repubblica.it
MILANO - La Corte Costituzionale boccia la norma Fornero del 2011, contenuta nel Salva Italia del governo Monti, che bloccava l'adeguamento delle pensioni al costo della vita per gli assegni superiori a tre volte il minimo Inps (1.443 euro). E' una decisione pesante che, per l'Avvocatura dello Stato, ha un impatto sui conti pubblici di circa 1,8 miliardi per il 2012 e altri 3 miliardi per il 2013. Il blocco della perequazione per le pensioni oltre tre volte il minimo "non fu scelta mia", dice oggi Elsa Fornero ricordando che fu una decisione "di tutto il Governo" presa per fare risparmi in tempi brevi. "Vengo rimproverata per molte cose - dice ma quella non fu una scelta mia, fu la cosa che mi costò di più".
Il no alla Fornero. La norma ha stabilito, per il 2012 e 2013 e "in considerazione della contingente situazione finanziaria", che sui trattamenti pensionistici di importo superiore a tre volte il minimo Inps scattasse il blocco della perequazione, ossia il meccanismo che adegua le pensione al costo della vita. Questo passaggio è dunque incostituzionale. "L'interesse dei pensionati, in particolar modo i titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio", afferma la Corte nella sentenza 70 depositata oggi, di cui è relatore il giudice Silvana Sciarra. A sollevare la questione erano stati diversi organismi, dal tribunale del lavoro di Palermo alla Corte dei Conti.
Nel dispositivo, si specifica che "la censura relativa al comma 25 dell'art. 24 del decreto legge n. 201 del 2011, se vagliata sotto i profili della proporzionalità e adeguatezza del trattamento pensionistico, induce a ritenere che siano stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività". Ne consegue che sono "intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36 Costituzione) e l'adeguatezza (art. 38)".
Immediata la reazione di politica e sindacati, con questi ultimi che chiedono di "restituire il maltolto ai pensionati". Stesso discorso da parte di Manageritalia e Federmanager, le organizzazioni che hanno ricorso contro il blocco delle perequazioni, che per bocca dei presidenti Ambrogioni e Carella chiedono "che si arrivi in tempi rapidi a trovare il modo per compensare le migliaia di persone danneggiate dal provvedimento e auspichiamo che da oggi in poi l'abitudine di utilizzare le pensioni per fare cassa venga definitivamente accantonata, smettendo così di far vivere nell'incertezza i pensionati".
I dati Inps. La notizia arriva nel giorno in cui l'Inps ha aggiornato la fotografia del sistema pensionistico italiano. Dai dati, emerge che il 64,3% delle pensioni ha un importo inferiore a 750 euro. Secondo l'Osservatorio dell'Istituto, "per gli uomini la percentuale di prestazioni con importo inferiore a 750 è del 45,2%, mentre per le donne è del 78,2%. Delle 11.595.308 pensioni con importo inferiore a 750 euro, 5.322.007 (il 45,9%) beneficiano di prestazioni legate a requisiti reddituali bassi, quali integrazione al trattamento minimo, maggiorazioni sociali, pensioni e assegni sociali e pensioni di invalidità civile".
A livello di sistema, torna far parlare di sé la Fornero: la riforma che porta il suo nome porta a confermare il trend decrescente degli ultimi anni del numero di prestazioni erogate. Passano da 18.363.760 nel 2012 a 18.044.221 nel 2015: "Una decrescita media annua dello 0,6% frenata dall’andamento inverso delle prestazioni assistenziali (pensioni agli invalidi civili e pensioni/assegni sociali), che nello stesso periodo passano da 3.560.179 nel 2012 a 3.731.626 nel 2015".
Cresce invece l'importo medio mensile erogato, passando da 780,14 euro nel 2012 a 825,06 euro nel 2015. "Ciò è dovuto essenzialmente agli effetti della perequazione automatica delle pensioni e all’effetto sostituzione delle pensioni eliminate con le nuove liquidate che presentano mediamente importi maggiori, anche in relazione alle recenti riforme pensionistiche cha hanno aumentato i requisiti di accesso per il pensionamento", dice l'Inps. Delle 18.044.221 pensioni vigenti all’1.1.2015, 14.312.595 sono di natura previdenziale, cioè prestazioni che hanno avuto origine dal versamento di contributi previdenziali (vecchiaia, invalidità e superstiti) durante l’attività lavorativa del pensionato. Le rimanenti prestazioni, erogate dalla gestione degli invalidi civili e da quella delle pensioni e assegni sociali, sono di natura assistenziale.
Ancora, guardando alle tipologie di pensioni, le prestazioni di tipo previdenziale sono costituite per il 65,6% da pensioni della categoria Vecchiaia, di cui poco più della metà (55,2%) erogate a soggetti di sesso maschile, per il 7,9% da pensioni della categoria Invalidità previdenziale (il 47,7% erogato a uomini) e per il 26,5% da pensioni della categoria Superstiti, di cui soltanto l’11,8% è erogato a soggetti maschili. Le prestazioni di tipo assistenziale sono costituite per il 22,7% da pensioni e assegni sociali (di cui il 35,2% a soggetti maschili), mentre il restante 77,3% è costituito da prestazioni erogate ad invalidi civili sotto forma di pensione e/o indennità (di cui il 39,7% ad uomini). Le prestazioni legate all’invalidità sono 3.273.751 e costituiscono l’87,7% del complesso delle prestazioni assistenziali.
Distribuzione territoriale. Il 48,2% delle pensioni è percepito nell’Italia settentrionale (305 pensioni ogni 1000 residenti), il 19,1% al centro (281 su 1000) e il 30,3% al Sud e Isole (262 su 1000). Il restante 2,4%, 427.597 pensioni, è erogato a soggetti residenti all’estero. Per quanto riguarda la distribuzione territoriale degli importi erogati, si osserva che il 55% delle somme stanziate a inizio anno sono destinate all’Italia settentrionale, il 24,7% all’Italia meridionale e isole, il 19,7% all’Italia centrale e lo 0,6% ai soggetti residenti all’estero. L’importo medio mensile della pensione di vecchiaia è di 1.098 euro, con un valore più elevato al Nord, pari a 1.174,25 euro.
Distribuzione per età. L’età media dei pensionati è 73,6 anni, con una differenziazione per genere di più di 4 anni (71 per gli uomini e 75,4 per le donne). Per la categoria vecchiaia, il 22,3% delle pensioni è erogato a soggetti di età compresa tra 65 e 69 anni. Il 47,1% dei titolari di sesso maschile delle pensioni di invalidità previdenziale ha un’età compresa tra 50 e 69 anni, mentre le donne hanno per il 61,1% un’età superiore o uguale a 80 anni. Per quanto riguarda l’invalidità civile, il 53,3% dei titolari di sesso maschile ha un’età inferiore a 60 anni; percentuale che scende al 31% per le donne, che invece presentano una concentrazione molto alta nelle età avanzate (47% per età uguali o superiori a 80 anni). Da segnalare l’aumento dell’età di pensionamento nel periodo 2009-2015, sia per le pensioni di vecchiaia sia per quelle di anzianità. Per le prime, il dato più significativo riguarda le donne, con una differenza di 2,9 anni (si passa infatti da un’età media alla decorrenza di 61,3 anni nel 2009 ai 64,2 anni del 2015). Più contenuto l’aumento per gli uomini, che passano dai
Nessun commento:
Posta un commento