Nell'attacco di tre mesi fa contro i jihadisti al confine con l'Afghanistan fa hanno perso la vita anche l'americano Warren Weinstein e due cittadini statunitensi affiliati ad al Qaeda. Venerdì alle 10 il ministro Gentiloni riferirà alla Camera. Secondo il Wall Street Journal è la prima volta in cui il dispositivo utilizzato per fini militari uccide un ostaggio. Obama: "Ieri ne ho parlato con Renzi. Mi assumo la piena responsabilità di quanto successo. Il governo americano si scusa". E in serata ha ordinato di rivedere i protocolli che vengono seguiti per le operazioni che prevedono bombardamenti con i droni.
Il governo italiano ha già fatto sapere che domani alle 10 riferirà alla Camera sull’episodio. Il ministro degli Esteri Gentiloni ha parlato di “tragico e fatale errore dei nostri alleati americani riconosciuto da Obama” ma ha anche voluto sottolineare che la responsabilità della scomparsa dei due ostaggi “è integralmente dei terroristi contro i quali confermiamo l’impegno dell’Italia con i nostri alleati“. Tuttavia, le scuse degli Stati Uniti non sono sufficienti né per il Copasir (“Non ci accontentiamo delle scuse, ovviamente doverose, dell’amministrazione americana”, ha dichiarato il presidente Stucchi) né tanto meno per uno dei fratelli di Lo Porto. Ai cronisti che gli chiedevano un commento alle scuse rivolte dal presidente degli Stati Uniti ai familiari delle vittime, ha solo risposto: “Obama chiede scusa? Grazie…”.
Il fratello di Lo Porto: “Obama chiede scusa? Grazie…”
Obama: “Mi assumo piena responsabilità dell’operazione di antiterrorismo“ – “Questa mattina voglio esprimere le mie condoglianze alle famiglie dei due ostaggi che sono stati tragicamente uccisi nel corso di un’operazione antiterrorismo – ha detto il presidente Barack Obama
-. E’ stato fatto tutto il possibile per riportarli a
casa. Abbiamo lavorato a stretto contatto con le autorità italiane”, ha
proseguito, ricordando di avere parlato di quanto “tragicamente
accaduto” ieri con “la moglie di Warren ” – che è stato “condannato per la sua fede ebraica” – e “il primo ministro Renzi“. Le condizioni di salute dei due ostaggi “erano peggiorate, non erano nutriti
abbastanza” e la loro scomparsa “è un dolore inimmaginabile. Spero che
le famiglie possano trovare consolazione in ciò che hanno lasciato”.
Obama: “Ovviamente la lotta contro il terrorismo comporta anche questi errori”
Indagine della Procura di Roma – Sulla scomparsa di Lo Porto la procura di Roma ha da tempo aperto un fascicolo di indagine nel quale si ipotizza il reato di sequestro di persona a scopo di terrorismo. Il procedimento è coordinato dal sostituto procuratore Erminio Amelio che ha affidato delega ai carabinieri del Ros e alla Digos. I pm si attendono comunicazioni ufficiali relative alla morte del cooperante.Renzi: “Profondo dolore”. Pinotti: “Usato come scudo umano” – A seguito della conferenza stampa del presidente Obama, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha espresso su Twitter il suo cordoglio e il “profondo dolore per la morte di un italiano, che ha dedicato la sua vita al servizio degli altri. Le mie condoglianze vanno anche alla famiglia di Warren Weinstein”. Palazzo Chigi ha riferito che l’Unità di crisi ha immediatamente preso contatto con la famiglia del cooperante per comunicare la notizia. Mattarella ha poi espresso la sua vicinanza ai cooperanti, “sempre più a rischio”. Il ministro della Difesa Roberta Pinotti: “Dalle prime ricostruzioni – ha detto – sembra che sia stato usato come una sorta di ‘scudo umano‘. Stavamo lavorando per cercare di liberarlo”. Sul caso è intervenuto anche il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Ha sottolineato che Lo Porto è morto per un “tragico e fatale errore dei nostri alleati americani riconosciuto dal presidente Obama” ma anche che “la responsabilità della sua morte e della morte di Warren Weinstein è integralmente dei terroristi contro i quali confermiamo l’impegno dell’Italia con i nostri alleati“. Anche il presidente della Camera Laura Boldrini ha espresso “grande dolore per la perdita di Giovanni Lo Porto, coraggioso uomo di pace. Vicinanza mia e di Montecitorio alla sua famiglia”.
