Uno di questi libri è “Il
Tradimento Tedesco” di Erich Kuby, giornalista ed editorialista tedesco
sempre molto critico con la Germania postbellica, troppo incline a
perdonare e dimenticare, una Germania che solo sotto la spinta di Kuby e
di altri giornalisti come Hannah Arendt ha fatto molto parzialmente i
conti con la Germania Nazista e gli orrori da essa creati.
Purtroppo
questo libro, come molti altri di valore, dagli anni “90 del secolo
scorso non è stato più ristampato, mentre non mancano le ristampe di
narrazioni false e tossiche di chi descrive supposti assassini e
supposte atrocità da parte dei partigiani, o che parla, con la lacrimuccia facile, di “sangue dei vinti”.
Kuby non appartiene a questa schiera; soldato della Wehrmacht sino alla fine della guerra, obtorto collo
come molti suoi camerati, non ha mai risparmiato critiche al tentativo
poco velato di una bella lenzuolata per cancellare tutto. In
questo ed altri suoi libri, come “I Russi a Berlino”, critica
ferocemente il regime nazista non solo accusandolo delle atrocità
commesse, ma anche della pochezza, meschinità, squallore di tutti i suoi
appartenenti e mostrando Hitler per quel mostro che è stato.
Ne
“Il Tradimento Tedesco” svela molto chiaramente, utilizzando interviste
e documenti storici inoppugnabili, come i nazisti, ed Hitler in primo luogo, abbiano sempre e comunque disprezzato e svilito i loro alleati italiani ed lo stesso regime fascista,
di come abbiano ingannato e mentito sottacendo anche informazioni
indispensabili, non tenendo in alcun conto il loro “primo alleato”.
Per esempio, è
ormai acclarato che l’informazione dell’invasione dell’URSS sia stata
data a Mussolini nella notte, ormai a invasione iniziata, come si fa con
un servitore.
Ancora
di più Kuby si sofferma su Mussolini ed i suoi gerarchi, accusando –
con prove – il primo di essere ondivago, indeciso, incerto, di non avere
una politica estera, di essere soggiogato dalla fascinazione per Hitler
ed alla fine di fare sempre tutto ciò che gli ordinava il mostro. Parole
di apprezzamento ha invece per la figura di Ciano che, ancora in carica
come ministro degli esteri, scongiurava “il Duce” prima di non allearsi
con i tedeschi, poi di non entrare in guerra e infine, dopo
il Gran Consiglio in cui Mussolini fu esautorato dai suoi stessi
camerati, di mantenere una parte di “dirittura morale” (per quanto ne potesse avere un gerarca) e di essere stato condannato a morte da Hitler, che ordinò la vendetta a Mussolini.
Ciò
che segui fu l’occupazione e la spoliazione dell’intera penisola, con
800.000 deportati fra militari e operai specializzati, la creazione
della Repubblica di Salò, un fantoccio diretta in tutto e per tutto dai
tedeschi e le stragi e le distruzioni che ne seguirono.
Da giornalista rigoroso,
Kuby tratteggia con disprezzo la figura di Vittorio Emanuele III, della
casa reale e dell’alto comando dell’esercito che si diedero alla fuga,
abbandonando, come ben si sa, la nazione nel caos e facile preda delle
divisioni naziste incalzanti. Da
notare come questa situazione fosse già stata prevista e pianificata
dall’OKW (Ober Kommando der Wehrmacht) che con un piano
particolareggiato aveva pianificato l’occupazione e le ruberie in
Italia. Mussolini sapeva tutto questo, magari anche solo in parte, dato che l’”alleato germanico” lo tenne prigioniero fino alla fine.
In particolare l’autore sottolinea lo squallore della gerarchia fascista, in
maggioranza fuggita in Germania a fare la bella vita ed in parte
nascosta, pronta a vendersi ai tedeschi o a consegnarsi agli alleati; e
che, dopo la costituzione dell’RSI si abbandonò a corruzione e ruberie accumulando ingenti patrimoni.
Kuby
non risparmia nemmeno Badoglio, che durante il fascismo si era
arricchito a dismisura e, dopo avere abbandonato i suoi soldati ed
essersi consegnato mani e piedi agli alleati, continuerà ad arricchirsi.
Solo
pochi furono coloro che scelsero di unirsi ai gruppi partigiani in
formazione, Kuby ricorda con particolare apprezzamento il colonnello
Montezemolo che, dopo l’8 settembre, divenne una colonna portante di
coloro che operavano in clandestinità a Roma sotto i nazisti.
Da ultimo l’autore disegna la ferocia delle SS, in particolare Kappler a Roma, trovando
incredibile che, dopo essere stato condannato all’ergastolo, fosse poi
liberato con un’azione clandestina dai contorni oscuri e che avesse
potuto rientrare in Germania; “e poco mancò che nel paesello si
adornassero di bandiere per festeggiare il ritorno del figlio”.
Non mancano neanche testimonianze sui soldati tedeschi e membri della SD e delle SS. I
primi, capaci delle peggiori atrocità contro civili inermi per poi
ritrovarsi con i propri camerati a sparlare di Hitler; gli altri, come
fedeli servitori “che operavano su cuscinetti a sfera” efficienti e
feroci nella loro banalità, tanto ben tratteggiata dalla Arendt nel
processo ad Eichmann.
Ci sarebbero tanti altri particolari di rilievo, ma voglio solo ricordare le testimonianze sul comportamento dei gerarchi e su
Graziani in particolare, alla fine della guerra, tutti a correre verso
gli alleati e a spergiurare di non essere mai stati veramente fascisti,
tranne coloro che furono giustamente fucilati dai partigiani, gli unici a
conservare la dignità.
Tutto questo e molto di più si trova nel libro, corredato e corroborato da prove storiche inoppugnabili. Invito tutti a leggerlo per fare chiarezza su un periodo storico che non è terminato nel 1945, ma proseguito con i lutti che ben sappiamo fino alla riabilitazione dell’orrendo periodo ai giorni nostri.
Il testo può essere trovato in varie edizioni nel commercio on line, ma suggerisco l’edizione Supersaggi Bur del 1996, secondo me la più completa; in alternativa può essere trovato in biblioteche pubbliche mediamente fornite. Da leggere e fare conoscere.
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