venerdì 24 aprile 2015

L’ipocrisia costituente dell’Europa.


La repellente condotta di Bruxelles suona come la giustificazione preventiva di un intervento militare in Libia, o in prossimità delle sue coste, travestito da azione umanitaria.
 
il manifesto Alessandro Dal Lago
C’è una ter­ri­bile ipo­cri­sia in giro per l’Europa e ovvia­mente in Ita­lia. È quella dei governi che oggi tuo­nano con­tro gli sca­fi­sti da «bom­bar­dare» e i «mer­canti di schiavi». Un’ipocrisia tanto più repel­lente, quanto più suona come la giu­sti­fi­ca­zione pre­ven­tiva di un inter­vento mili­tare in Libia, o in pros­si­mità delle sue coste, tra­ve­stito da azione uma­ni­ta­ria. D’altra parte, l’ipocrisia è la norma ita­liana in que­ste mate­rie. Un anno fa, il governo Renzi van­tava il suc­cesso di Tri­ton, «a costo zero», come ripe­teva gio­io­sa­mente Alfano. Oggi lo stesso mini­stro, dopo l’immane strage in mare, dichiara l’inadeguatezza dell’operazione. Con mini­stri del genere c’è sem­pre da aspet­tarsi il peggio.

Inten­dia­moci. Le orga­niz­za­zioni di sca­fi­sti esi­stono, così come esi­ste una vasta docu­men­ta­zione degli atti di pira­te­ria: natanti abban­do­nati alla deriva, migranti get­tati in mare, vio­lenze di ogni tipo. Ma pren­dere esclu­si­va­mente di mira i «mer­canti di schiavi» signi­fica sia fal­si­fi­care agli occhi dell’opinione pub­blica la natura delle migra­zioni, sia get­tare le pre­messe di nuove sciagure.
Infatti, gli sca­fi­sti non fanno che lucrare sulla domanda di mobi­lità dei migranti. Mobi­lità nel senso di fuga dalla guerra, di ricerca di oppor­tu­nità o sem­pli­ce­mente di soprav­vi­venza. Finora l’Europa ha igno­rato le migra­zioni, pen­sando forse che un limi­tato numero di morti garan­tisse la pro­pria tran­quil­lità o meglio la pro­pria abu­lia buro­cra­tica. Ora, di fronte alla dimen­sione di que­ste tra­ge­die, si inventa la guerra agli “schia­vi­sti” e il «bom­bar­da­mento e/o distru­zione dei bar­coni», cri­mi­na­liz­zando così, insieme a loro, anche le vittime.
L’ipocrisia dilaga anche quando si vor­reb­bero distin­guere i rifu­giati dai migranti, come se, oggi, povertà e guerra non fos­sero realtà stret­ta­mente impli­cate. Si fugge da paesi deva­stati dalla guerra e dall’impoverimento cau­sato dalla guerra, da paesi distrutti da stolti inter­venti occi­den­tali o al cen­tro di ine­stri­ca­bili gro­vi­gli geo­po­li­tici. Si fugge dall’Isis, ma anche dai droni, da Assad e dai suoi nemici, dal deserto e dalle steppe in cui scor­raz­zano mili­zie di ogni tipo. Si fugge da città invi­vi­bili e da un’indigenza resa ancora più insop­por­ta­bile dal dila­gare di nuove tec­no­lo­gie che mostrano com’è, o finge di essere, il nostro mondo. Si fugge in Gior­da­nia, in Tur­chia e anche in Europa. Non c’è forse ipo­cri­sia peg­giore di quella che lamenta senza soste un’invasione dei nostri paesi, quando invece l’Europa si mostra il con­ti­nente più chiuso e ottuso di fronte alla tra­ge­dia umana e sociale delle migrazioni.
Pen­sare di cavar­sela man­dando i droni a bom­bar­dare i bar­coni è un’idea folle, che può venire solo ai poli­ziotti finiti a diri­gere Fron­tex, l’agenzia euro­pea che ha messo in piedi Tri­ton, con l’obiettivo di tenere lon­tani i migranti, infi­schian­dosi degli anne­ga­menti. Come distin­guere i bar­coni vuoti da quelli pieni, i pesche­recci o i pic­coli mer­can­tili dalle car­rette della morte? Tutto il mondo sa che i droni di Obama pol­ve­riz­zano soprat­tutto i civili in Afgha­ni­stan. Potete imma­gi­nare un drone capace di distin­guere, in un porto della Libia, tra sca­fi­sti e pesca­tori? A meno che, natu­ral­mente, tutta que­sta enfasi guer­re­sca, bagnata da lacrime di coc­co­drillo per le vit­time degli schia­vi­sti, non sia al ser­vi­zio di un’ipotesi stra­te­gica molto più pro­saica e molto meno umanitaria.
Un’Europa poli­ti­ca­mente ace­fala, gui­data da una Ger­ma­nia bot­te­gaia, pensa forse di «risol­vere» la que­stione delle migra­zioni con un cor­done sani­ta­rio di navi mili­tari e magari di campi di inter­na­mento in Libia e nei paesi limi­trofi? Tutto fa pen­sare di sì. Ma se fosse così, non si trat­te­rebbe che di una guerra ai migranti tra­ve­stita, di un uma­ni­ta­ri­smo peloso, di un neo-colonialismo mirante a tenere alla larga i poveri da un occi­dente in cui dila­gano pul­sioni xeno­fobe. Se fosse così, altre immani tra­ge­die si annunciano.

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