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591 morti sul lavoro dal 1 gennaio al 31 luglio 2017. Quasi tre ogni giorno. Più di quelli provocati da tutti gli attentati terroristici in tutti i Paesi d'Europa durante tutti i mesi dello scorso anno. Davvero avevate creduto che la "sicurezza" fosse un carrarmato a piazza Venezia?
La
settimana scorsa l'Inail ha pubblicato i dati aggiornati ai primi sette
mesi del 2017 relativi agli infortuni sul lavoro. In questo periodo,
sono morte 591 persone. 29 in più dello scorso anno nello stesso
intervallo di tempo (+5,2%). 531 erano uomini, 60 donne. Quasi 3 ogni
giorno. Ai morti, bisogna aggiungere i feriti: 380.236 denunce di
infortuni, 36.224 di malattie professionali.
Si
tratta di numeri da guerra. O meglio di una strage silenziosa e
continua, visto che chi crepa sta solo da una parte. Nonostante ciò,
questi dati non hanno avuto grande rilevanza mediatica. Il rapporto è
stato presentato dai principali giornali mainstream nella sezione economia. In alcuni casi, ha ottenuto un trafiletto nelle home page, sotto la notizia della morte di due operai a Lucca, precipitati da una gru sabato scorso.
Viene
da pensare che le gru – come le officine, i forni, le autostrade, i
cantieri, le vie urbane, gli spazi domestici – dovrebbero urlare Allah Akbar prima
di uccidere. In modo da ottenere un po' più di visibilità. Per loro, ma
anche per le vittime: chi muore di lavoro, infatti, resta sempre e solo
un numero. O al massimo un nome. Mai un volto, una storia. Non deve
commuovere, né spaventare, tantomeno far riflettere.
Secondo
i dati Europol, lungo tutti i 12 mesi del 2016, in tutti gli Stati
europei, il terrorismo ha fatto 142 morti. 135 sarebbero quelli
collegati a gruppi jihadisti. Per i primi mesi del 2017, l'agenzia
dell'Unione Europea finalizzata alla lotta al crimine non ha ancora
pubblicato dati ufficiali. Secondo stime ufficiose, però, non dovrebbero
esserci particolari differenze rispetto all'anno precedente.
In
Italia il numero dei morti per terrorismo è 0. Tanto nel 2016, quanto
nel 2017. Eppure l'esercito è schierato nelle principali città, mezzi da
guerra presidiano musei e strade del centro, barriere di cemento sono
piazzate sui corsi e sui lungomare di cittadine e paesi così piccoli che
i “terroristi” potrebbero trovarli solo sbagliando strada. Già da mesi,
sotto la minaccia del terrore vengono annullati concerti e feste. La
polizia pretende di perquisire tutti quelli che partecipano a un corteo.
Tronetti sparati per strada scatenano reazioni incontrollate, che
possono provocare anche morti e feriti.
Prevenzione
si dirà. Contemporaneamente, però, ogni giorno se ne vanno tre persone
durante i turni di lavoro. In silenzio. Senza preoccupare più di tanto laggente,
troppo impegnata ad avere paura del terrore o a scaricare le
frustrazioni di una vita sui migranti che tirano pietre ai bambini...
salvo poi scoprire che erano stati i bambini, con i genitori, a tirare
pietre ai migranti. Razzisti e fascisti non si scatenano sui social network:
dai cadaveri di chi muore di lavoro hanno maggiori difficoltà a tirar
fuori voti. E poi quelli che uccidono i lavoratori sono sempre stati
loro amici e finanziatori, la storia lo insegna. Governo e parlamento
non varano alcuna legge speciale, non inviano eserciti di ispettori
nelle officine o sui cantieri, non arringano nessun popolino alla difesa
dei “nostri valori”. I nostri valori, del resto, sono anche questi:
sfruttamento e morte.
In
fondo, come ha detto il ministro Minniti - quello che ha condannato a
morte migliaia di migranti in Libia e sta provando a cancellare il
diritto al dissenso qui in Italia - «le paure non sono una questione di
statistiche, ma di percezione». E allora continuiamo a percepire -
grazie ai Belpietro e ai Del Debbio, ai Salvini, ai Di Steano e alle
Meloni - che il pericolo viene da fuori, con i barconi e la barba lunga.
Così intanto, gli stragisti di casa nostra, italiani da generazioni,
possono continuare indisturbati a far fuori tre persone al giorno.
Davvero avevate creduto che la "sicurezza" fosse un carrarmato a piazza Venezia?
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