1.1. Il QE
consiste in un intervento della Banca Centrale che compra titoli sul
mercato. La BCE “crea denaro” e lo usa per acquistare principalmente
titoli di Stato, (come i Btp italiani). L’acquisto viene fatto
unicamente sul mercato secondario (il mercato primario è quello in cui
lo Stato emette Bot o Btp e li piazza sui mercati, e in questo caso la
BCE non può intervenire. Una volta che i titoli di Stato sono immessi,
possono poi essere comprati e venduti tra investitori, e questo è il
mercato secondario).
1.2. Quanti soldi
– Il QE sarà di 60 miliardi di euro al mese, almeno fino a settembre
2016 (ovvero 1.140 miliardi in 19 mesi) con la possibilità di proseguire
anche oltre, in particolare fino a quando l’inflazione non risalirà a
sufficienza.
1.3. Le garanzie
– La BCE compra titoli di Stato del Paese X, ma se poi il Paese X fa
default, ovvero non ripaga il debito? E’ stato previsto che il 20% del
rischio sia a carico della BCE, mentre l’80% ricadrà sulle Banche
Centrali dei singoli Paesi europei.
1.4. Quali titoli
– La BCE comprerà titoli di tutti i Paesi dell’area euro, in
proporzione alla quota che ogni banca centrale ha nel capitale della BCE
(il capitale della BCE è detenuto dalla Banca d’Italia, Banca di
Francia, Bundesbank, ecc… Ogni Banca nazionale ha una certa quota del
capitale della BCE, e gli acquisti verranno fatti in proporzione a
questa quota).
2. OBIETTIVI
2.1. Gli
obiettivi che si spera di ottenere con il QE sono essenzialmente di due
tipi. Il primo è un calo del rendimento dei titoli, il secondo un
deprezzamento dell’euro.
2.2. Calo
rendimento titoli – Per finanziare il proprio debito pubblico, gli Stati
devono oggi rivolgersi ai mercati finanziari, che fissano il tasso di
interesse (se nessuno vuole i BTP italiani perché considera l’Italia a
rischio, il Tesoro deve offrire tassi di interesse sempre più alti
per piazzarli – è lo spread). Se la BCE interviene comprando questi
titoli di Stato, per l’Italia sarà più facile piazzarli, e quindi il
tasso di interesse scenderà.
2.3. Più
soldi, aumenta l’accesso al credito – Un secondo obiettivo legato
direttamente al calo del rendimento dei titoli è il fatto che si
liberano soldi da investire in altro modo. Le banche sono tra i maggiori
possessori di titoli di Stato. Se la BCE va dalle banche private e ne
propone l’acquisto, alle banche entrano “soldi freschi” che possono
essere impiegati per dare credito a famiglie e imprese. A maggior
ragione se i tassi sui titoli di Stato calano (vedi paragrafo
precedente), per le banche private diventa sempre meno conveniente
tenersi Btp e simili, e quindi saranno spinte a impiegare i soldi in
altro modo. Prima di tutto, appunto, erogando credito all’economia, in
secondo luogo parte dei soldi si sposterà sul mercato azionario.
L’aumento della domanda di azioni ne fa alzare il prezzo, con altri
vantaggi per le imprese. Il QE dovrebbe quindi permettere di rilanciare
il credito e l’economia, dopo anni in cui famiglie e imprese hanno visto
le banche chiudere i rubinetti (il cosiddetto credit crunch).
2.4.
Deprezzamento dell’euro – E’ il secondo grande obiettivo. Più euro che
circolano a parità di beni e servizi significa che i soldi tendono a
“valere meno”. E’ la definizione di inflazione. La BCE tende a
un’inflazione del 2%, mentre oggi buona parte dell’UE si trova in
deflazione (ovvero prezzi che calano, il che ha impatti pessimi
sull’economia, le vendite, su chi ha un debito, ecc…).
2.5.
