Gli Stati Uniti hanno invitato la Turchia a mostrare moderazione, avvertendo che l'offensiva rischia di diluire la lotta contro i terroristi.
Cronaca di guerra. Una guerra
internazionalizzata. Ammainate le stinte insegne della pace e violati
ripetutamente gli accordi di Astana, Ginevra e quant'altro, gli eserciti
di Russia, Turchia, Damasco, Iran e Israele sono pericolosamente giunti
sull'orlo dello scontro diretto. La Turchia ha bombardato le aree
vicino al valico di Ziyara, a sud-est di Afrin, nel nordovest della
Siria, dove è in transito il convoglio di "forze popolari" filo-siriane
partite da Aleppo e dirette verso l'enclave curda teatro dal 20 gennaio
di una campagna militare lanciata da Ankara e dai ribelli alleati
dell'Esercito libero siriano. Anadolu, agenzia di stampa di Ankara,
riferisce che dopo i colpi di artiglieri turca i miliziani filo-Assad si
sono ritirati a 10 chilometri di distanza.
"I gruppi terroristici pro regime che si
sforzano di avanzare verso Afrin hanno indietreggiato di circa 10
chilometri rispetto alla città a causa di spari di avvertimento",
afferma Anadolu. La Turchia aveva messo in guardia Damasco da qualsiasi
forma di sostegno alla Unità di protezione popolare (Ypg), milizia curda
alleata degli Stati Uniti ma che Ankara considera organizzazione
terroristica.
Secondo diverse fonti, le milizie
alleate di Damasco avrebbero iniziato a convergere verso la regione:
"Gruppi di forze popolari siriane cominciano a entrare nella regione di
Afrin nel Rif settentrionale di Aleppo", riferisce la tv al-Manar degli
Hezbollah libanesi, alleati delle forze di Bashar al-Assad.
Lunedì i
media ufficiali siriani avevano annunciato "l'arrivo nelle prossime ore
delle forze popolari ad Afrin per sostenere la tenacia degli abitanti
contro l'operazione di repressione lanciata il mese scorso dal regime
turco".
La notizia dell'ingresso delle milizie
alleate di Damasco nella zona di Afrin viene riportata anche dagli
attivisti dell'Osservatorio siriano per i diritti umani, citati
dall'agenzia di stampa tedesca Dpa. Immagini diffuse dalla tv libanese
al-Mayadeen mostrano mezzi con le bandiere siriane, con miliziani a
bordo e carichi di armi, mentre entrano nell'area di Afrin.
Nelle immagini i combattenti fanno il
segno della vittoria. Sull'evoluzione del conflitto è intervenuto nel
pomeriggio Erdogan in persona: il presidente turco da un lato ha
confermato che l'avanzata dei siriani verso Afrin è stata bloccata ma
dall'altro ha lanciato una dura minaccia ad Assad. Erdogan ha dichiarato
infatti di aver concordato con il presidente russo Putin e con quello
iraniano Rouhani che "le organizzazioni terroristiche pagheranno un alto
prezzo per i loro errori". Il riferimento è ovviamente alle
organizzazioni curde che Ankara continua a considerare per l'appunto
alla stregua di terroristi. L'intervento militare di Ankara sta
sottoponendo a un insostenibile sforzo però i rapporti già sfibrati non
solo con gli Stati Uniti ma anche con la Russia, alleato chiave di
Damasco.
La decisione di Damasco potrebbe
deteriorare ulteriormente i rapporti Ankara-Mosca, Erdogan aveva già
avvertito il suo omologo russo Vladimir Putin che qualsiasi sostegno dal
regime siriano all'Ypg, "avrà delle conseguenze". E l'assedio
annunciato rientra nella strategia preventiva di Ankara. Al leader del
Cremlino, Erdogan ha ribadito un proposito non negoziabile: "La Turchia
non si fermerà". Mosca, dal canto suo, sembra voler dare ragione al
presidente siriano, che difficilmente si muove senza una via libera
preventivo della Russia, e teme una presenza turca nel paese
mediorientale: "Abbiamo ripetutamente affermato - ha dichiarato il
ministero degli Esteri, Serghei Lavrov - che sosteniamo pienamente le
legittime aspirazioni del popolo curdo". "Riteniamo sbagliato - ha
aggiunto riferendosi alla situazione ad Afrin - che qualcuno approfitti
delle aspirazioni del popolo curdo per i suoi giochi geopolitici che non
hanno nulla a che fare con gli interessi dei curdi e della sicurezza
regionale". Tensione tra Ankara e Washington L'operazione "Ramoscello
d'ulivo" ha messo a dura prova anche i legami già difficili tra Ankara e
Washington, che aveva supportato i combattenti di curdi di Ypg nella
sua lotta contro i jihadisti dello Stato islamico in Siria.
