La repellente condotta di Bruxelles suona come la
giustificazione preventiva di un intervento militare in Libia, o in
prossimità delle sue coste, travestito da azione umanitaria.
Intendiamoci. Le organizzazioni di
scafisti esistono, così come esiste una vasta documentazione
degli atti di pirateria: natanti abbandonati alla deriva, migranti
gettati in mare, violenze di ogni tipo. Ma prendere esclusivamente
di mira i «mercanti di schiavi» significa sia falsificare agli
occhi dell’opinione pubblica la natura delle migrazioni, sia gettare
le premesse di nuove sciagure.
Infatti, gli scafisti non fanno che
lucrare sulla domanda di mobilità dei migranti. Mobilità nel senso di
fuga dalla guerra, di ricerca di opportunità o semplicemente di
sopravvivenza. Finora l’Europa ha ignorato le migrazioni, pensando
forse che un limitato numero di morti garantisse la propria
tranquillità o meglio la propria abulia burocratica. Ora, di
fronte alla dimensione di queste tragedie, si inventa la guerra agli
“schiavisti” e il «bombardamento e/o distruzione dei barconi»,
criminalizzando così, insieme a loro, anche le vittime.
L’ipocrisia dilaga anche quando si
vorrebbero distinguere i rifugiati dai migranti, come se, oggi,
povertà e guerra non fossero realtà strettamente implicate. Si fugge
da paesi devastati dalla guerra e dall’impoverimento causato dalla
guerra, da paesi distrutti da stolti interventi occidentali o al
centro di inestricabili grovigli geopolitici. Si fugge
dall’Isis, ma anche dai droni, da Assad e dai suoi nemici, dal deserto
e dalle steppe in cui scorrazzano milizie di ogni tipo. Si fugge da
città invivibili e da un’indigenza resa ancora più insopportabile
dal dilagare di nuove tecnologie che mostrano com’è, o finge di
essere, il nostro mondo. Si fugge in Giordania, in Turchia e anche in
Europa. Non c’è forse ipocrisia peggiore di quella che lamenta senza
soste un’invasione dei nostri paesi, quando invece l’Europa si mostra
il continente più chiuso e ottuso di fronte alla tragedia umana
e sociale delle migrazioni.
Pensare di cavarsela mandando i droni
a bombardare i barconi è un’idea folle, che può venire solo ai
poliziotti finiti a dirigere Frontex, l’agenzia europea che ha messo
in piedi Triton, con l’obiettivo di tenere lontani i migranti,
infischiandosi degli annegamenti. Come distinguere i barconi vuoti
da quelli pieni, i pescherecci o i piccoli mercantili dalle
carrette della morte? Tutto il mondo sa che i droni di Obama
polverizzano soprattutto i civili in Afghanistan. Potete
immaginare un drone capace di distinguere, in un porto della Libia,
tra scafisti e pescatori? A meno che, naturalmente, tutta questa
enfasi guerresca, bagnata da lacrime di coccodrillo per le vittime
degli schiavisti, non sia al servizio di un’ipotesi strategica
molto più prosaica e molto meno umanitaria.
Un’Europa politicamente acefala,
guidata da una Germania bottegaia, pensa forse di «risolvere» la
questione delle migrazioni con un cordone sanitario di navi
militari e magari di campi di internamento in Libia e nei paesi
limitrofi? Tutto fa pensare di sì. Ma se fosse così, non si
tratterebbe che di una guerra ai migranti travestita, di un
umanitarismo peloso, di un neo-colonialismo mirante a tenere alla
larga i poveri da un occidente in cui dilagano pulsioni xenofobe. Se
fosse così, altre immani tragedie si annunciano.
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