mercoledì 28 gennaio 2015

Una rivoluzione ci salverà.

Naomi: una rivoluzione ci salveràCon i suoi saggi da 15 anni è la star della sinistra internazionale. Dopo No logo, e la sfida di Occupy, lancia una nuova parola d’ordine: eco-rivoluzione. «Perché giustizia sociale e rispetto della natura si possono conquistare solo insieme».

repubblica.it (Intervista)
Naomi Klein persegue un obiettivo politico chiaro e in modo molto determinato: «Vorrei che il mio ultimo libro diventasse un ponte per collegare e unire le persone che si mobilitano sui temi dell’ingiustizia economica con le persone consapevoli che siamo a un punto di crisi senza ritorno a causa dell’abuso dell’ambiente».
Una rivoluzione ci salverà è il terzo saggio della scrittrice canadese e corre sugli stessi binari sui quali è cominciato il suo lungo viaggio intellettuale e politico sul tema capitalismo-diseguaglianze-ambiente. Da quando il saggio è uscito negli Stati Uniti, e poi in rapida successione in Gran Bretagna, Olanda e adesso in Italia (in questi giorni, pubblicato da Rizzoli), la Klein ha girato come una trottola in un tour di presentazione organizzato non attraverso paludati incontri dibattito, ma con veri e propri raduni del movimento cui la Klein fa sempre riferimento: quel mondo di uomini e di donne che in questi ultimi dieci anni si sono mobilitati per la crisi economica come per l’oleodotto Keystone o contro i predoni della finanza di Wall Street. Che questo saggio voglia essere il carburante per alimentare un dibattito politico e la crescita del movimento lo si deduce anche dal fatto che il suo arrivo in libreria (il titolo originale è This Changes Everything: Capitalism versus The Climate) ha coinciso con l’inizio della riunione sul clima di primi ministri e presidenti dei 197 paesi aderenti all’Onu, e proprio quel giorno New York ha visto per le strade quasi mezzo milione di persone che manifestavano.


Chi è davvero Naomi Klein? Solo una scrittrice impegnata su tempi sociali, economici e politici di attualità? O un’attivista politica che usa i suoi saggi per dare la linea a un movimento dalle molte facce e globale? O addirittura, come ha scritto l’inglese The Guardian, è «la star della Nuova Sinistra Americana»? Ho incontrato Naomi Klein, che conosco da oltre 10 anni, nella sua città, Toronto, in un piccolo e molto spartano bar a 200 metri dall’abitazione dove vive con il marito giornalista e regista di documentari, Avi Lewis, e con il figlio di quasi tre anni, Toma. Sempre sorridente, la voce che mai supera il tono di una conversazione rilassata, decisa nell’affermazione della se
rietà del lavoro di saggista e delle sue convinzioni, Klein si è raccontata a cuore aperto.

Nel 2000 ha pubblicato il suo primo libro, No logo, che diventò subito il manifesto mondiale di un composito movimento anti globalizzazione. Adesso torna con Una rivoluzione ci salverà. Qual è lo scopo di questo lavoro?
«Vorrei entrare in contatto con quei lettori e quei movimenti che ancora oggi mantengono disgiunte le discussioni sulle questioni economiche da quelle ambientali: sono invece lo stesso problema e insieme vanno affrontate. Il nuovo saggio è la continuazione del lavoro cominciato con No logo e continuato con Shock economy. Una rivoluzione ci salverà prende avvio proprio dalla fine del precedente, dove concludevo con le immagini dell’uragano Katrina che devastò la città di New Orleans e fu la dimostrazione di come le diseguaglianze appaiono in tutta la loro crudezza quando un fenomeno naturale impatta su una società dove le infrastrutture lasciano a desiderare, il sistema economico è profondamente ingiusto e lo stato è assente. In più, in quell’occasione la tragedia fu sfruttata per attaccare tutto ciò che era pubblico, dal sistema scolastico a quello sanitario. La preoccupazione per il cambiamento climatico non riguarda solo la temperatura che sale e le sue conseguenze, noi viviamo in un sistema che rende ancora più brutale un ambiente squilibrato».