Gli Stati Uniti hanno invitato la
Turchia a mostrare moderazione, avvertendo che l'offensiva rischia di
diluire la lotta contro i terroristi. Per risposta, Erdogan ha
minacciato di estendere l'offensiva alla città di Manbij, controllata
dalle Ypg. .Nel tentativo di allentare la tensione con un alleato di
Washington nella Nato, il segretario di Stato americano Rex Tillerson
aveva fatto una visita ad Ankara la settimana scorsa durante la quale
aveva tenuto un lungo colloquio con Erdogan e il ministro degli esteri
Mevlut Cavusoglu. Ne erano usciti con l'intenzione di lavorare "insieme"
in Siria per superare la loro crisi, con "priorità" alla ricerca di una
soluzione per la città strategica di Manbij.
II prezzo più alto del conflitto
continua comunque a essere pagato dalle popolazioni civili. Per il terzo
giorno consecutivo, i raid aerei delle forze lealiste siriane hanno
continuato a martellare Ghouta Est. Il bilancio è ormai a 300 morti e
l'Onu avverte che la situazione è fuori controllo. L'Unicef ha diffuso
un comunicato in bianco a indicare che, per tanto orrore, non ci sono
parole: "Nessuna parola renderà loro giustizia".
Il comunicato è stato diffuso dopo i
feroci bombardamenti delle forze lealiste sull'enclave ribelle, alla
periferia di Damasco. "Nessuna parola renderà giustizia ai bambini
uccisi, le loro madri, i padri e i loro cari", ha detto Geert
Cappelaere, direttore dell'agenzia Onu per l'area mediorientale. Parole
seguite da una pagina in bianco. E nel postscriptum, un'aggiunta: "Non
abbiamo più parole per descrivere la sofferenza dei bambini e la nostra
indignazione. Coloro che stanno infliggendo queste sofferenze hanno
ancora parole per giustificare i loro atti barbarici?". Circa 200
civili, tra cui circa 60 bambini, sono stati uccisi da domenica da
violenti bombardamenti "Posso dirvi che è stato un inferno, abbiamo
visto bambini morire nelle nostre mani a causa di gravi ferite quando
sono arrivati tardi all'ospedale", ha detto alla "Dpa" Mohammed, medico
in uno degli ospedali della Ghouta orientale.
Secondo il medico, almeno quattro
ospedali della zona sono stati presi di mira lunedì sera. "Perché il
mondo è ancora in silenzio? Questo non è un film, questa è la realtà",
ha aggiunto Mohammed, auspicando l'intervento della comunità
internazionale.
Nell'area è in corso anche una grave
crisi umanitaria poiché gli aiuti arrivano con il contagocce e mancano
medicinali e generi di prima necessità. "Il governo siriano, sostenuto
dalla Russia, sta intenzionalmente colpendo i suoi cittadini della
Gohuta orientale.
Non solo questa popolazione soffre a
causa di un assedio crudele che si protrae da sei anni, ma ora è anche
intrappolata sotto intensi bombardamenti quotidiani che hanno lo scopo
di uccidere e ferire civili e che per questo costituiscono evidenti
crimini di guerra", dichiara Diana Semaan, ricercatrice di Amnesty
International sulla Siria. "Da sei anni la comunità internazionale sta a
guardare di fronte ai crimini di guerra e contro l'umanità commessi dal
governo siriano nella completa impunità", ha aggiunto Semaan. "Il
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – sottolinea Semaan -deve far
applicare le sue stesse risoluzioni che chiedono la fine degli assedi
delle zone abitate dai civili, la cessazione degli attacchi nei loro
confronti e l'accesso senza ostacoli degli aiuti umanitari.
Gli stati membri permanenti, Russia
inclusa, non dovrebbero impedire l'adozione di misure per porre fine a
queste atrocità di massa". Ma questa più che una speranza, è una
illusione. Perché in Siria l'umanità è morta.
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