mercoledì 22 aprile 2015

Open source contro i monopoli del web. "Facebook è più pericoloso di Google"

Open source contro i monopoli del web. "Facebook è più pericoloso di Google"Dan Gillmor, esperto di media e tecnologia, parla della sua battaglia contro i monopoli che lo sta portando a usare prodotti open source. Ma, nonostante la spinta centralizzatrice, Gillmor crede che Internet sia ancora un luogo aperto ed egalitario. "Non abbiamo ancora perso".


PERUGIA - Niente più Mac, ma un pc Lenovo su cui ha installato Linux. Mentre Chromium, una versione aperta di Chrome, è diventato il suo principale browser di riferimento. Libre Office ha sostituito Word per i documenti. DuckDuckGo ha rimpiazzato Google search per le ricerche. Questa è la nuova dieta tecnologica firmata Dan Gillmor. Tutta votata all'open source. Esperto di media e direttore del  Knight Center For Digital Media Entrepreneurship dell'Arizona State University, Gillmor non ama i monopoli. Tanto da aver deciso di abbandonare gradualmente le grandi compagnie, e di dare spazio ai prodotti sviluppati dalle comunità. L'aveva già annunciato sulla piattaforma Medium, in un post sùbito diventato virale. E sta mantenendo la promessa. "Goodbye Google, Microsoft e Apple", era stata la rivelazione del 21 febbraio scorso. Una presa di posizione netta, che ha anticipato di pochi giorni un anniversario importante: il 30esimo compleanno del manifesto Gnu, che ha posto le basi del movimento per il software libero.


Quello di Gillmor, però, non è un colpo di testa. Ricorda una svestizione, un rituale, da seguire meticolosamente, senza saltare alcuna tappa intermedia: passo dopo passo. E che concede anche qualche eccezione. "Contrastare la centralizzazione" è l'unico imperativo, evitando di perdere la fiducia nel mezzo. Perché, è vero, Internet ha creato dei giganti, come Big G e ancor di più il social network targato Mark Zuckerberg, un colosso sempre più capace di decidere che cosa entra a far parte della nostra informazione quotidiana. "È potenzialmente più pericoloso di Google per la libertà di espressione", avverte il giornalista.  Ma di base la Rete, secondo Gillmor, rimane un luogo aperto ed egalitario, dove c'è ancora libertà per comunicare ciò che si vuole e usare diversi strumenti. "Non abbiamo ancora perso", dice, ottimista. L'abbiamo intervistato a Perugia, durante il Festival internazionale di giornalism

Gillmor, è possibile raggiungere una vera libertà tecnologica?
"No, non interamente. Certo, puoi evitare certe connessioni e l'uso di alcuni servizi. Ma abbandonare totalmente tutte le grandi compagnie significherebbe anche fare a meno di strumenti incredibilmente utili. Sto pensando, ad esempio, a Google Maps, soprattutto per quel che riguarda le informazioni in diretta sul traffico. In molti casi, l'applicazione di Big G, non è migliore di altre mappe stradali aperte. Ma, a differenza di quest'ultime, dà la possibilità di avere a disposizione degli aggiornamenti live. Quindi, sì, ne sono ancora dipendente. E non riesco a superare questo mio limite. Non solo, compro ancora dei software proprietari. Giusto per citarne uno: mi piace Minecraft, anche se di recente è stato acquisito da Microsoft. Un passaggio di mani che, a mio parere, l'ha potenzialmente rovinato. Nonostante, al momento, sembra che stia facendo dei progressi. Ripeto: una totale liberazione mi sembra impossibile, se non è dettata da una forte volontà. Prendiamo Richard Stallman, che ha creato il movimento per il software libero, per quanto lo ammiri è anche vero che Richard va in giro senza cellulare perché crede sia uno strumento usato per la sorveglianza di massa (l'ha definito 'il sogno di Stalin' ndr). E probabilmente ha ragione".  
   
All'inizio della sua carriera suggeriva ai suoi lettori di evitare quella che ha definito una battaglia semi politica, quasi religiosa, che parteggia per quella o quell'altra piattaforma tecnologica. E scegliere quella che funziona meglio. Perché ha cambiato idea?
"Nessuno è obbligato a fare nulla. Ho solo deciso di seguire maggiormente ciò in cui credo. Fare dei passi avanti mi fa pensare di contribuire a risolvere il problema, e sono convinto che l'esempio personale sia migliore di qualsiasi altra lezione. Qual è il problema? La tecnologia che usiamo, così come le comunicazioni che facciamo, sono concentrate nelle mani di un piccolo numero di giocatori. Il controllo sta ritornando verso il centro, dove le compagnie e i governi stanno creando dei punti di strozzatura, usati per distruggere la nostra privacy, limitare la nostra libertà di espressione e bloccare mercato e cultura. Troppo spesso diamo loro il nostro permesso, barattando la convenienza con la libertà, ma molto viene fatto a nostra insaputa e persino senza il nostro consenso".

Ci sono delle iniziative, come quella di Max Schrems, lo studente austriaco che ha portato  Fb  in tribunale per le sue policy. Ma che cosa possono fare i cittadini per riprendere in mano parte di questo controllo?
"Trovare servizi che decentralizzano il potere, frutti della comunità, e usarli. E non dare via il loro lavoro, quando non possono avere nulla in cambio. Per quel che riguarda i prodotti open source, c'è ancora un problema di usabilità. Ma tutto ciò che è possibile fare usando Microsoft, è possibile anche con Linux. Gli strumenti open sono efficaci, anche se non sempre sono così semplici da usare come quelli offerti da Bill Gates, o eleganti come quelli di Apple. Le persone possono fare tanto e non perdere molto".

