Sempre più spesso non si tratta di quella sana competizione basata sulla qualità del prodotto, sull’innovazione, sull’originalità. Insomma, sul valore aggiunto del proprio capitale umano. Al contrario l’acceleratore nella maggior parte dei casi spinge sul costo del lavoro, quindi dei salari, quindi dei diritti: vince chi investe di meno. E’ un’analisi impietosa quella sui principali effetti distorsivi della concorrenza creati prevalentemente dall’onda ultraliberista sostenuta nell’ultimo decennio dall’Unione europea, che la professoressa Patrizia Tullini, ordinaria di Diritto del lavoro all’Università di Bologna ha tratteggiato a ilfattoquotidiano.it a margine dell’ultimo Convengo dell’AGI (Avvocati giuslavoristi italiani) dove ha presentato una delle due relazioni scientifiche. La pioggia di incentivi all’impiego, poi, non aiuta e meno che mai contribuisce a sanare la crisi occupazionale. Rivolgersi alla legge, d’altro canto, serve sempre meno visto che “la capacità del diritto del lavoro di contrastare le distorsioni è molto appannata”, vista l’intensa concentrazione “soprattutto sulla funzione protettiva e di riequilibrio di potere nell’ambito della relazione individuale e collettiva di lavoro”.
Fortunatamente da Bruxelles ultimamente l’aria è cambiata con la risoluzione del Parlamento europeo che nel 2017 ha adottato un documento denominato Pilastro dei diritti sociali fondamentali. Con una precisazione: “Non si tratta di difendere il passato, ma di creare dei trattamenti economici, normativi e delle tutele per i lavoratori che siano adeguati al mercato globale, alla realtà economica e sociale attuale”. Siamo finalmente agli albori di un autentico diritto del lavoro europeo? Per comprendere quanto sia elevata la posta in gioco, basta citare le parole pronunciate lo scorso agosto dal premier francese Emmanuel Macron: “Senza una revisione della direttiva europea sui lavoratori distaccati, il “dumping sociale” potrebbe portare a uno smantellamento dell’Unione europea”