Si sente più una scrittrice o un’attivista politica?
«All’inizio ritenevo di essere un’attivista, anzi meglio un’attivista scrittrice, ma con il tempo ho cambiato idea. Penso di aver diviso la mia vita in compartimenti separati: quando scrivo, mi distacco dalla realtà circostante e mi dedico interamente al progetto che sto perseguendo, mi immergo nelle ricerche e poi nella scrittura, un lavoro lungo e complicato che richiede concentrazione totale e nessuna distrazione. Ci sono voluti 5 anni per finire l’ultimo libro e ne sono passati in tutto 7 da quello precedente. Una volta finito, entro in una dimensione diversa che richiede capacità differenti dalla scrittura ed è quella del rapporto con i lettori e con i movimenti, che si svolge in tempi e spazi differenti e ha bisogno di interazione e comunicazione costante con il mondo esterno. Insomma, la scrittura è una parte del mio lavoro, l’attivismo quella successiva».

Quando arriva il momento di interagire con i lettori e i movimenti, qual è il suo obiettivo?
«Al tempo di Shock Economy, ovunque mi invitavano a parlare spiegavo che le élite erano alla base della crisi economica e che ne avevano scaricato i costi sul resto sulla classe media e sui poveri. Dagli Stati Uniti all’Italia, ho incontrato migliaia di persone e di questo abbiamo discusso, ma oggi devo dire che da quell’esperienza ho ricavato quali sono stati gli errori commessi: il movimento anti crisi e anti austerità, i diversi gruppi di Occupy hanno commesso lo sbaglio di trincerarsi dietro una sequela di no a tutto, mentre era necessario proporre una visione complessiva della società per aggregare sempre più persone».

Il no è la cosa più facile da dire ed è sempre stato il limite dei movimenti. Si coagulano e crescono anche molto rapidamente dietro al rifiuto di qualcosa, ma poi non riescono a trasformare la loro opposizione in modo propositivo. Adesso che ha riposto i panni della scrittrice ed è tornata al ruolo di attivista, rivivrà la stessa esperienza di qualche anno fa e i suoi errori?
«Intanto, gli sbagli non sono solo del movimento. Il clima di consenso ai piani di austerità è passato anche perché c’era un mood che portava a dire sì non mi piace, ma non vedo altre alternative. Mi sembra che adesso la situazione sia diversa. L’oleodotto Keystone è stato fino a oggi bloccato perché il movimento ha spiegato i pericoli che porta con sé, non ha detto solo no; in Spagna Podemos ha formulato proposte per uscire dall’austerità e così anche il partito guidato da Tsipras in Grecia. Sono stata in Belgio dove c’è stato uno sciopero generale contro l’austerità e lì chiedevano un cambio di direzione, non gridavano solo no all’austerità».

Il quotidiano inglese The Guardian l’ha definita «la star della Nuova Sinistra Americana». Hanno colto giusto?
«Ho fatto la giornalista e so che le definizioni aiutano a capire, ma sono anche etichette che si consumano presto e alle quali tendo a resistere. È certo però che essere una scrittrice non mi basta, e quando non mi chiudo in casa per scrivere, voglio vivere completamente il mio ruolo attivo nella società. L’obiettivo è aiutare il movimento a crescere, a capire le priorità e a formulare proposte di cambiamento».

Nel suo saggio propone di trovare soluzioni allo stesso tempo alle storture del capitalismo e all’avanzare del riscaldamento globale. Come pensa di tenere in equilibrio e insieme le due questioni?
«Prima che i cambiamenti climatici modifichino il mondo in modo irreparabile dobbiamo intervenire. Inutile discutere di riduzione graduale del Co2 nei prossimi 30 anni. Bisogna partire subito dicendo che ogni anno vanno ridotte le emissioni dall’8 al 10 per cento dappertutto. Sapendo bene che il primo risultato sarà che le grandi società perderanno miliardi di dollari di profitto».

Di sicuro perderanno molto, di certo la crisi sarà scaricata sui lavoratori e milioni di posti di lavoro salteranno. Che si fa?
«Se si tagliano subito le emissioni bisogna intervenire in altri settori con investimenti massicci: per esempio nei trasporti, nelle reti che portano energia, in tutti i servizi. Se si contrae un settore se ne allargano altri, con lo stato che regola questo cambiamento e interviene. Se si perdono posti di lavoro da una parte se ne creano dall’altra. Insieme devono passare misure legate al semplice e giusto concetto che chi sporca paga, chi estrae ricchezze naturali paga un dazio alla collettività, chi vuole oggetti di lusso paga di più in termini fiscali di chi si accontenta di cose normali».

