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Il Giro d’Italia che ha
archiviato un secolo, il numero 101, partirà da Gerusalemme. L’hanno annunciato
con enfasi politici e tecnici italiani e israeliani. Per questioni di sponsor
e di tutto l’affarismo che lo sport diventato azienda si trascina dietro, soprattutto
dagli anni Novanta la classica “corsa rosa” ha scelto di partire fuori dal suo
territorio. Finora era andata prevalentemente in Europa (Belgio, Francia,
finanche Grecia) e un po’ più lontano fra Danimarca e Paesi Bassi. Quasi tutte
terre dove la bici è sacra e la tradizione ciclistica consolidata. Stavolta
il colpo di scena: per l'anno venturo Gerusalemme e dintorni, un’operazione di marketing politico
prima che economico. E non un ‘mordi e fuggi’ ma tre giorni tre in Israele, con
queste tappe: crono di 10 km nella città della Terrasanta, 167 km da Haifa a
Tel Aviv, 226 km da Be’er Sheva a Eilat. Perché? Nella presentazione questa la
motivazione del direttore del Giro Mauro Vegni: “Per dare un’immagine diversa di Israele, che è un Paese che ha fame di
sport. La sicurezza? Sinceramente non mi sentirei più sicuro in Europa in
questo momento. Per quanto riguarda le questioni politiche, sappiamo che ci
saranno strumentalizzazioni. Ma non facciamo alcun passo oltre rispetto a
quelli fatti dal governo italiano”. Ed ecco la posizione dell’esecutivo che
con la mano del ministro allo Sport Luca Lotti scrive: “Il prossimo Giro d’Italia sarà speciale: la partenza avverrà da
Gerusalemme, un luogo affascinante, immerso nella Storia e in uno scenario
irripetibile, simbolo della ricerca instancabile dell’armonia tra popoli
(sic)”.
E ancora: “Far partire qui la corsa (Lotti era a
Gerusalemme, ndr) rappresenta un ponte
ideale tra Italia e Israele, fatto di cultura, tradizioni e ora anche di sport…”.
Oltre alla buona volontà offerta dall’ufficialità della circostanza e
all’involontaria
gaffe sull’armonia fra i popoli, encomio diretto a una nazione che
incarna
guerre e sopraffazione a danni dei palestinesi, la scelta del nostro
governo appare in tutta la sua ingombrante faziosità, volta a sposare
gli
interessi israeliani di uso dello sport come mera propaganda ed
eventuale volano per il turismo. Il tutto per uscire dall’isolamento in
cui versa
il Paese ottusamente governato dal premier Netanyahu. Prestare il
fianco, come
fanno gli organizzatori della storica manifestazione col benestare del
governo
Gentiloni, agli interessi di Israele è assurdo. Perché le
presunte strumentalizzazioni, già preannunciate da ‘patròn Vegni’ (ah,
Torriani quanto ti rimpiangiamo…) come potrebbero esser definite già
queste righe, altro
non sono e non saranno che il desiderio di stabilire una realtà storica,
insanguinata
dall’oppressione e dall’occupazione di terra. Non si domandano i nostri
zelanti
politici e tecnici che portano lo show del Giro in Palestina, cos’è quel
nome,
cos'è quella gente non solo in un lontano passato, ma in epoca recente.
Qui e ora.
I
dieci chilometri di crono nelle strade di Gerusalemme vedranno, per
ragioni
di sicurezza, migliaia di soldati di Tsahal. Ma queste uniformi da
cinquant’anni occupano illegalmente
la città santa (le risoluzioni Onu non rispettate s’inseguono nel
tempo), portando violenza e morte fra la popolazione araba che lì vive
da millenni e ne viene
espulsa. Non si chiedono, Lotti e Vegni, di Be’er Sheva, inclusa dal
piano di
ripartizione della Palestina nel territorio destinato allo Stato arabo e
occupata ‘manu militari’ nell’ottobre 1948 da un battaglione israeliano
che ne
produsse di fatto l’annessione alla propria creazione politica. Né
vogliono sapere di Haifa, abitata negli anni Venti del Novecento da
100.000 palestinesi, diventati già nel 1947 poche migliaia poiché
fuggivano dalle
operazioni di pulizia etnica delle bande paramilitari dell’Irgun, fino a
essere
deportati definitivamente l’anno seguente dall’esercito d'Israele, col
benestare britannico. Forse è bene che gli amanti dello sport
s’avvicinino a
queste storie, perché accanto agli ebrei perseguitati dalla Shoa e
aiutati, fra
gli altri, dal campione del pedale Gino Bartali (bei gesti menzionati da
Lotti per creare un legame fra ieri e oggi), c’è la sciagurata presenza
d’un sionismo sordo a qualsiasi convivenza pacifica. Nato per sopraffare
e
opprimere. Ricordarlo non è strumentale, è sete di verità.
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