martedì 23 dicembre 2014

“Podemos”, una sinistra oltre la sinistra?

Sono anti casta, lottano contro il sistema corrotto e in Europa sono alleati del leader greco Tsipras. Un libro edito da Alegre racconta l'esperienza del nuovo partito che sta scuotendo la Spagna e che i sondaggi danno in grande ascesa. Ma sono davvero i grillini iberici?



micromega di Angelo d’Orsi
Un fantasma si aggira per l’Europa. Contro di esso tutte le potenze della finanza e della burocrazia, i “poteri forti”, ma traballanti, si stanno unendo, in una nuova Santa Alleanza, in nome della “stabilità”, dell’“ordine”, del “pareggio di bilancio”, della “governabilità”, e, naturalmente, della “democrazia” e dei cosiddetti “valori dell’Occidente”. No. Non si tratta del fantasma ormai antico, controverso, ma oggi senza mordente, del comunismo. È il più corposo, diffuso, e confuso, spettro del “populismo”, come viene sinteticamente e sbrigativamente etichettato, a fini puramente liquidatori. Ancora pochi giorni or sono, il presidente della nostra Repubblica, nel (forse) suo ultimo discorso politico, ha sparato contro populismo e antipolitica, visti in sostanza come sinonimi, due forme assunte dai nemici della democrazia (e dell’Europa, con cui scorrettamente viene confuso il carrozzone dell’Unione).

Di populismo si è parlato per fenomeni diversi, difficilmente assimilabili, in questi anni, ma sempre appunto con connotazione negativa, anche sovente con accenti volti a ridicolizzare i soggetti in questione, e soprattutto, partendo dalla ostentata convinzione che chi parla in nome del popolo contro “il palazzo” o “la casta”, sia un pericoloso nemico della patria, non importa quale: il sistema, detto con espressione d’antan.

Del resto la stessa teoria politica, sulla scorta degli esempi storici, distingue tra un populismo di destra e uno di sinistra, ma si tratta di categorie che la pratica recente ha scombussolato: dove collocare il Movimento 5 Stelle? Né di destra, né di sinistra, si dichiarano i loro leader, rivelando in realtà un oscillare ambiguo fra i due poli dell’arco politico, con reclutamento sociale variegato. Di populismo sono stati accusati i diversi movimenti extraparlamentari che hanno animato le piazze (fisiche e virtuali) negli ultimi anni, in nome di un “altro mondo possibile”, o semplicemente in nome della legalità, o della pubblicità dei “beni comuni”, della difesa ambientale o paesaggistica e così via.

Né di destra né di sinistra si definisce il movimento chiamato Podemos (“Possiamo”, che può essere inteso sia come un verbo indicativo, una constatazione, sia come un imperativo, un comando) nato recentissimamente in Spagna, sull’onda del M15M, ossia il cosiddetto movimento degli indignados, e che, inopinatamente, alle ultime Elezioni per il Parlamento dell’UE ha fatto incetta di voti. Un traguardo insperato, che in Spagna ha suscitato una vivace discussione, ma che da noi, a dispetto delle numerose ragioni di vicinanza e delle affinità, con analoghe esperienze, è rimasto poco o niente affatto noto. Arriva perciò puntuale e anzi tempestivo il libretto di due giornalisti politici, Giacomo Russo Spena e Matteo Pucciarelli, ben noti ai frequentatori di questa nostra agorà: Podemos. La sinistra spagnola oltre la sinistra (con Prefazione di Moni Ovadia, Alegre Edizioni, 128 pp., € 12).

Il titolo appare contraddittorio, e infedele rispetto alla tesi che gli autori correttamente riportano da documenti, discorsi e interviste di taluni dei protagonisti di questo movimento che si sta trasformando in partito. Tutti accomunati dal rifiuto della coppia politica destra/sinistra, ma a differenza del movimento pentastellato, gli spagnoli guidati da Pablo Iglesias, nel loro bagaglio politico hanno tutte istanze squisitamente, genuinamente di sinistra. E dunque quel titolo in un certo senso è giusto: essere di sinistra, questo il segreto, nella pratica, ma senza dichiararsi di sinistra. Una posizione che personalmente, non da oggi, ma da qualche anno, condivido. Iglesias e i suoi hanno compreso che presentarsi come una forza “di sinistra” limita il consenso, ti chiude in uno spazio più o meno angusto, e non ti consente di raggiungere ed eventualmente agganciare, politicamente, e dunque anche elettoralmente, tutti gli altri, che di sinistra non sono, o non sanno di essere, e comunque non intendono essere.

