23 / 8 / 2015
Il
viaggio in Messico conclusosi circa una settimana fa ci ha permesso di
vedere quel ponte tra Chiapas e Rojava di cui nell'ultimo anno abbiamo
riempito i nostri discorsi e che ha indirizzato i nostri percorsi,
diventando così anche la base dell'Associazione Ya Basta! Edi Bese! con
la quale abbiamo ridato respiro a un percorso già consolidato negli anni
precendenti.
L'iniziativa a cui abbiamo preso parte a
San Cristobal, organizzata da un gruppo di ragazzi che si occupa dei
diritti umani degli indigeni, ci ha permesso di raccontare la nostra
esperienza nel Kurdistan turco attraverso la rievocazione della
staffetta svoltasi nell'autunno scorso e di tutte le iniziative e
mobilitazioni a sostegno della resistenza curda a cui abbiamo
partecipato.
La recente pubblicazione in spagnolo e la
distribuzione tra i “compas” del “Confederalismo Democratico” di Ocalan
ha certamente alimentato l'interesse e la voglia di spingersi a
conoscere questa esperienza ipotizzando una futura presenza sul
territorio. Le quasi due ore di dibattito e domande ne sono state la
conferma: dalle questioni più teoriche su come possa evolvere il
confederalismo democratico e il rapporto tra le assemblee dei cantoni
della Rojava e la decisione di candidarsi come partito politico alle
scorse elezioni in Turchia, a domande di carattere più pratico
riguardanti le modalità di passaggio del confine turco-siriano, hanno
alimentato la serata.
Al centro di tutto stava la
riflessione su cosa accomuna Chiapas e Rojava, zapatismo e
confederalismo democratico. E se tra i temi principali vi era quello
dell'autonomia dei territori non si può non pensare anche al contesto in
cui eravamo immersi, il Chiapas, e al luogo in cui avevamo vissuto gli
ultimi tre giorni, ovvero La Realidad. Riuscire a parlare di certe
tematiche liberamente, azzardarsi in riflessioni e paragoni, a San
Cristobal, dove più di vent'anni fa è iniziata quella rivoluzione
zapatista che continua tutt'ora, regala un senso di romanticismo e
voglia di ribellione.
Quello che gli
zapatisti ci hanno dimostrato in più di vent'anni è che la rivoluzione è
possibile e che si costruisce giorno per giorno. Dopo gli scontri
aperti con il governo messicano e l'esercito federale in materia di
riconoscimento dell'autonomia e dei diritti degli indigeni, si è passati
ad una fase in cui il conflitto non è più visibile ma esiste ancora.
L'autonomia raggiunta dai villaggi e l'organizzazione basata sui
Caracoles è costantemente minata dalla Controinsurgencia, nata poco dopo
l'inizio della rivoluzione zapatista e che, come abbiamo potuto
constatare nel nostro viaggio in Messico, esiste ancora e con il tempo
rischia di aumentare.
La tensione ancora forte anche
dopo la morte di Galeano si percepisce all'interno de La Realidad. E'
lì, dove gli zapatisti sono riusciti a dare vita ad un modello
efficiente di autorganizzazione e autosostentamento, che il mal gobierno
tenta di insediarsi e distruggere ciò che è stato creato con il
coinvolgimento e lo sfruttamento degli indigeni non zapatisti ai quali,
in cambio promette denaro e proprietà. Parliamo soprattutto della CIOAC
“Historica”, organizzazione paramilitare non zapatista supportata dal
governo nelle sue azioni di appropriazione delle terre e di mezzi
appartenenti agli zapatisti.
Non si tratta quindi di
scontri armati diretti tra Ezln e esercito federale, ma tali forze sono
comunque coinvolte in quella che è diventata una guerra di sottofondo,
che fa tenere sempre alto il livello di attenzione e protezione degli
abitanti dei villaggi e di chiunque si rechi qui a portare il suo
appoggio.
Nonostante questo la rivoluzione all'interno
dei Caracoles va avanti: le scuole insegnano la storia e l'importanza
della rivoluzione, nuovi progetti vengono avviati e i comandanti stessi
ripongono le loro speranze nelle nuove generazioni di zapatisti, i figli
della rivoluzione del 94, affinché non vengano ingannati dagli
strumenti del capitalismo e li sprona a diventare i protagonisti della
nuova società che li ha visti nascere e che stanno costruendo.
