martedì 28 aprile 2015

30 aprile 1975: altri Vietnam liberi e rossi. Intervento di Franco Astengo.


30 Aprile 1975: gli americani si arrendono ai vietcong, l’ambasciatore USA fugge precipitosamente da Saigon in elicottero con la bandiera a stelle e strisce arrotolata sotto il braccio.
 
controlacrisi.org franco astengo
Quarant’anni fa finiva la guerra-simbolo della generazione del ’68: la guerra contestata dall’anima libertaria delle nuove generazioni in tutto il mondo, da Berkeley a Dakar, dalla Sorbona alla Freie Universitat a Berlino.
Tanto per dare un esempio dello spirito dell’epoca ricordiamo il “sommarione” che faceva da titolo al “Manifesto” del 1 Maggio di quell’anno:
“Saigon si chiama Ho Chi Minh.
Questo sì è un primo maggio internazionalista sotto le bandiere di una rivoluzione comunista vittoriosa contro l’imperialismo e ammonitrice verso i regimi corrotti e polizieschi d’occidente”
Luigi Pintor, in un corsivo a fondo pagina, sotto il titolo da “Saigon a Roma” scriveva:
“Il primo maggio può essere rivissuto con spirito internazionalista, quest’anno, com’è nella tradizione.
E’ un primo maggio unico, sotto quest’aspetto.
A Saigon è finita una guerra infame, una grande rivoluzione ne ha preso il posto. Più vicino a noi, in tutt’altro quadro un paese europeo è uscito da cinquant’anni di fascismo e segue una via socialista col consenso popolare (Il Portogallo, n.d.r.).

A duro prezzo, secondo un itinerario non lineare, conoscendo anche amare sconfitte (oggi non dimentichiamo il Cile), la parte viva dell’umanità rompe il cerchio dell’imperialismo, e costruisce fuori dal capitalismo in crisi un ordine nuovo, cerca una diversa civiltà…”
Più avanti l’articolo si conclude in questo modo:
“E’ il miglior impegno da assumere in questo primo maggio, festeggiando il trionfo di Saigon, ma per respirare, anche a qui a Roma aria pulita e libera.”
Oggi a quarant’anni di distanza cosa rimane di quelle parole e di quegli entusiasmi?
La delusione e il disincanto sono cocenti: rileggere quelli frasi, ritornare ai pensieri che ci animavano in quell’epoca ci fa vivere come dentro ad un oceano di illusioni perdute.
Il mondo appare pervaso da un nuovo spirito di distruzione alimentato da un capitalismo vorace, le rivoluzioni sono scomparse lasciando un retaggio pesante, le grandi masse che avevano animato le tensioni politiche e sociali appaiono passive e tornate agli istinti primitivi del razzismo, dell’egoismo, dell’individualità sfrenata.
Un arretramento di civiltà, prima ancora che culturale e politico che ci fa stilare un bilancio disastroso.
Eppure: esiste un Eppure o dobbiamo arrenderci all’ineludibile della sopraffazione dei potenti sui deboli?
Esiste l’Eppure: è l’Eppure che ci indica come le ragioni di quel tempo si trovano ancora tutte intere nella realtà del quotidiano e nell’immaginario collettivo.
Finché sentiremo la tensione verso la giustizia, l’eguaglianza, la solidarietà di classe; fino a quando ci sarà chi, anche soltanto un pugno di donne e di uomini che avranno all’interno della loro coscienza questi valori e cercheranno di trasmetterli alle nuove generazioni allora pensare ad altri Vietnam liberi e rossi avrà un senso: ne varrà la pena.

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