il manifesto-alfonso gianni
Il tema di una nuova “coalizione sociale” è ormai entrato con forza nel dibattito della sinistra. Ne hanno parlato e scritto in diverse e diversi, qui e altrove. Se ne è parlato nell’assemblea di Bologna dell’Altra Europa con Tsipras; se ne discuterà nei diversi appuntamenti che questa nostra sbrindellata sinistra malgrado tutto si è data, riconfortata dalla significativa affermazione di misura nelle elezioni europee. Più ancora che le parole hanno pesato il successo di diverse manifestazioni, quella della Cgil del 25 ottobre, lo sciopero generale e lo sciopero sociale successivi.
Il tema della nuova coalizione sociale si incrocia con la mancanza di una rappresentanza politica, prima ancora che istituzionale, della sinistra e quindi con la necessità della costruzione di un soggetto politico nuovo, tendenzialmente unico, per quanto plurale, non certo una ennesima aggiunta alla pluralità dei micropartiti esistenti. E’ bene approfondire quindi la riflessione su entrambi i fronti, della coalizione sociale e del soggetto politico.
La prima non può essere pensata e ricercata solo su scala nazionale. Se un nuovo impulso c’è è perché il tema ha assunto nei fatti una dimensione europea. La crisi ha strappato il tessuto sociale, ma è una potenziale occasione di unificazione. Certo il ritorno allo status quo ante non è possibile. Per questo parliamo di nuova coalizione sociale. La mobilitazione del 18 marzo a Francoforte per l’inaugurazione della nuova Eurotower, simbolo di impermeabilità alle istanze sociali e democratiche, sarà una prova significativa di questa potenzialità.
Pensare però di costruire una coalizione sociale che sia divisiva in partenza ci porterebbe al fallimento. Nel nostro paese essa non può essere ridotta soltanto ai movimenti dei No o ai centri sociali, ma, oltre a questi, deve comprendere quel grande popolo di sinistra senza rappresentanza politica che abbiamo concretamente visto sfilare il 25 ottobre a Roma, che rivendicava non solo lavoro e reddito ma anche diritti e democrazia, stabilendo così un filo diretto con il grande appuntamento de “La via maestra” di diversi mesi prima.
Proprio per questo non ha senso contrapporre, nelle idee e nei tempi, l’obiettivo di una nuova coalizione sociale a quello di un soggetto politico nuovo. La complessità delle soluzioni in un mondo interconnesso richiesta dalla drammaticità della condizione sociale non è risolvibile senza una chiara e articolata scelta politica, così come quest’ultima resta come i caciocavalli appesi se non si fonda su un multiforme e multi tematico movimento sociale diffuso. La classica divisione fra sociale e politico è da tempo saltata. Simul stabunt simul cadent. Non c’è successo della sinistra che non sia partito, si pensi alle esperienze diverse di Syriza e di Podemos, da un profondo legame con il sociale e i conflitti che si agitano al suo interno.
Il guaio è che non abbiamo modelli precostituiti. La discussione se conviene imitare Podemos o Syriza è ridicola. I modelli vincenti vengono stabiliti ex post non ex ante. Capisco poco la contrapposizione tra chi vuole partire dai movimenti e chi dai micro partiti. Chi ha tentato l’una o l’altra strada, ponendole in alternativa, ha fallito.
«Creare una nuova soggettività politica assemblando quel che c’è — come dice Rodotà — è una via perdente». Infatti dobbiamo creare nella società un nuovo “senso”, non raccogliere consensi preesistenti. L’Altra Europa con Tsipras ha ottenuto un risultato perché capace di rivolgersi ai movimenti, al sociale e all’ astensionismo anonimi, alla sinistra diffusa, senza però rigettare il contributo dei militanti dei micro partiti. Ora bisogna fare di più e presto. Da Sel al Prc si dichiarano da tempo non autosufficienti. Benissimo: mettano le loro residue forze a disposizione di un processo unitario che ben le sopravanza senza ulteriori indugi. Abbiamo di fronte un potere che si cementa sotto la direzione di Renzi e delle elites europee. Dobbiamo contrapporgli un alternativo potere costituente sia sul terreno sociale che politico.
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