Nella cerchia del premier Matteo Renzi si attende solo l’ufficializzazione. La resa finale, si potrebbe dire. Angelino Alfano “sta per cedere” sul nome di Sergio Mattarella presidente della Repubblica, da votare in quarta votazione domattina. I segnali si sono rincorsi da questa mattina, ma decisivo è stato il vertice tra il premier e il ministro degli Interni alla Camera. Alfano aspetta un gesto distensivo da parte del capo del governo, una dichiarazione in effetti arriva poco dopo. "Auspico si determini la più ampia convergenza possibile per il bene comune dell'Italia", scrive Renzi in una nota per le agenzie di stampa. Quella di Mattarella è una scelta che interpella tutti e non solo un partito".
Ecco l'appello di Renzi:
"Finite le prime tre votazioni, siamo arrivati al momento chiave. Siamo di fronte alla concreta possibilità che una personalità autorevole e stimata da tutti, un servitore dello Stato come Sergio Mattarella, diventi il presidente della Repubblica con un voto ampio di settori della maggioranza e dell'opposizione parlamentare. Non è una questione che riguarda un solo partito: la scelta del Capo dello Stato interpella tutti, senza distinzioni. Per questo auspico che sul nome di Sergio Mattarella - presidente della Repubblica di tutti gli italiani - si determini la più ampia convergenza possibile per il bene comune dell'Italia".
Perché senza i voti dell’Ncd di Alfano, la maggioranza ci sarebbe comunque, sono i calcoli fatti in un lungo vertice tra Renzi, i capigruppo del Pd Zanda e Speranza, i vicesegretari Guerini e Serracchiani e il presidente Orfini, nella sala del governo alla Camera, situata casualmente proprio di fianco ad una stanza che i commessi di Montecitorio hanno liberato apposta per Giorgio Napolitano: per consentirgli un po’ di riposo tra una votazione e l’altra. Nel vertice tra Renzi e il suo cerchio magico della partita quirinalizia, “abbiamo fatto un po’ di calcoli in vista di domani, non ci sono segnali di preoccupazione”, ci dice Speranza. Hanno parlato molto del ‘caso Alfano’, un ministro dell’Interno che gioca contro il suo governo sul presidente della Repubblica, dove si è visto mai? Sarebbe questo il ragionamento che Renzi ha portato avanti per tutto il giorno, piglio arrabbiato ma tendente a smorzare i più incendiari tra i suoi. Perché la costruzione per il Colle è un puzzle delicato. Da qui l’idea di lanciare un messaggio distensivo in direzione Ncd in modo da offrire una via d’uscita sicura all’alleato di governo.
Perché senza gli alfaniani la maggioranza ci sarà anche, tra i voti del Pd, di Sel, il Gal, i popolari di Mauro che votano per Mattarella, gli ex grillini che per tutta la giornata vengono ‘lavorati ai fianchi’ dagli stessi vendoliani e dalla minoranza Pd. Un lavoro di cesello che però non fuga il fantasma principale: il vecchio spettro dei 101 franchi tiratori di Prodi che dal 2013 disturba quiete e sogni del Pd. E’ per questo motivo che oggi le correnti Dem convinte di attenersi alla linea del segretario e di non fare scherzi su Mattarella, stanno cercando di autotutelarsi. Cioè di decidere un modo per rendere riconoscibile il loro voto su Mattarella. In Transatlantico c’è chi ne individua addirittura una dozzina. E li elenca: “Sergio Mattarella, Mattarella, S. Mattarella, Mattarella Sergio, prof Mattarella…”. Pare che bersaniani, franceschiniani e anche Giovani Turchi abbiamo proposto a Renzi di individuare un metodo per ogni corrente: un’offerta di lealtà e fiducia insomma per mettersi al riparo da sospetti e accuse in caso qualcuno voglia invece tradire. Ma il leader ha detto no.
Ufficialmente il segretario è contrario. “Sarebbe un brutto messaggio”, ci dice il renziano Dario Parrini. Un messaggio che ammetterebbe dubbi e sospetti sul Pd, nonostante l’unanimità con cui ieri l’assemblea dei grandi elettori ha accolto l’indicazione di Mattarella. Sarebbe come dire: ancora non mi fido. Perciò probabilmente niente di tutto ciò sarà messo in pratica, ma lo si vedrà domattina. Intanto, se ci sono i voti di Alfano tutto diventa più semplice: per chi vuole eleggere Mattarella, perché ci sono numeri più larghi, e per chi vuole tradire, perché c’è più spazio per farlo. Si vedrà. Nel Pd però c’è anche chi non mette per niente in conto l’idea di contrassegnare le schede in qualche modo. “Non mi piacciono questi metodi, non se ne parla. E poi l’altra volta hanno portato male…”, ci dice Ugo Sposetti, ex tesoriere, comunista. Del resto, l’abitudine di votare in maniera riconoscibile era di casa nella Dc.
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