cenno alle questioni del fine vita e dell’eutanasia?
Siamo favorevoli su entrambi i temi. Quando si parla dei diritti civili, tra l’altro, rientrano anche le istanze sociali. Pensiamo ai viaggi della morte in Svizzera. L’eutanasia se la può permettere solo chi ha i soldi. Siamo ai diritti su censo. Ma posso fare un altro esempio, su una questione che mi sta particolarmente a cuore, quella di genere?
Prego...
In Italia l’aborto è un diritto ma essendoci il 71 per cento di medici obiettori negli ospedali, in alcune Regioni molte donne hanno difficoltà ad interrompere la gravidanza. Questa è una discriminazione per le donne. Bisogna vigilare quindi anche su quei diritti, teoricamente, già conquistati ma che non vengono garantiti.
Non pensa che la sinistra a furia di sposare il multiculturalismo abbia finito per perdere i valori della laicità?
Premessa: sono laica, non sono credente e non sono nemmeno per il relativismo culturale. Da un lato dobbiamo contrastare le derive razziste – e mi riferisco a chi vuole impedire l’apertura di una moschea – dall’altro la sinistra ha il dovere di promuovere un’idea laica dello Stato. E quando intendo laica, non mi rivolgo solo al cattolicesimo ma a tutte le religioni, Islam compreso. Prendiamo l’esempio del velo. Ci vuole buon senso. La battaglia laica va sicuramente fatta – non amo il velo – ma dobbiamo riflettere sull’efficacia della strategia. Non credo nelle imposizioni dall’alto, non aiutano la causa. Sono processi culturali, a volte lunghi: ci vuole il coinvolgimento diretto delle donne interessate, non una legge ad hoc.
Quali sono i suoi 3 punti di riferimento culturali?
Nelson Mandela, mi piace la coerenza che ha avuto nella sua vita. Bertolt Brecht, perché ha saputo coniugare il mondo della poesia e dell’arte alle questioni sociali. Infine, una donna: Nori Brambilla, partigiana ed antifascista. Un simbolo della Resistenza. Una donna che – rimasta orfana del grande partito comunista – è ripartita da se stessa. Si è messa in gioco in prima persona. Ci ispiriamo a lei.
(21 febbraio 2018
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