Con
la differenza, però, sostanzialissima, che mentre tutto il pubblico di
quei tristi buffoni si esaurisce nelle piccole platee dei
c'era-una-volta tour, quello dei guitti politici sulla breccia come
Salvini è esteso quanto l'intero bacino mediatico nazionale ed è
continuamente alimentato dalla rincorsa all'audience tra canali e tra
testate (per far salire il prezzo da richiedersi ai rispettivi
inserzionisti pubblicitari, ovviamente).
Inoltre, considerate questa differenza ulteriore – ancor più
importante, decisiva: a differenza del povero chitarrista imbolsito
davvero e dannato per finta, che gli spettatori alla fine non prendono
sul serio (stanno lì solo per divertirsi un po', e dopo si torna alla
vita vera), nel caso del cialtrone leghista i destinatari di tutto quel
suo marketing razzista e inumano (i destinatari del marketing, non i
bersagli degli slogan: cioè gli italiani-medi, non i migranti o i rom o
in generale i povericristi) sono davvero dannati alla stupidità da un
paio di generazioni di decerebrazione indotta, tanto che gli è ormai
estraneo il principio di realtà (quello con cui un adulto sa separare la
verità dalla finzione), e per di più si ritrovano l'anima bolsa e priva
di quei nervi basici che chiamiamo empatia, dignità, coraggio, civiltà.
Il risultato è che per ogni uovo o pomodoro lanciato verso Salvini – meglio: per ogni uovo o pomodoro di cui stampa, tv e web narrano al grande pubblico italiano la traiettoria – da parte di una ridottissima minoranza di persone sveglie, attive e indignate dai suoi slogan che si danno appuntamento nei luoghi del suo tour (e purtroppo cadono nella sua trappola teatrale, che scatta solo se lui suscita reazioni così plasticamente mediatizzabili), ebbene ci sono dieci nuove adesioni alle sue tesi tra la stragrande maggioranza degli italiani-medi, dalla mente che russa sodo e lo spirito che rutta al più. Dieci voti virtuali nuovi contro un reale uovo che vola!
Salvini lo sa, ci conta (ci conta che volino uova, al più, mai sampietrini), politicamente vive di questo e per questo soltanto.
Perché sa che gli italiani svegli, attivi e indignati dal suo razzismo e dalla sua inumanità (in cui, ripeto, non crede probabilmente nemmeno lui stesso) sono davvero pochi; mentre tantissimi sono gli indifferenti ai moti dell'anima e dell'intelletto, e all'azione conseguente da essi, che però si solleticano a sentire qualcuno in televisione così sfacciato da dire con voce ferma ciò che essi pensano in cuor loro ma che si vergognano pure di sussurrare in famiglia: le frattaglie dell'egoismo sociale più gretto.
Gli indifferenti.
Ieri era l'anniversario della morte di Gramsci, del 1937. E per fausta coincidenza, quasi un contrappasso, esattamente otto anni dopo veniva arrestato dai partigiani, definitivamente, Mussolini: il mandante di un'infinità di nefandezze – compresa quella morte precoce e funestissima.
“Odio gli indifferenti,” scriveva Gramsci nel '17, “l’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della Storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la Storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”
Compagne e compagni, date retta: odiamo con maggior costrutto, risparmiamo uova e pomodori!
Voltiamo le spalle al teatro e lavoriamo pazientemente – determinatissimi, da nuovi partigiani – per un'egemonia di classe che salvi questo Paese (e noialtri gente per bene) anzitutto da se stesso.
Il risultato è che per ogni uovo o pomodoro lanciato verso Salvini – meglio: per ogni uovo o pomodoro di cui stampa, tv e web narrano al grande pubblico italiano la traiettoria – da parte di una ridottissima minoranza di persone sveglie, attive e indignate dai suoi slogan che si danno appuntamento nei luoghi del suo tour (e purtroppo cadono nella sua trappola teatrale, che scatta solo se lui suscita reazioni così plasticamente mediatizzabili), ebbene ci sono dieci nuove adesioni alle sue tesi tra la stragrande maggioranza degli italiani-medi, dalla mente che russa sodo e lo spirito che rutta al più. Dieci voti virtuali nuovi contro un reale uovo che vola!
Salvini lo sa, ci conta (ci conta che volino uova, al più, mai sampietrini), politicamente vive di questo e per questo soltanto.
Perché sa che gli italiani svegli, attivi e indignati dal suo razzismo e dalla sua inumanità (in cui, ripeto, non crede probabilmente nemmeno lui stesso) sono davvero pochi; mentre tantissimi sono gli indifferenti ai moti dell'anima e dell'intelletto, e all'azione conseguente da essi, che però si solleticano a sentire qualcuno in televisione così sfacciato da dire con voce ferma ciò che essi pensano in cuor loro ma che si vergognano pure di sussurrare in famiglia: le frattaglie dell'egoismo sociale più gretto.
Gli indifferenti.
Ieri era l'anniversario della morte di Gramsci, del 1937. E per fausta coincidenza, quasi un contrappasso, esattamente otto anni dopo veniva arrestato dai partigiani, definitivamente, Mussolini: il mandante di un'infinità di nefandezze – compresa quella morte precoce e funestissima.
“Odio gli indifferenti,” scriveva Gramsci nel '17, “l’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della Storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la Storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”
Compagne e compagni, date retta: odiamo con maggior costrutto, risparmiamo uova e pomodori!
Voltiamo le spalle al teatro e lavoriamo pazientemente – determinatissimi, da nuovi partigiani – per un'egemonia di classe che salvi questo Paese (e noialtri gente per bene) anzitutto da se stesso.
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