mercoledì 28 febbraio 2018

Bonino, nemica della scuola italiana

 contropiano
Se fossimo attenti solo alle elezioni, non ci sarebbe bisogno di occuparsi tanto di Emma Bonino e la sua listarella +Europa. Ma ci occupiamo di capire soprattutto la direzione di marcia impressa alla ristrutturazione del “modello sociale”, che altrove viene chiamata “processo di riforme strutturali”. In questo senso, le sortite di Bonino sui vari tempi esemplificano con spietata nettezza le “preferenze” dell’establishment finanziario e multinazionale, tradotte sempre più precisamente in trattati e direttive europee.
La sortita che interessa da vicino oltre un milione di lavoratori e la maggior parte delle famiglie italiane è avvenuta due giorni fa, in teleconferenza, e riguarda il mondo della scuola.

Vale la pena di citare qualche perla:
– la “scuola deve preparare più e meglio al lavoro: va bene il boom del liceo classico (in realtà si sta solo contrastando la sensibile perdita di iscritti, ndr), ma nei Paesi vicini alla piena occupazione come la Germania, cercano più ingegneri e operai specializzati che non dei latinisti”.
– “la scuola è buona se prepara anche al lavoro, non solo allo sviluppo personale e intellettuale”.
– “il lavoro lo crea l’impresa, non lo Stato. Siamo in una fragile ripresa economica e quindi dobbiamo intercettare questo vento favorevole”.
– “Il ruolo del governo è quello di creare le condizioni macroeconomiche per questo sviluppo e perchè la crescita sia sostenibile e duratura”.
– “Quindi, un maggiore scambio tra lavoro e scuola, lavoro e università, e una maggiore sintonia fra questi due settori”, sarebbe la soluzione valida sia a livello formativo che occupazionale.
Vecchia paccottiglia neoliberista, sestiamo alle pure dichiarazioni. In realtà non è un programma, ma la difesa pure e semplice della “buona scuola” di Giannini-Fedeli-Renzi. Ognuna di queste affermazioni è facilmente confutabile sul piano teorico e soprattutto empirico. Per esempio: le imprese, in Italia, non stanno affatto “creando lavoro”, ma semplicemente eliminando lavoratori assunti con contratti “buoni” per sostituirli con precari pagati una miseria.
Ma dove la Bonino dà il peggio di sé è nella critica della formazione umanistica a vantaggio di quella puramente tecnico-esecutiva. Non serve un genio per capire che, se un paese smette di produrre gente capace di pensare autonomamente, magari con spirito critico verso la “formazione” che passa il convento, quel paese non ha futuro. Basterebbero pochi esempi per demolire questa idea, anzi uno solo: Sergio Marchionne prese la prima laurea… in filosofia. Certo, non fece poi buon uso delle capacità proprie della materia, ma di sicuro non si può dire che la filosofia gli abbia limitato il successo nel mondo delle imprese…
Né si può sottovalutare il fatto che moltissimi scienziati “duri”, nella storia della ricerca italiana, siano arrivati all’università con un solida formazione fatta al liceo classico.
In ogni caso, l’idea che una “formazione tecnico-industriale” garantisca di per sé una maggiore probabilità di trovare lavoro contrasta con la realtà effettiva dell’Italia, dove – a parte alcune zone di eccellenza davvero di prima qualità – il patrimonio industriale sta andando in malora o in vendita rapida.
Ma su un punto Emma Bonino mostra una singolare ignoranza delle caratteristiche fondamentali del paese in cui è nata. Soltanto qui, o soprattutto qui, esiste un patrimonio storico-architettonico-culturale di dimensioni colossali che richiede un numero proporzionale di “scienziati umanistici”; ossia latinisti, grecisti, medioevisti, restauratori, filologi (in varie lingue), ecc.
Soltanto o soprattutto in Italia, insomma, determinati insegnamenti non costituiscono solo un “arricchiamento culturale individuale”, ma anche una dotazione professionale in grado di produrre ricchezza, ossia prodotto interno lordo.
E’ secondo noi la riprova che il background di interessi che spinge il personaggio politico Bonino non ha nulla a che fare con “la crescita” di questo o di qualsiasi altro paese; ma soltanto con l’appropriazione privatistica della ricchezza producibile secondo schemi decisi altrove.

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