Deprezzamento dell’euro – C’è anche una seconda fondamentale ricaduta
dal deprezzamento dell’euro: per i Paesi che usano la moneta unica, le
esportazioni diventano più semplici e le importazioni più costose. Con
il QE l’euro dovrebbe scendere (in particolare rispetto al dollaro,
ma anche rispetto alle altre principali valute), il che dovrebbe portare
diversi Paesi che adottano la moneta unica ad aumentare l’export, con
ricadute positive sui conti pubblici.
3. PROBLEMI E CRITICHE
3.1. A
leggere i paragrafi precedenti (e parte dei media), dal QE sembrano
esserci unicamente vantaggi. Tutto bene quindi? Non proprio, sia perché
alcuni dei vantaggi esposti hanno anche delle ricadute negative, sia
perché non è detto che gli effetti siano quelli sperati.
3.2.
Aumento del credito erogato. Siamo sicuri che le banche erogheranno più
credito, trasferendo i soldi del QE a famiglie e imprese? Il problema
attuale, per molti Paesi tra cui l’Italia, è un altro: le banche hanno
delle sofferenze sempre più alte (le sofferenze sono la percentuale di
prestiti erogati che non vengono restituiti, e in Italia siamo ormai
intorno al 10%), questo porta le banche a non fidarsi dei clienti e
chiudere i rubinetti del credito, il che aumenta le difficoltà delle
imprese, e quindi le sofferenze, in una spirale che si autoalimenta.
Sui mercati finanziari ci sono oggi qualcosa come 1.200 miliardi di euro
investiti in titoli a tassi negativi: già oggi molti investitori (tra
cui le banche) preferiscono addirittura rimetterci qualcosa pur di
parecheggiare la liquidità in porti sicuri, invece di erogare prestiti.
In altre parole, il problema attuale è la trappola della liquidità. Con
una nota metafora, puoi portare un cavallo al fiume, ma non puoi
obbligarlo a bere, ovvero in una fase di difficoltà e sfiducia puoi
immettere sempre più liquidità, ma non fare in modo che questa si
trasformi in consumi e investimenti e non rimanga “incastrata” in
risparmio, o peggio in attività speculative.
3.3. A
conferma di tale rischio, si può osservare come le manovre messe in
campo finora dalla BCE siano state del tutto inefficaci, a partire da
quelle convenzionali, come l’abbattimento dei tassi di riferimento (il
“costo del denaro” a cui la BCE presta alle banche) che dovrebbe
permettere a loro volta alle banche di erogare più credito. I tassi sono
scesi fino allo 0,05% senza risultati apprezzabili. Così come non hanno
dato i risultati sperati il precedenti interventi della BCE
di immissione di liquidità: i 1.000 miliardi dati alle banche negli anni
scorsi con un’operazione chiamata LTRO e i primi riscontri sulla nuova
operazione lanciata pochi mesi fa dalla BCE per le banche, il TLTRO, in
cui ulteriore liquidità è condizionata proprio all’erogazione di credito
ma che al momento non sembra funzionare.
3.4. C’è
un altro enorme dubbio sulle capacità del QE di rilanciare l’economia
europea: la libertà di movimento dei capitali. La BCE immette liquidità
in Europa, ma quale garanzia c’è che tali capitali rimangano
nell’economia del vecchio continente, in assenza di qualsiasi controllo
sui movimenti di capitale e di una finanza che ragiona in millesimi di
secondo? Di fatto buona parte della liquidità immessa dalla Banca
Centrale giapponese con il suo QE si è riversata sui mercati
finanziari internazionali, nelle economie emergenti e in operazioni
speculative. Perché questa volta dovrebbe essere diverso?
3.5. Il
rischio non è quindi unicamente quello di un QE inefficace per
rilanciare credito e crescita economica. Ancora peggio, dei mercati
finanziari su cui circolano sempre più soldi si potrebbero distaccare
ulteriormente da un’economia che rimane al palo: la definizione stessa
di una nuova bolla finanziaria. E’ vero che il QE potrebbe portare a un
aumento delle quotazioni azionarie, ma tale aumento andrebbe unicamente
alle fasce più ricche della popolazione e non sarebbe
distribuito all’insieme della società.