Una
difficoltà questa che però viene percepita poco all'esterno delle
comunità del Chiapas e nelle altre parti del Messico. Spesso sono stati
accusati per il troppo silenzio che circondava la Selva Lacandona, forse
proprio dovuto ai problemi interni, e la mancanza di comunicazione in
determinate situazioni, quando ormai ci si era abituati alla loro
presenza anche al di fuori della Selva stessa, nella marcia a Città del
Messico, fino nelle strade dopo il massacro di Acteal. Paradossale se si
pensa agli inizi della rivoluzione e al modo in cui gli zapatisti sono
riusciti ad appropriarsi di uno dei mezzi più usati dal capitalismo,
Internet, per trasmettere il loro messaggio di lotta a milioni di
persone, così lontane tra loro ma unite nella ricerca di un'alternativa
al sistema capitalista, e diventare così parte di un immaginario comune
che li ha resi il simbolo della resistenza contro ogni forma di
oppressione per molti anni. Strumento che si è continuato ad utilizzare
anche negli anni successivi, con il quale sono stati diffusi i
comunicati del Subcomandante Insurgente Marcos, oggi Galeano, e che ci
hanno permesso di conoscere in parte l'evoluzione del movimento
zapatista.
Negli ultimi tempi però proprio la figura
di Marcos è stato attaccata per il troppo silenzio soprattutto in
occasione della sparizione dei 43 studenti della Escuela Normal Rural de
Ayotzinapa, avvenuta il 26 settembre 2014, e che è continuato anche nei
mesi successivi mentre in tutto il mondo si svolgevano mobilitazione in
solidarietà alla disperata ricerca dei genitori degli studenti
scomparsi.
Silenzio però che è stato interrotto nel
novembre scorso durante il quale, per la prima volta, i genitori degli
studenti desaparecidos hanno incontrato i membri dell'EZLN nel corso del
loro tour per il paese e successivamente quando sempre l'EZLN ha ceduto
loro il posto al Primo Festival Mondiale delle Resistenze e delle
Ribellioni, sottolineando la forza della loro dignità nel continuare la
ricerca della verità e aprendo quindi a nuovi percorsi di lotta
condivisi.
In questo nostro viaggio
abbiamo incontrato diverse esperienze di lotta tutte unite da un filo
rosso che non è altro che quello della fragilità della propria esistenza
all'interno della scelta di fare movimento. La varietà delle proteste
che agitano l'intero Messico riguardano la limitazione, e più spesso la
cancellazione, della libertà di stampa e la possibilità di avviare
inchieste, in quanto spesso ne sono coinvolti proprio gli apparati
statali e militari che dovrebbero tutelare la salvaguardia dei
cittadini; così come le scuole rurali, prima fra tutte la scuola di
Ayotzinapa, esempio perfetto di ribellione dal basso e autogestione, di
capacità di lettura e analisi della complessità del mondo e che va al di
là del compito primario di formare maestri che queste scuole si sono
date. Fino ad arrivare in Chiapas, culla degli zapatisti e ispirazione
per migliaia di movimenti in tutto il mondo. La difficoltà maggiore che
si ritrovano a superare è forse la problematicità di reggere e mantenere
salda una rivoluzione. Come già scritto in precedenza, si tratta di un
contesto in cui la guerra la si combatte sullo sfondo, senza scontri
diretti ma che mette in campo strumenti di militarizzazione come
risposta alla crisi e repressione, iniziati con il governo Calderon in
grado di controllare fortemente la vita delle persone attraverso
sparizioni forzate e corruzione dilagante in tutti i gradi di potere
causando una totale sfiducia nelle istituzioni e allo stesso tempo sono
anche la causa della disgregazione del tessuto sociale in cui domina il
monopolio della violenza legittimata dallo Stato. Per questo scegliere
di fare movimento in Messico non è la stessa cosa che farlo in altri
contesti, ad esempio, quelli europei. Qui non si torna indietro. La
consapevolezza e la certezza di rischiare di non tornare a casa dopo un
corteo, dopo un'assemblea o semplicemente dopo un volantinaggio è forte e
condiziona la propria quotidianità e le future scelte di vita. L'uso
del proprio corpo è totale: non solo nelle manifestazioni di dissenso,
ma esso diventa una forma con cui mostrare la propria voglia di
cambiamento. Tanto che si arriva a percepire una sorta di accettazione
della morte, di normalità anche quando ci si ritrova in corteo per
protestare contro l'ennesimo omicidio di un giornalista.
