mercoledì 13 settembre 2017

Mafie & Migranti. Gli ultimi di Rosarno e la guerra delle arance.

Questo elaborato si propone di indagare ed analizzare il ruolo del migrante in alcuni aspetti economici e sociali della società italiana; in particolar modo, l’attenzione è rivolta ai migranti clandestini ed irregolari, i quali stanziano spesso in un limbo di invisibilità istituzionale – con la legislazione che non di rado preserva tale  status di “alterità”- e precarietà sociale. Lo stare nell’ombra diviene, per alcuni, una condizione perenne, ed alimenta ineluttabilmente il lavoro nero (rectius : economia sommersa) con la conseguente violazione dei diritti fondamentali, oltre che - in alcuni casi- a contribuire alla sovrarappresentazione dell’immigrato in carcere in una sorta di “welfare sui generis” .


repubblica.it Antonio Cammisotto
Il cronico e tollerato ricorso al lavoro nero è manifestamente riscontrabile  tra le campagne del Mezzogiorno, ove le filiere agricole sono meno attrezzate rispetto a quelle di altri territori nazionali/internazionali e, pertanto, anche al fine di abbassare i costi si ricorre maggiormente al lavoro nero, con il migrante che diviene il protagonista di un infernale “tour agricolo” dettato dalle diverse colture.
Una delle tappe è il territorio di Rosarno, provincia di Reggio Calabria, dove ormai da anni vi è la guerra delle arance.
Lì, sin dagli anni ’90 del secolo scorso, la consolidata organizzazione criminale denominata ‘ndrangheta viene a contatto con un’altra grande mutazione della realtà sociale, ossia la graduale sostituzione dei braccianti autoctoni con gli immigrati nella raccolta degli agrumi, con quest’ultimi –se è possibile- ancora più vulnerabili rispetto ai miseri braccianti autoctoni che popolavano le campagne, a tacer d’altro perché “altri” rispetto alla comunità.

Il fenomeno criminale della ‘ndrangheta  fa del consenso della popolazione autoctona e del controllo del territorio i suoi punti di forza. E tanto serve a spiegare il perché, nonostante la ‘ndangheta sia passata da organizzazione di tipo pastorale-agricolo ad holding  della malavita organizzata, il fenomeno ‘ndranghetista e soprattutto la sottocultura mafiosa- di cui l’organizzazione si nutre- si intreccia necessariamente con la situazione sociale dei migranti che stanziano (periodicamente o stabilmente) nel territorio.
Fa da background un tessuto economico del settore agrumicolo arretrato, dettato dalla scarsa incentivazione alla trasformazione produttiva e spesso solo strumentale ad interessi economici e criminali  tutt’altro che secondari: ci si riferisce, ad esempio, alla cosiddetta truffa delle arance di carta, ai danni della UE (prima Cee), un giro d’affari milionario. Dunque, nonostante siano tutt’altro che anacronistici le figure dei sensali e caporali studiati da Piselli ( 1992) che condizionavano ( e in parte condizionano) alcuni anelli della filiera agrumaria, la drammatica e stagnante situazione locale è condizionata oltre che dai già detti interessi economici-criminali, dal controllo del territorio da parte delle ‘ndrine e dal consenso cercato dalle stesse.
Detto altrimenti, il racket dell’estorsione, accettare il pizzo, non significa solo e soltanto cedere una parte del denaro, ma presenta sfumature molto più complesse: brevemente, significa accettare e soggiogare ad un rapporto di subordinazione con il proprio estortore. La dinamica del pizzo, avvertiva già da tempo il professore Nando dalla Chiesa (1987), è funzionale ad una criminalità che si organizza, che esige riconoscimento e sovranità;  tale attività risponde, pertanto, all’esigenza di controllo del territorio e a nulla rileva che la vittima sia un bracciante a giornata.
A tale profilo si affianca la ricerca della  legittimità, ossia dell’accettazione, attiva o passiva, da parte dell’ambiente.
Nei fatti di Rosarno (mediaticamente detti rivolta dei migranti e contro-rivolta  tra il 7 e il 9 Gennaio 2010) e nelle vicende, precedenti e successive a tale periodo, di soprusi e violenza ai danni dei migranti, giocherebbe un ruolo tutt’altro che secondario la ricerca del consenso di una parte della società civile, attraendola e legittimandosi ai suoi occhi.
A questo quadro non mancano certamente delle eccezioni, e vi è una linea immaginaria che collega la Primavera Rosarnese del sindaco Giuseppe Lavorato ai principi dell’accoglienza diffusa del Comune di Riace.

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