Domani alle 10 il governo riferirà alla Camera sulla morte di Giovanni Lo Porto
Il governo riferirà domani alle 10 alla Camera sull’episodio, e il componente M5S al Copasir Vito Crimi chiede “che il Copasir si riunisca subito e convochi l’autorità delegata” – cioè il sottosegretario con delega ai servizi segreti Marco Minniti – su quello che giudica un “fatto gravissimo”. Crimi poi aggiunge: “Vogliamo anche sapere da quando il governo era stato informato della sua uccisione“.Ma Pietro Barbieri, portavoce nazionale del Forum del Terzo Settore, critica quanto dichiarato dalla Farnesina. “Pare che la morte di Giovanni – ha detto – sia avvenuta a gennaio e, pur in questo momento di sgomento e dolore, non possiamo non notare che evidentemente gli sforzi del Governo Italiano per la sua liberazione, al di là delle dichiarazioni ufficiali, erano ben lungi dall’aver conseguito il benché minimo risultato”.
Stucchi (Copasir): “Non ci accontentiamo delle scuse Usa” – Contattato dal sito Affari Italiani, il presidente del Copasir, Giacomo Stucchi ha spiegato che il compound colpito dal raid americano “era un target giusto e di solito dove ci sono i talebani non vengono tenuti anche gli ostaggi”. Ma “in quel caso lì, purtroppo, c’erano anche loro”. “Il problema – ha detto Stucchi rispondendo ad una domanda se quanto accaduto sia un incidente – è che l’obiettivo era giusto e l’operazione era condotta contro un obiettivo di quelli, tra virgolette, certificati. Ovvero di quelli che vengono scelti in base a informazioni precise. Gli ostaggi non ci dovevano essere e di solito non sono presenti in quel tipo di compound“. Stucchi, poi, precisa che “vedremo più avanti” se “è stato fatto, prima di utilizzare il drone, tutto il possibile per verificare l’effettiva presenza solo di talebani”.
Stucchi (Copasir): “Notizia uscita con ritardo perché bisognava essere certi”
Sul ritardo della notizia, uscita a tre mesi dal raid, il presidente del Copasir
ha spiegato: “Dipende di che livello parliamo. Può darsi che qualcuno
sapesse qualcosa, ma serviva individuare i corpi e verificare tutto con
il dna. Non è così semplice recuperare queste informazioni e prima di dare una notizia del genere bisogna essere certi che fossero davvero loro i soggetti. Ufficialmente la notizia è stata data con questo ritardo rispetto a quando è davvero accaduto il fatto ma perché bisogna essere certi.
Non si possono commettere errori”. Ha però puntualizzato: “Non ci
accontentiamo delle scuse, ovviamente doverose, dell’amministrazione
americana. Ci devono spiegare e giustificare quanto fatto durante
quell’operazione”.Anche il direttore del Dis, il Dipartimento di informazione per la sicurezza, Giampiero Massolo, ribadendo che “la lotta al terrorismo non si deve fermare”, ha dichiarato che “l’idea di dare una notizia quando non si ha l’assoluta certezza può essere avventata e in un territorio come quello le verifiche sono complesse. E’ stata un’azione antiterrorismo, si sono trovati nel punto in cui l’azione aveva luogo”.
Chi era Giovanni Lo Porto- Lo Porto, siciliano di 40 anni, era stato rapito insieme al collega tedesco Bernd Muehlenbeck dai jihadisti il 19 gennaio 2012, a Multan, nella provincia centro-occidentale del Punjab in Pakistan, mentre stava lavorando per la ong tedesca Welthungerhilfe (‘Aiuto alla fame nel mondò), impegnata nella ricostruzione dell’area messa in ginocchio dalle inondazioni del 2011. Dopo la liberazione avvenuta lo scorso 10 ottobre, Muehlenbeck raccontò che i rapitori avevano portato altrove già da un anno il collega italiano.
