Le
presentazioni previste per ora sono due: una, certa, il 21 settembre
alle 17 all’ex OPG Occupato; un’altra, molto probabile, il 2 ottobre
stessa ora alla Biblioteca Croce, a conclusione delle celebrazioni per
le Quattro Giornate.
In quanto alla scheda, la riporto qui, perché in fondo spiega meglio e più della quarta di copertina.
In quanto alla scheda, la riporto qui, perché in fondo spiega meglio e più della quarta di copertina.
Anzitutto
ciò che il libro non è, per non ingannare chi pensa di acquistarlo.
Come in parte annuncia il sottotitolo, con il suo esplicito cenno agli
antifascisti, il lavoro non è – e non vuole essere – una ricostruzione
di scontri armati, di cui altri si sono già occupati con una dovizia di
particolari spesso in contrasto tra loro. Tranne sporadici cenni, la
rivolta “militare” non c’è.
Ci
sono, invece, sono stati finora i grandi assenti della ricostruzione
storiografica, i combattenti antifascisti e la loro lunga lotta contro
la dittatura. Ci sono – e anche qui si tratta di un vuoto che andava
colmato, le loro idee politiche, i motivi profondi per cui giungono a
metter mano alle armi e l’idea di Paese per cui si battono. Un’idea che
naturalmente non è uguale per tutti, perché tra i combattenti troviamo
non solo comunisti, anarchici e socialisti, subito divisi dopo
l’insurrezione, ma monarchici, repubblicani, cattolici, liberali e
qualche fascista che salta abilmente sul carro dei vincitori o – sembra
incredibile – attacca i nazisti per patriottismo e pensa di regolare poi
i conti con i comunisti. Di lì a qualche tempo alcuni di questi
combattenti si ritrovano nelle formazioni paramilitari neofasciste.
Ci
sono, anch’esse di fatto “dimenticate”, splendide figure femminili, che
combattono da protagoniste e una pattuglia di ebrei. A conti fatti e
calcolando per difetto, oltre trecento antifascisti; una percentuale
significativa sul totale di quanti sono coinvolti nella lotta, che non
dura quattro giorni, ma inizia l’8 settembre con l’armistizio, prosegue
senza interruzione durante la feroce occupazione della città e non
termina l’uno ottobre, con la ritirata dei tedeschi.
Una
banda partigiana, infatti, non consegna le armi, dà la caccia ai
fascisti e si ferma solo quando i carabinieri – ex fascisti, diventati
badogliani e futuri “repubblicani” – arrestano il loro capo. In quanto
agli altri, non manca chi prosegue la lotta partecipando alla
Resistenza.
Con questa impostazione il libro è, di fatto, un andirivieni tra l’Italia prefascista, quella fascista e il Paese che nasce nel dopoguerra. Non è stato facile tenere insieme i fili del ragionamento ma, grazie ai percorsi di vita e alle esperienze politiche dei protagonisti, il libro non solo smantella lo stereotipo degli “scugnizzi” e della “città di plebe”, ricostruendo il volto politico dell’insurrezione, ma fa luce sulle divisioni spesso aspre tra i combattenti negli anni successivi, su una “epurazione alla rovescia”, che vede la sinistra del Pci e del Psi messa ai margini e spesso cancellata dalla storia e gli squadristi impuniti, che conservano le loro posizioni nei gangli del potere non più fascista ma repubblicano.
Con questa impostazione il libro è, di fatto, un andirivieni tra l’Italia prefascista, quella fascista e il Paese che nasce nel dopoguerra. Non è stato facile tenere insieme i fili del ragionamento ma, grazie ai percorsi di vita e alle esperienze politiche dei protagonisti, il libro non solo smantella lo stereotipo degli “scugnizzi” e della “città di plebe”, ricostruendo il volto politico dell’insurrezione, ma fa luce sulle divisioni spesso aspre tra i combattenti negli anni successivi, su una “epurazione alla rovescia”, che vede la sinistra del Pci e del Psi messa ai margini e spesso cancellata dalla storia e gli squadristi impuniti, che conservano le loro posizioni nei gangli del potere non più fascista ma repubblicano.
In
questo senso Napoli, in cui si trovano a convivere Togliatti, Croce, De
Nicola e Giovanni Leone, diventa il laboratorio politico in cui prende
inizialmente corpo la repubblica con le sue luci e le moltissime ombre.
Il
libro, che restituisce la parola a chi non l’ha avuta, fa giustizia
delle ricostruzioni ideologiche e dei luoghi comuni. Non ultimo, quello
della celebrata disciplina e correttezza dei tedeschi, che sono invece
collusi con i contrabbandieri della borsa nera, responsabili con i
fascisti della fame che tormenta una popolazione che prende a
disprezzarli ben prima che scoppi la rivolta.
Il
saggio diventa così anche una secca risposta all’intollerabile retorica
sulla “formichina tedesca”, che assegna i “compiti a casa” alle
“cicale” meridionali.
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