3.6. In questo senso, molti
segnalano che il QE ha (in parte) funzionato negli USA, dove la FED
ha immesso migliaia di miliardi di dollari. C’è però una differenza di
fondo tra gli Stati Uniti, dove le imprese si rivolgono principalmente
ai mercati finanziari, e l’Europa, dove sono molto più
legate all’erogazione di credito bancario.
3.7.
Diminuzione dello spread e dei tassi. Il secondo obiettivo legato al
calo dei rendimenti è quello di fare scendere lo spread, in particolare
per i Paesi in difficoltà della periferia europea. E’ vero che una banca
centrale che si impegna ad acquistare titoli di Stato dovrebbe tenere a
freno le pulsioni speculative dei mercati, ma è altrettanto vero che
l’acquisto proquota dei titoli dei vari Paesi europei significa che di
fatto la BCE acquisterà molti titoli tedeschi, che hanno tassi già
oggi negativi, e molti meno di Paesi quali Portogallo o Grecia, che ne
avrebbero maggiormente bisogno.
3.8.
Proprio il Paese ellenico è quello che suscita le preoccupazioni
maggiori. Draghi ha già chiarito che la BCE potrà acquistare anche
titoli di Paesi con un rating pessimo, ma unicamente se il Paese accetta
un programma di assistenza della Troika. L’attuale programma di
assistenza scade a fine febbraio. L’annuncio suona più come un
commissariamento che non come un aiuto. Quale sarà il margine di manovra
del nuovo governo greco?
3.9. Il
secondo macroobiettivo, il deprezzamento dell’euro, dovrebbe portare
come detto ad aumentare le esportazioni. Con tutti i limiti indicati in
precedenza sull’efficacia economica, se anche funzionasse, questo si
tradurrebbe di fatto nell’esportare i nostri problemi. Nei giorni
scorsi lo sganciamento del franco svizzero dall’euro (legato proprio
all’imminente QE e all’impossibilità per la Banca svizzera di continuare
a difendere un cambio a 1,2 con l’euro) ha portato a un aumento
repentino del franco, con impatti molto pesanti sulle esportazioni e
l’economia elvetiche. Qualcosa di analogo è avvenuto in Danimarca. Il QE
si traduce di fatto in una gara alla svalutazione competitiva, secondo
una politica indicata come “beggar thy neighbour” (frega il vicino). E’
su queste basi che si intende rilanciare l’economia europea?
3.10. La
questione del “beggar thy neighbour” si iscrive in un quadro più ampio,
che è quello di una competitività esasperata che è diventata un
obiettivo in sé. La logica mercantilista che guida l’UE si può
riassumere nel fatto che chi esporta di più vince. E’ una vera e propria
corsa verso il fondo, sia tra Paesi europei sia tra UE e resto del
mondo. Una corsa a smantellare i diritti del lavoro, a ridurre le tutele
ambientali e sociali, a inseguire tassazioni sempre più basse
sulle imprese. In questo senso il QE potrebbe ridursi di fatto a
un’ulteriore arma in questa gara: una corsa verso il fondo anche in
materia monetaria. Dobbiamo capire se il problema sia aggiungere nuove
armi in questa guerra giocata sui diritti delle lavoratrici e dei
lavoratori e sulla pelle delle fasce più deboli che subiscono austerità e
tagli al welfare nel nome della competitività. Piuttosto non dovremmo
uscire dall’idea di una “guerra” a chi esporta di più, cambiando alla
base non solo le politiche ma anche la visione d’insieme dell’Europa?
3.11.
