lunedì 24 agosto 2015

Finanza Globale. Cina, il Financial Times spiega in 4 grafici perché dobbiamo avere tutti paura della crisi cinese (TABELLE).

Gli effetti della crisi cinese sui mercati globali sono sotto gli occhi di tutti, eppure non è facile rendersi conto perché Pechino, da sola, possa far tremare l’economia mondiale. Una strada immediata per rendersene conto è osservare queste quattro tabelle realizzate da FTN Financial, che mostrano chiaramente perché il rallentamento dell’economia cinese spaventa così tanto i mercati di tutto il mondo.

CRISI CINACome spiega sulle colonne del Financial Times l’economista George Magnus, la situazione è ancora più grave se si pensa che il tonfo di Pechino non deriva certo da una perturbazione transitoria, bensì rappresenta l’avvicinarsi della fine del modello cinese per come l’abbiamo conosciuto fino ad ora.
Per quanto riguarda il Pil, il primo grafico mostra come la Cina detenga una fetta del Prodotto Interno Lordo globale paragonabile a quella degli Stati Uniti. Quanto al petrolio, la Cina da sola consuma l’11 per cento del totale mondiale. Infine, gli ultimi due grafici forniscono una fotografia del consumo della Cina di rame (57 per cento) e dell’importazione di ferro (un impressionante 2/3 dell’import globale).

(Continua a leggere dopo i grafici - courtesy of FTN Financial)
Nel suo editoriale Magnus spiega che le vicende di questo agosto – dal crollo delle borse asiatiche al disastro industriale di Tianjin – simboleggiano “l’epilogo in slow motion del modello politico ed economico cinese”. “Il Paese – scrive l’economista – sta ora attraversando una crisi di transizione senza pari dai tempi di Deng Xiaoping”, considerato il pioniere della riforma economica cinese e l'artefice del socialismo con caratteristiche cinesi.
Secondo Magnus, la centralizzazione del potere operata dal presidente Xi Jinping si sta rivelando un’arma a doppio taglio per le riforme, così come la campagna contro la corruzione sta mettendo degli intoppi allo spirito d’iniziativa e alla crescita. Ma soprattutto – continua Magnus – l’economia non può essere mantenuta su un percorso di espansione irrealistico basato su uno stimolo infinito. È giunto il momento – conclude l’economista – di accettare che si sta avvicinando un tempo in cui il tasso di crescita sarà permanentemente più basso. Sarà questo scenario a mettere alla prova la credibilità e la volontà riformatrice dei leader cinesi in modi che determineranno le prospettive del Paese per gli anni a venire.

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