Aprire ai licenziamenti per "scarso rendimento". Questa la tentazione che cresce nel Governo, impegnato nella definizione dei decreti attuativi del Jobs Act con la nuova disciplina del contratto a tutele crescenti, che arriverà sul tavolo del Consiglio dei ministri il 24 dicembre.
Non mancano infatti le polemiche. È una norma anti-fannulloni? È un altro modo per dare maggiore libertà di licenziare? Cosa si intende per scarso rendimento? Quando si configura e in quali casi può essere applicato? Domande che al momento non trovano risposte.
Prime a spaccarsi sono le diverse anime del Pd. Per l'ex ministro del Lavoro, il dem Cesare Damiano, "se qualcuno intendesse utilizzare un criterio di scarso rendimento per i licenziamenti si tratterebbe di una scelta aberrante". Per Carlo Dell'Aringa, deputato Pd e giuslavorista, "se si fa riferimento allo scarso impegno ma anche alla cattiva volontà o alla negligenza del lavoratore, la modifica del governo diventa impropria. Qui il motivo non sarebbe più oggettivo ma soggettivo: insomma si rientra nel campo dei licenziamenti disciplinari che, anche con le nuove regole scritte dal governo Renzi, prevedono in alcuni casi il reintegro". In pratica per Dell'Aringa "c'è il rischio che l'azienda faccia scelte discrezionali". Sul fatto che il governo sarebbe orientato a intendere lo scarso rendimento in senso oggettivo, non lo scarso impegno, Dell'Aringa replica: "Me lo auguro, altrimenti si finirebbe per complicare le cose. Poi non ci si può lamentare se i giudici sbagliano". Sul doppio regime normativo, Dell'Aringa spiega: "Se il mondo del lavoro si abituerà a queste nuove norme sarà inevitabile estenderle a tutti nel giro di qualche anno. Il doppio regime può reggere nella fase transitoria ma non può durare 10 o 15 anni". Alla domanda se ci abitueremo a fare a meno dell'articolo 18, replica: "Ci siamo abituati alla scomparsa della scala mobile. Ci abitueremo anche a questo".
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