contropiano
Se fossimo attenti solo alle elezioni, non ci sarebbe bisogno di occuparsi tanto di Emma Bonino e la sua listarella +Europa.
Ma ci occupiamo di capire soprattutto la direzione di marcia impressa
alla ristrutturazione del “modello sociale”, che altrove viene chiamata
“processo di riforme strutturali”. In questo
senso, le sortite di Bonino sui vari tempi esemplificano con spietata
nettezza le “preferenze” dell’establishment finanziario e
multinazionale, tradotte sempre più precisamente in trattati e direttive
europee.
La
sortita che interessa da vicino oltre un milione di lavoratori e la
maggior parte delle famiglie italiane è avvenuta due giorni fa, in
teleconferenza, e riguarda il mondo della scuola.
Vale la pena di citare qualche perla:
– la “scuola deve preparare più e meglio al lavoro: va bene il boom del liceo classico (in realtà si sta solo contrastando la sensibile perdita di iscritti, ndr), ma nei Paesi vicini alla piena occupazione come la Germania, cercano più ingegneri e operai specializzati che non dei latinisti”.
– “la scuola è buona se prepara anche al lavoro, non solo allo sviluppo personale e intellettuale”.
–
“il lavoro lo crea l’impresa, non lo Stato. Siamo in una fragile
ripresa economica e quindi dobbiamo intercettare questo vento
favorevole”.
–
“Il ruolo del governo è quello di creare le condizioni macroeconomiche
per questo sviluppo e perchè la crescita sia sostenibile e duratura”.– “Quindi, un maggiore scambio tra lavoro e scuola, lavoro e università, e una maggiore sintonia fra questi due settori”, sarebbe la soluzione valida sia a livello formativo che occupazionale.
Vecchia
paccottiglia neoliberista, sestiamo alle pure dichiarazioni. In realtà
non è un programma, ma la difesa pure e semplice della “buona scuola” di
Giannini-Fedeli-Renzi. Ognuna di queste
affermazioni è facilmente confutabile sul piano teorico e soprattutto
empirico. Per esempio: le imprese, in Italia, non stanno affatto
“creando lavoro”, ma semplicemente eliminando lavoratori assunti con
contratti “buoni” per sostituirli con precari pagati una miseria.
Ma
dove la Bonino dà il peggio di sé è nella critica della formazione
umanistica a vantaggio di quella puramente tecnico-esecutiva. Non serve
un genio per capire che, se un paese smette di produrre gente capace di
pensare autonomamente, magari con spirito critico verso la “formazione”
che passa il convento, quel paese non ha futuro. Basterebbero pochi
esempi per demolire questa idea, anzi uno solo: Sergio Marchionne prese
la prima laurea… in filosofia. Certo, non fece poi buon uso delle
capacità proprie della materia, ma di sicuro non si può dire che la filosofia gli abbia limitato il successo nel mondo delle imprese…
Né
si può sottovalutare il fatto che moltissimi scienziati “duri”, nella
storia della ricerca italiana, siano arrivati all’università con un
solida formazione fatta al liceo classico.
In
ogni caso, l’idea che una “formazione tecnico-industriale” garantisca
di per sé una maggiore probabilità di trovare lavoro contrasta con la
realtà effettiva dell’Italia, dove – a parte alcune zone di eccellenza
davvero di prima qualità – il patrimonio industriale sta andando in
malora o in vendita rapida.
Ma
su un punto Emma Bonino mostra una singolare ignoranza delle
caratteristiche fondamentali del paese in cui è nata. Soltanto qui, o
soprattutto qui, esiste un patrimonio storico-architettonico-culturale
di dimensioni colossali che
richiede un numero proporzionale di “scienziati umanistici”; ossia
latinisti, grecisti, medioevisti, restauratori, filologi (in varie
lingue), ecc.
Soltanto
o soprattutto in Italia, insomma, determinati insegnamenti non
costituiscono solo un “arricchiamento culturale individuale”, ma anche
una dotazione professionale in grado di produrre ricchezza, ossia
prodotto interno lordo.
E’
secondo noi la riprova che il background di interessi che spinge il
personaggio politico Bonino non ha nulla a che fare con “la crescita” di
questo o di qualsiasi altro paese; ma soltanto con l’appropriazione
privatistica della ricchezza producibile secondo schemi decisi altrove.
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