La Commissione europea ha lanciato una nuova campagna di comunicazione per convincerci che il Trattato transatlantico di liberalizzazione di regole e mercati tra Usa e Ue è decisamente conveniente per la nostra economia stagnante.
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In questo quadro le nostre imprese sono rimaste in gran parte piccole, familiari, e sono resilienti proprio perché piccole e molto agguerrite. L’Italia, peraltro, è il Paese europeo con il numero maggiore di Pmi che già scambiano molto con gli Usa, e che quindi in teoria avrebbe più da guadagnare con un’apertura maggiore dei mercati. Che cos’è che non va, allora, nell’analisi che la Commissione presenta con il Rapporto appena pubblicato Small and Medium Sized Enterprises and the Transatlantic Trade and Investment Partnership?
Innanzitutto che, guardando i dati con attenzione, scopriamo che le Pmi, che sono l’88% di tutte le imprese che esportano negli Stati Uniti, si portano a casa appena il 28% del valore totale delle esportazioni europee verso gli Usa, mentre il rimanente 12% delle imprese europee, tutte con più di 250 addetti, porta a casa il 72% del valore delle esportazioni. Insomma una nube di piccole imprese si divide una quota molto piccola di mercato americano. Quante sono le Pmi che già esportano negli Usa? La Commissaria al commercio europea Cecilia Malmstrom ne conta ben 150mila. Molte? Non proprio, considerato che le Pmi in Europa sono ben 21,6 milioni e che il loro principale mercato di sbocco è l’Europa stessa, stando al Rapporto annuale 2014 sulle Pmi compilato dalla stessa Commissione, mentre meno dell’1% delle piccole imprese esporta negli Usa.
E qui troviamo le dolenti note, perché stando alla valutazione d’impatto del Ttip sul mercato europeo fatta dalla Bertelsmann Foundation, una delle più positive rispetto ai possibili guadagni connessi al trattato, il Ttip, permettendo un ingresso più facile di materie prime e merci dagli Usa, ridurrà drasticamente lo scambio nel mercato interno tra i Paesi europei: parlando di colossi, se gli scambi Usa-Gran Bretagna cresceranno del 60% e quelli Usa-Germania del 94%, gli scambi tra Gran Bretagna e Germania si ridurranno del 41% e quelli tra Gran Bretagna e la vicina Irlanda di ben il 46%. L’Italia perderà circa il 30% delle sue attuali esportazioni in Germania, oltre il 41% di quelle in Gran Bretagna, principalmente a danno di quelle Pmi di casa nostra che il mercato americano, per loro caratteristiche e scelte industriali, non lo vedrebbero né ora né mai. Ma il dato più importante da rilevare è che questo discutibile guadagno per alcuni si potrebbe verificare non intervenendo su dazi e tariffe, le vere barriere commerciali tra Usa e Ue che sono al momento abbastanza ridotte, ma per il 70-80% dei benefici potenziali – come ricorda la stessa Commissione nel Rapporto che analizziamo – ma con l’abbattimento di misure di protezione, sanitaria, fitosanitaria, dal taglio dei controlli sulle filiere e sulle merci, e solo in minima misura dalla riduzione della burocrazia.
Per capire ancora meglio quanto ci sia di propaganda e quanto di sostanza nella rilevazione condotta dalla Commissione, ricordiamo che essa contiene anche una sorta di ‘rilevazione di gradimento’ delle Pmi rispetto al Ttip, che chiaramente riporta risultati molto positivi. Delle 150mila realtà che esportano negli Usa, però, la Commissione ne ha ascoltate appena 869: 279 micro-imprese con da 1 a 9 lavoratori (32% del campione), 226 piccole con 10-50 lavoratori (26%), 142 medie con 50-250 addetti (16,3%). Peccato che queste percentuali non fotografino la realtà delle Pmi europee, e che quindi la rilevazione violi le regole-base della statistica, stante che nel mercato Ue le micro-imprese rappresentano il 92% delle Pmi, le piccole il 6,6% e le medie appena l’1%, e che quindi il campione avrebbe dovuto rappresentare almeno parzialmente queste proporzioni, se voleva avere qualche tipo di attendibilità scientifica. Una garanzia dovuta a chi, tra le Pmi, con questi giochi di coefficienti e retorica rischia di rimetterci definitivamente la pelle.
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