Diverso
è invece il contesto di un'altra rivoluzione alla quale abbiamo portato
la nostra solidarietà a partire da quest'anno: la rivoluzione della
Rojava. Già molto è stato scritto sulle motivazioni, umane e politiche,
che ci hanno spinto fino al confine turco-siriano e dentro la città
liberata di Kobane.
A differenza del Chiapas qui la
guerra è aperta e totale. Sullo sfondo della guerra civile siriana, il
conflitto tra l'autodifesa curda Ypj e Ypg e i fondamentalisti islamici
dell'Isis da circa un anno continua a mietere vittime tra i militari e i
civili. Questa è la differenza tra le due esperienze di ribellione che
maggiormente salta all'occhio in questo momento e che determina anche
l'evoluzione dei due movimenti a livello della società civile.
Oltre
ai curdi siriani che combattono al fronte, la rivoluzione della Rojava è
espressa anche nelle proteste che hanno riempito le strade della
Turchia e che continuano a crescere. Già un mese è passato
dall'attentato al centro culturale di Amara nella città di Suruç e tali
rivolte non danno segno di scemare come magari è successo in passato. In
questo va dato conto alla forza e determinazione con cui il PKK ha
rotto senza indugi la tregua promossa negli ultimi due anni in cui però
il popolo curdo non ha mai creduto veramente, supportato anche
dall'aumentare della repressione nei confronti dell'identità curda e
dalle politiche islamiste promosse dal sultano Erdogan. Una
dimostrazione di forza e coraggio nel fare determinate scelte di lotta e
vita che, come nel contesto messicano, diventano un tutt'uno e anche
qui, quindi, fare movimento assume un significato più profondo e
determinante.
E come nel caso degli zapatisti, anche
qui il governo ha cercato di intervenire con le modalità più subdole e
viscide andando a colpire la rivoluzione dall'interno e arrivando a
corrompere e sfruttare i più deboli promettendo loro denaro e altre
ricompense. Un modo di agire in sordina mentre di facciata si stringono
alleanze con gli Usa contro l'Isis, si bombardano le postazioni militari
del Pkk e si uccidono a sangue freddo i civili curdi. Uno stato di
militarizzazione che anche in questo caso vuole controllare e reprimere
ogni forma di opposizione e che ha visto un incremento dopo il successo
del partito filo-curdo HDP alle elezioni del giugno scorso che ha fatto
scricchiolare il piano di egemonia del presidente Erdogan.
Tutti
sintomi della debolezza di uno stato-nazione che non riesce a tenere
insieme e a dare espressione a tutte le componenti che attraversano il
suo territorio e la sua società. Di fronte alla fragilità del governo
messicano e di quello turco, la risposta è arrivata dagli uomini dalle
donne che si sono ribellati prima in Chiapas e poi nella Rojava. Il
sovvertimento dello status-quo, delle egemonie istituzionali e militari,
della corruzione degli organi di potere è iniziata dal basso, da quelle
zone relegate ai margini della società che hanno iniziato il loro
percorso dalla liberazione dei propri territori e su cui hanno fondato
la loro autonomia, un esperimento territoriale e politico che è riuscito
ad includere tutte le componenti della società e lontano quindi dal
concetto escludente di stato-nazione. Un movimento che ha saputo
autorganizzarsi e rendersi indipendente dai propri governi,
allontanandosi dal modello di capitalismo dominante nel mondo, ma
aprendosi ad altre forme di lotta e facendo sentire così vicini Messico e
Rojava.
E come nelle scuole
zapatiste in cui non si utilizzano i libri per far apprendere
definizioni e nozioni, ma si insegna a porre domande, è così che tali
rivoluzioni possono continuare e altre a nascere. E' necessario
continuare a porsi interrogativi, ad analizzare criticamente ciò che ci
circonda e rimettere in gioco tutto quello che ci viene imposto
dall'altro. E' necessario continuare a camminare domandando.
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