«Cittadini di Atene, il dado è tratto. La Grecia si rialza in piedi, con orgoglio e dignità». Un abbraccio con Pablo Iglesias, che sussurra in rima «Syriza-Podemos, venceremos», e Alexis Tsipras, preceduto da Bella ciao in versione Modena City Ramblers, sale sul palco di piazza Omonia, davanti al suo pubblico, quello delle centinaia di manifestazioni che hanno percorso la capitale ellenica dall’inizio di un’incubo chiamato austerity e che ora vedono la possibilità di farla finita con un sistema che ha condotto il Paese alla rovina.
E’ da qui che di solito partono le grandi manifestazioni dirette a Syntagma, la piazza del Parlamento, ed è quest’ultima la piazza convenzionalmente riservata ai comizi di chiusura di quella che qui chiamano «opposizione di maggioranza».
Ma oggi, per la prima volta dal dopoguerra, non è accaduto: Syntagma è occupata con gran sfoggio di bandiere rosse e falci e martello dai cugini-coltelli del Kke, il Partito comunista che si gioca il ruolo di terza forza con To Potami (Il fiume), una neonata formazione centrista.
Poco male. La stampa di tutto il mondo è qui per vedere da vicino il fenomeno Syriza, da Exarchia arrivano in corteo urlando «né Venizelos (il segretario del Pasok, ndr) né Samaras» e Tsipras li accoglie con un «è arrivato il popolo». Ma la piazza è piena di gente comune, senza bandiere né slogan da urlare. Saranno loro il valore aggiunto della prima coalizione di sinistra radicale al governo in un paese europeo.
E’ un discorso da vincitore annunciato, quello di Tsipras.
L’ultimo sondaggio, pubblicato ieri, lo dà in vantaggio di quattro punti su Nea Democratia ma senza la possibilità di formare un governo monocolore. Dice che «l’ultima speranza di Samaras, la paura, è finita, sia fuori che dentro la Grecia» e chiede la maggioranza assoluta «non per ricreare il sistema bipolare che ha rovinato il Paese», ma per realizzare il «sogno» di cambiare radicalmente la Grecia e avere più forza anche dinanzi all’Europa.
Fa appello a più riprese all’unità dei greci («lasciamo a Samaras la retorica da guerra civile», «la gente ripone molte speranze nella sinistra, saremo patriottici») ma sa bene chi tenere fuori: le oligarchie che hanno fatto il bello e il cattivo tempo nel Paese, portandolo alla rovina. Ribadisce quello che ha sempre detto fin dal primo giorno, senza rispondere direttamente a Mario Draghi e alla Bce, che annunciano l’acquisto di titoli di Atene solo se la Troika rimarrà al suo posto: rinegoziazione del debito, cambiamento all’interno del perimetro comunitario («torneremo a essere un partner con pari diritti»), stop ai Memorandum firmati dai governi precedenti. Tradotto in pratica, sarebbe la fine del commissariamento della Grecia, ed è qui che rischia di aprirsi il primo vero scontro politico del suo governo.
Tsipras su questo punto non si tira indietro e neppure gioca di fioretto, anzi affonda il colpo: «La dirigenza tedesca non ha il diritto morale di negare quello che è stato concesso alla stessa Germania. Da lunedì rivendicheremo anche i crediti di guerra».
Al rivale Samaras, l’uomo di Juncker e della Troika, è riservata non più di qualche battuta, come quando dice che «Nea Democratia il prossimo mese avrà un problema, quello di dover cambiare leader» oppure quando lo attacca sulla campagna di demonizzazione che ha condotto: «Si sono attaccati al potere puntando sulla paura. Mai un premier greco era sceso così in basso, parlando male della sua patria». Syriza ha fatto un grande sforzo per tranquillizzare le persone, e Tsipras lo ricorda ancora una volta dal palco: «Ci impegniamo a garantire i depositi bancari, le pensioni e le sovvenzioni agricole, e a bloccare le aste per le prime case sequestrate».
Ma la gran parte del discorso è centrato sulle proposte di Syriza, quello che viene definito «programma di Salonicco» ed è diffuso a ogni comizio come un libretto rosso: la lotta alla corruzione («La paura si è ribaltata, ho saputo che nei ministeri hanno già dato ordine di distruggere tutti i documenti»), la riforma della macchina statale («Lo Stato sarà un motore di sviluppo e investimenti, produttore di ricchezza»), la guerra all’evasione fiscale («controlleremo tutte le liste di evasori che i precedenti governi non hanno verificato»), la tassazione della grande ricchezza, la rottura del legame tra politica, grandi interessi e media, un cavallo di battaglia dell’intera campagna elettorale.
Viceversa, ed è quel che lo rende popolare tra il ceto medio impoverito e le classi più disagiate, sogna con Martin Luther King che “nessuno debba rimanere al buio perché gli hanno staccato la luce, nessun giovane sia sfruttato, nessuno muoia di freddo, tutti gli individui abbiano pari diritti indipendentemente dal sesso o dalla religione”.
Promette di cancellare la tassa sulla prima casa, un sistema fiscale più equo, l’eliminazione del lavoro nero. Un programma più che ambizioso al quale Syriza comincerà a lavorare «da lunedì», anche se Tsipras non nasconde che «sarà un lavoro molto difficile». Ma si dice pronto ad affrontare la sfida: «La strada che abbiamo scelto necessita di decisione e provocherà un forte scontro, ma siamo preparati».
Conclude: «Oggi questi sono slogan, da lunedì saranno leggi dello Stato». L’ovazione è scontata.
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