Sta proprio qui, ritengo, il primo segreto della rapidissima, imprevista affermazione di Podemos. E nell’agile ricostruzione dei due autori emerge chiaramente, anche per differenza rispetto al Movimento 5 Stelle a cui quello spagnolo viene correntemente accostato. Se effettivamente M5S si colloca in uno spazio ideologico confuso, Podemos è davvero un movimento “di sinistra”, negli obiettivi, nelle parole d’ordine, e nello stesso retroterra sociale e culturale: non a caso è figlio degli “indignati”, e da quel movimento ha raccolto il testimone, e ha trasformato l’indignazione in compiuta azione politica, lasciando cadere gli estremismi anti-istituzionali. E anzi, decidendo di entrare nelle istituzioni, con successo: non solo l’esito insperato delle Europee (8% dei suffragi, e 5 seggi a Bruxelles), ma i sondaggi odierni che danno Podemos al 25%, come dire la prima forza politica spagnola. Tutto questo – incredibile a dirsi - in meno di un anno.

Pucciarelli e Russo Spena provano, correttamente, a interrogarsi sulle cause di tale successo, insistendo sul carattere di una politica del nuovo millennio, che vuol dire anche sul carattere di una sinistra del XXI secolo (se vogliamo essere un po’ meno ambiziosi sul lungo termine). Una politica che per questo movimento come per i Cinque Stelle (ma aggiungasi, Forza Italia, e anche il “nuovo” PD) è comunicazione prima di tutto, marketing elettorale, strategia di presenza/assenza, leaderismo: non sarebbe neppure pensabile non solo il successo, ma la nascita stessa del movimento, senza la figura carismatica di Pablo Iglesias Turrión, detto el coleta (“il codino”, dalla foggia con cui tiene fin da ragazzo i capelli annodati). Già militante nella Gioventù comunista (differenza non da poco, rispetto a un Grillo o un Casaleggio, evidentemente), Pablo si costruisce una doppia fisionomia, di intrattenitore televisivo e studioso accademico: tra l’altro ha trascorso un anno all’ateneo di Padova, città dove ha conosciuto e stabilito rapporti con Luca Casarini.

Oggi ha solo 36 anni, ma sembra aver già vissuto molte vite, fra lo studio, la piazza, la televisione, la Rete. L’ultima è il ruolo di eurodeputato, appena avviato nel Parlamento europeo, dopo una travolgente campagna che nel simbolo del movimento ha posto semplicemente la faccia del ragazzo con i lunghi capelli a coda. Pare che tanti elettori semplicemente andassero al seggio per votare el coleta, più che i punti programmatici del suo movimento. A Bruxelles, Iglesias non sembra voglia fare sconti a nessuno, e a differenza dei Cinque Stelle, finiti in un solo gruppo con il razzista xenofobo Farage, ha collocato senza esitazioni Podemos nel GUE, il raggruppamento della sinistra.

Del resto i suoi riferimenti teorici, da Gramsci a Laclau, da Toni Negri a Zizek, sono univocamente “di sinistra”: cambia il referente sociale, che non è più il classico proletariato, ma “la gente”, quel 99%, nell’analisi forse sommaria, ma efficace di Iglesias, costituito dalle vittime contro l’1%, che sono i carnefici, ossia i padroni del mondo, i super-ricchi, coloro che decidono i destini dell’umanità e del Pianeta Terra. E oggi a quanto pare, via via che Podemos si organizza, cresce la paura proprio nel cuore dei “poteri forti”, ossia il sistema bancario e l’élite finanziaria: è il “partito che fa tremare la Spagna”, titolava un foglio elettronico qualche mese fa. In effetti il programma è inquietante per lor signori, gli “squali”: lotta contro la corruzione, nazionalizzazioni, diritti fondamentali garantiti per tutti (casa, sanità, istruzione, ricerca…; ma anche dignità per i carcerati e gli immigrati, lontanissimo dunque dalle pulsioni oscure di un Grillo), e quant’altro, nella convinzione che solo un potere diffuso, dal basso, possa cambiare le cose veramente.

Riusciranno i nostri eroi a farcela? Gli autori del saggio sono prudenti, sia constatando il gigionismo del leader, una sorta di “incantatore di serpenti”, sia accennando alle interne divisioni del movimento; ma non sono scettici, e testimoniano comunque, con queste pagine, la loro attenzione a un movimento che merita la nostra attenzione.

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