Allargando ancora lo sguardo, e anche se il QE dovesse rivelarsi
efficace, colpisce come l’impostazione di fondo delle politiche
economiche e le misure per uscire dalla crisi siano di fatto delegate a
banche centrali sempre più potenti. Questo è vero in Paesi come USA,
Giappone o Gran Bretagna, ma è ancora più vero nell’UE, dove a fronte di
una BCE che determina la linea di indirizzo, le altre istituzioni
sembrano latitare. In altri termini, il problema di uscire dalla
crisi dovrebbe essere di politica economica, molto prima che non
monetario. Dovrebbero essere governi nazionali e istituzioni europee a
domandarsi cosa serva davvero all’Europa per rilanciare l’economia e
l’occupazione.
3.12. La
risposta alla domanda precedente è nota: in UE servirebbe un piano di
investimenti. Purtroppo quello che è stato spacciato come un grande
piano da 320 miliardi (il “piano Juncker”) sembra poco più di una
scatola vuota, in cui i miliardi sono una ventina e il resto
dovrebbe metterlo il privato. Se anche dovesse essere così – e i dubbi
sono più che legittimi – il problema di fondo è che un rilancio di
occupazione ed economia necessiterebbe di un forte indirizzo
pubblico, per orientare gli investimenti su welfare, ricerca,
formazione, transizione ecologica dell’economia.
Difficile, a dire poco, che
nel momento in cui si spera che i privati mettano (quasi) tutti i soldi,
poi il pubblico possa dare tale indirizzo.
3.13. La
debolezza dell’UE si vede anche nell’ibrido prodotto con questo QE, nel
quale la BCE mette la liquidità ma poi si fa carico unicamente del 20%
dei rischi connessi, mentre l’80% ricade sulle Banche Centrali dei
singoli Paesi. Per l’ennesima volta una UE in mezzo a un guado, con
una moneta unica e una Banca Centrale unica ma una pluralità di
interessi nazionali spesso in contrasto tra di loro.
3.14. In
ultimo, ma è forse l’elemento più importante, il QE e più in generale
l’insieme delle politiche europee partono dall’assunto che alla base
della crisi ci sia un problema di finanza pubblica, “dimenticandosi”
come sia la finanza privata ad aversi trascinato nella situazione
attuale. Una finanza ipertrofica e fuori controllo che è stata salvata
solo pochi anni fa con migliaia di miliardi, socializzando le perdite
dopo avere privatizzato i profitti. Per chiudere questo
casinò finanziario privato poco o nulla è stato fatto in questi anni,
anche se le proposte sono tutte sul tavolo, da una tassa sulle
transazioni finanziarie alla separazione tra banche commerciali e
di investimento ad altre ancora. Si parte però da una diagnosi
completamente sbagliata – il pubblico è il problema, il privato è la
soluzione – per proporre una cura altrettanto sbagliata – austerità
per Stati e cittadini che hanno subito la crisi, liquidità illimitata
per la finanza che l’ha provocata.
3.15. Il
risultato di tali politiche è sotto gli occhi di tutti: negli ultimi
anni continuano ad aumentare le diseguaglianze tra un’élite sempre più
ristretta e più ricca e la stragrande maggioranza della popolazione,
sempre più povera. Povertà diffusa che, al di là degli impatti sociali,
si traduce in meno consumi e un crollo della domanda aggregata, ovvero
recessione, deflazione e sfiducia. Esattamente gli elementi che
rischiano di rendere totalmente inefficace un QE, che
all’opposto potrebbe gonfiare ulteriormente una finanza ipertrofica. E’
questo il problema di fondo che sembra non volere essere affrontato:
l’elemento centrale di questa crisi non è dovuto al fatto che non
ci sono soldi, ma che ce ne sono troppi. E’ che sono (quasi) tutti dalla
parte sbagliata. E’ un problema di diseguaglianze e di strapotere della
finanza privata. E sembra proprio che il Quantitative Easing targato
Draghi potrebbe portare a un’ulteriore accelerazione in questa stessa
direzione.
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