Lo Porto lavorava per la ong
tedesca Welthungerhilfe, impegnata nella ricostruzione dell’area messa
in ginocchio dalle inondazioni del 2011
A luglio 2013 diverse ong si erano rivolte all’allora ministro degli Esteri Emma Bonino affinché il governo si adoperasse per la sua liberazione e I suoi amici di Londra organizzarono una petizione già nel dicembre del 2013 in cui chiedevano a chiunque avesse qualche influenza di adoperarsi per la sua liberazione. Iniziativa replicata il 19 gennaio del 2014, per l’anniversario del suo rapimento, con l’appello lanciato dal Forum del Terzo Settore
al governo italiano e ai direttori dei giornali “per rompere il muro
del silenzio”. La vicenda però si è ingarbugliata fin dall’inizio, con
la rivendicazione di al Qaeda del sequestro, subito smentita. Più volte il Tehrek-e-Taliban Pakistan (TTP), principale movimento armato anti-governativo, ha negato di avere in mano Lo Porto.Chi era Warren Weinstein – Era il direttore per il Pakistan della J.E. Austin Associates. Era stato rapito nell’agosto 2011 a Lahore mentre si preparava a tornare in patria, quattro giorni prima della scadenza del suo contratto con l’Agenzia Usa per lo Sviluppo Federale. Weinstein aveva 73 anni e viveva a Rockville, alle porte di Washington. La sua famiglia non ha risposto alle telefonate dei media americani che hanno chiesto commenti.
Nel dicembre 2013 al Qaeda aveva diffuso un video il cui il cooperante faceva appello a Obama per la sua liberazione. Nel video Weinstein appariva emaciato e spaventato. La J.E. Austin è una società privata di consulenza che assiste economie emergenti nella crescita e ha progetti in tutto il mondo.
Era stato rapito nell’agosto 2011
a Lahore mentre si preparava a tornare in patria, quattro giorni prima
della scadenza del suo contratto con l’Agenzia Usa per lo Sviluppo
Federale
Ostaggi italiani: solo Padre dall’Oglio è ancora nelle mani dei sequestratori – Di padre Paolo Dall’Oglio si sono perse il 29 luglio 2013. E’ lui l’unico italiano ancora nelle mani dei terroristi nelle zone “calde” del Medio Oriente.Negli ultimi mesi si era assistito al rapimento, e alla successiva liberazione dopo periodi più o meno lunghi, di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo in Siria (31 luglio 2014 – 15 gennaio 2015) , Gianluca Salviato (marzo 2014, liberato nel novembre scorso) e Marco Vallisa (rapito il 5 luglio, liberato il 13 novembre 2014) in Libia.
Padre Dall’Oglio, 59 anni, gesuita romano, per trent’anni e fino alla sua espulsione nell’estate 2012, ha vissuto e lavorato nel suo Paese d’adozione in nome del dialogo islamo-cristiano. Diverse volte sono emerse notizie – mai confermate – sulla sua morte o detenzione in un carcere siriano. Le ultime informazioni risalgono al dicembre scorso, quando fonti siriane lo davano per detenuto in una delle prigioni dell’Isis a Raqqa. Una circostanza che non aveva trovato conferme da parte del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni.
Il suo rapimento era avvenuto dopo un appello che il sacerdote aveva rivolto a papa Francesco affinché promuovesse “un’iniziativa diplomatica urgente e inclusiva per la Siria”. Dall’Oglio forse era impegnato in una “mediazione” tra fazioni ribelli nella zona di Raqqa, nel vortice di una guerra civile che da quattro anni semina morte e distruzione in Siria.
C’è anche un altro italiano, però, che è scomparso lo scorso 6 gennaio in Libia. Si tratta di Ignazio Scaravilli, medico catanese settantenne. A segnalarlo i suoi colleghi, ma non ci sono state testimonianze dirette di un rapimento o incidente. L’anziano professionista, che ha uno studio a Paternò, nel catanese, e una residenza a Padova, sul proprio sito si presenta come chirurgo ortopedico specializzato in interventi su mano e piede. Era partito prima di Natale con altri tre o quattro colleghi siciliani per operare all’ospedale di Dar Al Wafa di Tripoli, città dove è consulente per due cliniche.
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