Non sembra che i leader del mondo a est come a ovest, a nord o a sud siano su questa strada.
«C’è una profonda differenza tra andare nella giusta direzione, ovvero il taglio annuale e da subito dell’8-10 per cento delle emissioni, e andare debolmente e meno lentamente nella direzione sbagliata, come ci mostra l’accordo tra Obama e il presidente cinese. Io non condanno mica quel trattato, convengo che sia un fatto storico e sorprendente rispetto alle attuali politiche dei due Paesi. Ma tutto ciò è assolutamente inadeguato da un punto di vista scientifico. Oggi stiamo vivendo nella situazione in cui si scontrano ciò che è politicamente possibile con ciò che è scientificamente necessario. C’è una rottura tra i limiti della politica e quello che il Pianeta può ancora sopportare in termini di inquinamento».

Sulla base di questo ragionamento, considera una inutile passeggiata quella organizzata del segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon con tutti i leader mondiali per discutere di misure contro il cambiamento climatico?
«Ha avuto un valore porre l’attenzione su questo tema in vista del summit di Parigi del 2015. Ma il valore aggiunto è venuto dal quasi mezzo milione di persone che hanno marciato quel giorno a New York, non solo attivisti, ma gente comune che ha chiesto di cambiare strada».

Lei è una scrittrice e un’attivista politica, ma è anche madre di un bambino di quasi 3 anni. Che futuro immagina o sogna per lui?
«Mi auguro che gli adulti, padri e madri, siano capaci di avviare un processo di transizione che ponga fine allo sconsiderato uso dei combustibili fossili che oggi sono come la morte. Per Toma mi auguro prima di tutto che sia capace di vivere i problemi della comunità della quale fa parte. E che viva in una società dove non c’è più la follia della crescita a tutti i costi. Spero che quando Toma sarà un teenager, cioè tra circa 10 anni, avremo finalmente scelto un altro modo di costruire una società e un’economia più sane di quelle contemporanee».


Una vita da attivista
1970
Naomi Klein è nata nel 1970 a Montreal da genitori americani pacifisti che si erano trasferiti in Canada in quanto oppositori della guerra del Vietnam. La madre,
Bonnie Sherr Klein, è una filmaker famosa per il film contro la pornografia Not a Love Story. Il padre, Michael Klein, è un medico, militante nell’associazione Physicians for Social Responsibility. Il fratello Seth è il direttore per la British Columbia del Canadian Centre for Policy Alternatives.
1985-1995 Come lei stessa ha raccontato, da ragazzina, anche per reazione alla madre, aveva una passione per shopping mall e abiti firmati. Scopre l’impegno dopo due eventi eclatanti. Il primo, personale, è l’ictus della madre, della quale lei, il padre
e il fratello si prenderanno cura in prima persona. Il secondo è il massacro all’Ecole Polytecnique dell’Università di Toronto, nel 1989: 19 studentesse di ingegneria uccise da un uomo che si proclamava anti-femminista. Proprio quell’anno Klein aveva iniziato lì gli studi. Presto scriverà articoli ed editoriali per magazine e giornali.
2002 Pubblica il saggio No logo, che diventa il manifesto del movimento contro la globalizzazione. Nel libro attacca la cultura dei consumi e dei brand, che accusa di essere una strategia commerciale delle multinazionali basata sullo sfruttamento dei Paesi in via di sviluppo.
2004 Con il marito Avi Lewis produce il documentario The Take, su un collettivo di operai argentini che prendono il controllo di una vecchia fabbrica e fanno ripartire la produzione.
2007 Esce il bestseller The Shock Doctrine, tradotto in 28 lingue. Il punto nodale è l’accusa al sistema capitalistico del libero mercato, accusato di avvantaggiarsi dei momenti di debolezza economica, politica e sociale degli Stati nazionali.
2014 Dopo anni di attivismo nelle varie piazze internazionali (con OccupyWall Street contro l’1% di privilegiati, con la Grecia contro l’austerià, con gli spagnoli di Podemos contro le politiche econimiche della Ue), pubblica (in italiano da Rizzoli) Una rivoluzione ci salverà, centrato sulle politiche ambientaliste.

Nessun commento:

Posta un commento