Questo elaborato si propone di indagare ed analizzare il ruolo del
migrante in alcuni aspetti economici e sociali della società italiana;
in particolar modo, l’attenzione è rivolta ai migranti clandestini ed
irregolari, i quali stanziano spesso in un limbo di invisibilità
istituzionale – con la legislazione che non di rado preserva tale
status di “alterità”- e precarietà sociale. Lo stare nell’ombra diviene,
per alcuni, una condizione perenne, ed alimenta ineluttabilmente il
lavoro nero (rectius : economia sommersa) con la conseguente violazione
dei diritti fondamentali, oltre che - in alcuni casi- a contribuire alla
sovrarappresentazione dell’immigrato in carcere in una sorta di
“welfare sui generis” .
repubblica.it Antonio Cammisotto
Il cronico e tollerato ricorso al lavoro nero è manifestamente
riscontrabile tra le campagne del Mezzogiorno, ove le filiere agricole
sono meno attrezzate rispetto a quelle di altri territori
nazionali/internazionali e, pertanto, anche al fine di abbassare i costi
si ricorre maggiormente al lavoro nero, con il migrante che diviene il
protagonista di un infernale “tour agricolo” dettato dalle diverse
colture.
Una delle tappe è il territorio di Rosarno, provincia di Reggio Calabria, dove ormai da anni vi è la guerra delle arance.
Lì, sin dagli anni ’90 del secolo scorso, la consolidata organizzazione
criminale denominata ‘ndrangheta viene a contatto con un’altra grande
mutazione della realtà sociale, ossia la graduale sostituzione dei
braccianti autoctoni con gli immigrati nella raccolta degli agrumi, con
quest’ultimi –se è possibile- ancora più vulnerabili rispetto ai miseri
braccianti autoctoni che popolavano le campagne, a tacer d’altro perché
“altri” rispetto alla comunità.
Il fenomeno criminale della ‘ndrangheta fa del consenso della
popolazione autoctona e del controllo del territorio i suoi punti di
forza. E tanto serve a spiegare il perché, nonostante la ‘ndangheta sia
passata da organizzazione di tipo pastorale-agricolo ad holding della
malavita organizzata, il fenomeno ‘ndranghetista e soprattutto la
sottocultura mafiosa- di cui l’organizzazione si nutre- si intreccia
necessariamente con la situazione sociale dei migranti che stanziano
(periodicamente o stabilmente) nel territorio.
Fa da background un tessuto economico del settore agrumicolo arretrato,
dettato dalla scarsa incentivazione alla trasformazione produttiva e
spesso solo strumentale ad interessi economici e criminali tutt’altro
che secondari: ci si riferisce, ad esempio, alla cosiddetta truffa delle
arance di carta, ai danni della UE (prima Cee), un giro d’affari
milionario. Dunque, nonostante siano tutt’altro che anacronistici le
figure dei sensali e caporali studiati da Piselli ( 1992) che
condizionavano ( e in parte condizionano) alcuni anelli della filiera
agrumaria, la drammatica e stagnante situazione locale è condizionata
oltre che dai già detti interessi economici-criminali, dal controllo del
territorio da parte delle ‘ndrine e dal consenso cercato dalle stesse.
Detto altrimenti, il racket dell’estorsione, accettare il pizzo, non
significa solo e soltanto cedere una parte del denaro, ma presenta
sfumature molto più complesse: brevemente, significa accettare e
soggiogare ad un rapporto di subordinazione con il proprio estortore. La
dinamica del pizzo, avvertiva già da tempo il professore Nando dalla
Chiesa (1987), è funzionale ad una criminalità che si organizza, che
esige riconoscimento e sovranità; tale attività risponde, pertanto,
all’esigenza di controllo del territorio e a nulla rileva che la vittima
sia un bracciante a giornata.
A tale profilo si affianca la ricerca della legittimità, ossia dell’accettazione, attiva o passiva, da parte dell’ambiente.
Nei fatti di Rosarno (mediaticamente detti rivolta dei migranti e
contro-rivolta tra il 7 e il 9 Gennaio 2010) e nelle vicende,
precedenti e successive a tale periodo, di soprusi e violenza ai danni
dei migranti, giocherebbe un ruolo tutt’altro che secondario la ricerca
del consenso di una parte della società civile, attraendola e
legittimandosi ai suoi occhi.
A questo quadro non mancano certamente delle eccezioni, e vi è una linea
immaginaria che collega la Primavera Rosarnese del sindaco Giuseppe
Lavorato ai principi dell’accoglienza diffusa del Comune di Riace.
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mercoledì 13 settembre 2017
Mafie & Migranti. Gli ultimi di Rosarno e la guerra delle arance.
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