Non è bastato a Renzi. Ha voluto evitare rischi e ha voluto fare presto. Aveva promesso di chiudere la partita senza ferite entro le elezioni regionali, piccolo crinale della storia sia del Pd con il nuovo dna renziano sia del governo stesso. Così l’esecutivo ha impiegato pochi minuti per riunirsi e dare il via libera alla fiducia. La Boschi è uscita dalla riunione e ha preso la porta dell’Aula di Montecitorio per blindare il testo della riforma elettorale. Fin lì l’Italicum aveva superato tutte le prime prove (tra le quali le pregiudiziali di costituzionalità), alcune delle quali con il voto segreto. Aspetti tecnici che però avevano mostrato una certa solidità della maggioranza.
Ma la decisione del governo ha fatto esplodere le proteste delle opposizioni, come peraltro era prevedibile. Dai banchi del M5s qualcuno ha urlato “Fascisti!“. Maurizio Bianconi, fittiano di Fi, da sempre contrario al Patto del Nazareno, ha gridato “Vergogna” ed è stato richiamato all’ordine dalla presidente Laura Boldrini che ha fatto non poca fatica a mantenere l’ordine. Bianconi è scatenato: si allontana dall’Aula furente: ne ha per tutti. Insulti irripetibili vengono diretti alla Boschi, “colpevole” di aver messo materialmente la fiducia: “Branco di maiali, infami e rottinculo. Vergogna!”. Il collega azzurro Pietro Laffranco tenta di rincuorarlo, ma con una battuta infelice vista la presenza dei cronisti: “Dai, non fare così. Meglio la fiducia, si lavora di meno…”.
Sel lancia crisantemi, Brunetta: “Fascismo renziano”
Alcuni deputati di Sel hanno lanciato crisantemi in Aula: “E’ il funerale della democrazia“, ha spiegato il capogruppo Arturo Scotto. “Non consentiremo il fascismo renziano – ha aggiunto, gridando, il capogruppo berlusconiano Renato Brunetta – faremo di tutto per impedirlo, dentro e fuori questa Aula. Non consentiremo che questa Aula sia ridotta a un bivacco di manipoli renziani”. “La gente – ha aggiunto il capogruppo Massimiliano Fedriga (Lega Nord) – si sta svegliando e ha capito che siete un bluff”.
Ma il dibattito è presto degenerato. Si è arrivati presto all’insulto e la miccia è stato l’intervento di Ettore Rosato, vicecapogruppo vicario del Pd (il più alto in grado dopo le dimissioni di Roberto Speranza). “Vergogna, vergogna!”. “Elezioni, elezioni!” hanno urlato i Cinque Stelle. Di nuovo alla Boldrini c’è voluto del bello e del buono per riportare la calma: “Questa è un’Aula parlamentare bisogna lasciar parlare. E’ questione di rispetto”. I deputati dei Cinque Stelle hanno distribuito insulti prima a lui (“coglione”, “vai a fare in culo”) poi alla presidente della Camera Laura Boldrini: “Collusa!” ha urlato Diego De Lorenzis. “Lei – ha replicato la Boldrini – non può esprimersi in questi termini sulla presidenza. Ne dovrà rispondere”. Parole che scatenano proteste cui Boldrini replica: “Contrastate le spiegazioni con gli insulti. Insultate, insultate pure. Complimenti…”.
Boldrini: “Fiducia possibile su Italicum per regolamento”
La presidente della Camera aveva appena finito di spiegare come la questione di fiducia possa essere posta anche sulla legge elettorale (al contrario della vulgata). La presidente della Camera ha citato l’articolo 116 comma 4 del regolamento dell’assemblea di Montecitorio che esplicita i casi in cui non si può porre la fiducia (e la legge elettorale non è tra questi). Per contro il M5s cita una violazione dell’articolo 72 della Costituzione sulla formazione delle leggi. Ma la Boldrini ha citato una serie di precedenti, spiegando che “ci vorrebbe una esplicita modifica del regolamento della Camera, senza il quale la esclusione della possibilità di porre la fiducia sarebbe arbitrario”.
Bersani: “Decideremo cosa fare”
In questo modo passa in secondo piano, almeno per il momento, la lotta interna al Pd e l’atteggiamento che terrà la minoranza del partito. Barbara Pollastrini parla della fiducia come di “strappo incomprensibile”. Pippo Civati ha già annunciato che voterà no alla fiducia. I toni di Bersani e Cuperlo sembrano gravi, ma la sinistra Pd sembra più annichilita che non battagliera: “Non avevo dubbi che avrebbero messo la fiducia – dice l’ex segretario – Qui il governo non c’entra niente, è in gioco una cosuccia che si chiama democrazia. Ora decideremo insieme che fare e poi deciderò io perchè ognuno deve assumersi le sue responsabilità”. L’ex presidente aggiunge che si tratta di “una scelta grave, indecifrabile”. Alfredo D’Attorre, in questi mesi portabandiera delle lotte anti-Italicum da dentro il Pd, ha annunciato che non parteciperà al voto. Lo stesso farà Roberto Speranza che sulla legge elettorale aveva restituito il mandato di capogruppo di Montecitorio.
Ma in queste situazioni Montecitorio non ha molti limiti al folklore e al senso del ridicolo. Sia Umberto Bossi sia il senatore di Per l’Italia Tito Di Maggio per esempio hanno indicato la strada per “resistere”. Il Senatur spiega che “al fascismo si risponde in un solo modo: o con i fucili o uscendo dall’Aula” dimenticando che a piazza del Popolo qualche tempo fa il suo partito ha manifestato al fianco di CasaPound. L’ex montiano – sempre critico nei confronti del governo nonostante il suo gruppo sia in teoria in maggioranza – ha chiesto l’intervento del presidente della Repubblica “o bisogna organizzare una nuova Resistenza: e come è noto per la resistenza servono anche le armi”.
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