Nel suo ultimo libro Andrew Keen scrive che Internet, e la tecnologia distribuita, non hanno creato un mondo più aperto ed egalitario, come sostenuto da molti dei suoi evangelisti. Al contrario, stanno arricchendo un sottile gruppo di persone e creando nuovi tipi di ingiustizie. Non è il solo. Da Evgeny Morozov a Nicholas Carr: sono molti gli esperti digitali che stanno puntando i riflettori sulla utopia tradita della Rete. Qual è la sua opinione?
"Credo, invece, che le tecnologie abbiano creato un mondo più aperto ed egalitario in molti modi diversi. Non sto dicendo che non abbiano arricchito un piccolo gruppo di persone, ma più di quelle che mi aspettassi. Internet è ancora un mezzo incredibile, di base - per l'appunto - aperto ed egalitario. Con un sacco di nuovi giganti al potere, è vero, ma dove puoi ancora pubblicare ciò che vuoi. Nella maggior parte dei casi, senza dover  chiedere il permesso a qualcuno. E ciò che pubblichi può essere visto da molte altre persone. Basti pensare al mio post su Medium riguardo l'uso di strumenti open source: pubblicato a fine febbraio, fino a oggi ha ottenuto mezzo milione di visualizzazioni ed è stato tradotto in molte lingue diverse. Una dimostrazione. Ovviamente il mio ragionamento prevede delle eccezioni, non sto parlando di paesi dove la Rete è oggetto di controlli e censura, quello che ho appena detto non vale, purtroppo, per la Cina e altri stati sparsi per il globo. Ma c'è ancora un sacco di libertà sia nella comunicazione che nell'opportunità di usare strumenti diversi, di sollevare l'interesse dell'opinione pubblica. Non abbiamo ancora perso. Ottimista? Be', se non lo fossi stato, non avrei fatto - né continuerei a fare - tutto ciò".

Crede che i problemi della Rete siano iniziati con la sua monetizzazione?
"Penso che la monetizzazione abbia contribuito. Ma non so come avremmo potuto evitarla. Senza la possibilità di ricavare dei soldi grazie a Internet, non penso che avrebbero sviluppato un medium così potente. Ci sono, invece, due altri aspetti che bisogna tenere in considerazione: uno riguarda il fatto che la pubblicità sta diventando la principale fonte di entrate, una questione direttamente collegata alla quantità di dati che le compagnie sono in grado di raccogliere su di noi. Di conseguenza, la sorveglianza si sta affermando come un vero modello di business per molte corporation. Mentre la centralizzazione c'è sempre stata, in ogni industria, e ci sarà sempre".

Che cosa ne pensa dell'economia della Silicon Valley? È realmente una "nuova economia"?
"Guardi, sinceramente sono molto più preoccupato dall'industria telefonica che da quella tecnologica. La mancanza di competizione nel settore degli Internet Service Provider è universale. In molti posti non c'è molta scelta e le telecom sono spesso strettamente allineate, se non controllate, dai governi. C'è molto di nuovo nell'economia della Valley, è fuor di dubbio che la tecnologia ha reso molte cose sistematicamente più efficaci, ha eliminato le sacche di inefficienza in tutti settori, e di altri business è diventata una parte fondamentale. Il fatto che Netflix è l'unico modo in cui oggi le persone possono guardare i film, non è più sano del controllo che gli stabilimenti cinematografici hanno esercitato sui teatri durante la metà del secolo scorso".

L'INCHIESTA: WEB, È MOMENTO DELLE REGOLE

C'è bisogno di regole?
"Internet ha già tutte le regole di cui ha bisogno, si chiamano protocolli. Queste sono le vere regole. Se parliamo di leggi, sono importanti. Le norme antitrust, ad esempio, sono un buon modo per evitare che le compagnie facciano abuso della loro posizione dominante. Negli anni Novanta sono servite per ridimensionare il comportamento di Microsoft, anche se non l'hanno reso, di certo, più buono. È possibile che vedremo lo stesso tipo di leggi applicate a Facebook e Google. Ma sono dell'idea di dare al mercato un'altra occasione, in entrambi i casi: credo che il mercato sia il luogo migliore per risolvere i problemi".

Che cosa ne pensa, quindi, della lotta che l'Unione Europea sta conducendo contro Google?
"Penso che ci siano dei buoni punti. Ma dalla mia prospettiva, sembra che molto del sentimento europeo anti Googe, affondi le sue radici nel fatto che le compagnie e i governi si sentano minacciati da Big G. La compagnia è incredibilmente potente e le sue quote di mercato che, probabilmente nel Vecchio Continente si aggirano intorno al 90 per cento, sollevano delle domande riguardo la competitività. Ma non sono sicuro che siamo arrivati al punto in cui sia necessaria una maggiore azione governativa. Mi fa piacere che gli stati stiano osservando con attenzione il suo operato, però non capisco perché non facciano lo stessa cosa con Facebook. Non ho alcuna spiegazione. E penso che Facebook sia potenzialmente molto più pericoloso di Google, nel momento in cui si parla di libertà di espressione".

Ha paura di Facebook?
"Non so se paura sia la parola giusta. Ma sì, sono più preoccupato da Facebook, che da Google, perché penso che per una compagnia sia pericoloso essere così potente. Nella storia dell'uomo, non si annota nulla di simile per quel che riguarda numero di clienti e di utenti. Le implicazioni di tanta forza le abbiamo già sotto gli occhi: Facebook già decide quello che possiamo vedere e lo fa, attraverso degli algoritmi, in un modo che non spiega chiaramente".

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