Secondo uno studio della Cattolica di Milano, l’indice di penetrazione è del 5,1 ogni 10 mila, mentre nel resto d’Italia è 2,4.
Se non bastassero le parole, le prove, i processi, le sentenze ci sono argomenti testardi come i numeri a dire che non solo la mafia a Roma c’è ed è fortemente radicata ma ha anche un’incidenza economica maggiore che nel resto d’Italia.
Non è solo questione di cosche e di picciotti quanto di capacità di infiltrare l’imprenditoria e il commercio fino a espugnarli. Di vestire i panni del crimine tradizionale e di quello finanziario.
Ecco i numeri: se la media italiana delle imprese controllate dalla criminalità sul totale di quelle registrate segna un tasso del 2,4 ogni 10 mila, qui la cifra è più che doppia e si arriva al 5,1.
Con Roma in testa, Latina a seguire e poi Frosinone.
Il dato emerge da uno studio inedito, frutto del lavoro di Crime& tech, spin-off del centro di ricerca Transcrime dell’Università Cattolica di Milano per conto della Regione Lazio e del suo Osservatorio sulla sicurezza e la legalità. I riferimenti sono sequestri e confische (576) censiti dall’Agenzia nazionale per i beni confiscati e integrati dalle cifre delle relazioni semestrali Dna. La capitale è un mare pescoso, e c’è posto per tutti. Le grandi opportunità, prima fra tutte quelle offerte dal mercato della ristorazione, lasciano che i gruppi convivano in una situazione di sostanziale equilibrio. Pochi scontri, fibrillazioni minime.
In un contesto che anche lo studio chiama “ negazionismo diffuso” regna una sostanziale pax e frequenti joint venture tra le formazioni tradizionali di Camorra e ‘ ndrangheta, i gruppi locali e le mafie autoctone come i Fasciani e gli Spada sul litorale.
Il mercato di Fondi è l’emblema della compartecipazione criminale di cosche diverse al grande affare dell’agroalimentare.
Dalla produzione, al trasporto, fino alla commercializzazione.
E dentro ci stavano tutti: i calabresi Tripodo, i casalesi Pagano, i camorristi Mallardo, i D’Alterio, di Formia, Cosa nostra e i dissidenti della Stidda. Se la mafia siciliana si è radicata in città già nell’immediato dopoguerra, conoscendo formidabili opportunità tra i Settanta e gli Ottanta, ora è già in una fase di mimetizzazione quasi assoluta. Sequestri e confische danno il primato attuale alla Camorra ( quartieri Campo Marzio, Colonna, Ludovisi, Sallustiano, Trevi, Parione, Pigna, Ponte, Regola, S. Eustachio e Trastevere) che si è concentrata sui ristoranti frapponendosi alla filiera commerciale dei prodotti nel Basso Lazio.
La ‘ ndrangheta ( Borgo, Prati, Trionfale, Pinciano, Salario, Trieste e Basso Lazio) che a Nettuno, sciolto per mafia nel 2005, aveva impiantato una propria locale, una cosca diretta emanazione della Calabria ma in grado di agire con un certo margine di indipendenza, segue invece una vocazione edilizia espandendosi nell’immobiliare e per il resto della regione, nell’ortofrutticolo e nel florovivaismo. I gruppi locali come lo era la Banda della Magliana e come è stato il clan Buzzi- Carminati ha invece le caratteristiche di una “criminalità di relazione” capace di corrompere e intimidire, risalire ai piani alti delle decisioni, gestire in proprio fette consistenti della spesa pubblica, governare appalti e servizi.
Poi vi sono gruppi nati dalle mafie tradizionali ma che sono riusciti sempre più a guadagnarsi un’autonomia operativa come i Napoletani della Tuscolana, guidati da Domenico Pagnozzi. Riproducono quello schema i Triassi (siciliani) ora soppiantatati dai clan Fasciani, Spada, Casamonica, Di Silvio- Ciarelli. Questi ultimi, vere e proprie mafie locali, coniugano le attività criminali ordinarie con una affinata capacità di investimento. Hanno a disposizione una rete di complici e consigliori che se da un lato agevolano le pratiche amministrative, dall’altro indicano la strada per camuffare le fortune utilizzando schiere di teste di legno e prestanome.
Analizzandole, le imprese a controllo criminale presentano caratteristiche simili: sono in genere più grandi delle corrispondenti aziende pulite, meno esposte dal punto di vista finanziario, più indebitate commercialmente e decisamente poco attente a far profitto. Con qualche eccezione: la rete di locali “ Pizza Ciro” dei Righi, legati al clan Contini, rappresenta il modello di un’azienda con un brand forte e riconoscibile, secondo le indagini, grande lavanderia della Camorra dei Contini ma anche dei clan Zaza, Mazzarella e degli Amato- Pagano di Secondigliano, eppure capace di stare sul mercato. Il nuovo business che però mette tutti d’accordo è il gioco. Nelle sale o online, poco importa. Basta che a dare le carte siano le mafie.
Nessun commento:
Posta un commento