mercoledì 24 dicembre 2014

Il bene non è quello dei buoni sentimenti. Riflessione sul Natale.

Corrado Ocone HeadshotIl Natale è la più importante ricorrenza nel calendario cristiano. E lo è quindi, già per questa sola circostanza, in quello occidentale.

Filosofo, liberale
Eppure, a ben vedere, l'Occidente, generatosi dalla radice ebraico-cristiana, ha sempre al proprio centro, come propria essenza, ogni giorno e non solo il 25 dicembre, il concetto della nascita o natività. Senza di esso semplicemente non sarebbe. Lo ha anche quando in esso predominano le forme del laicismo o del multiculturalismo, dell'irreligiosità o dell'ateismo. Non c'è Occidente senza movimento, progresso (ma ovviamente si può anche tornare indietro), senza la capacità di innovare e autorinnovarsi, di mettere al mondo sempre nuove forme di essere e di far continuamente nascere a nuova vita se stessi e la realtà.
In questo senso, centrale è anche nel nostro nostro mondo l'idea di futuro, che ha anche un peso non indifferente nell'altra festività cristiana, la Pasqua, soprattutto per le idee di speranza e salvezza in essa presenti. Certo, queste idee, in sé prese, sono anche pericolose. Nello stesso senso in cui lo è anche l'idea di nascita quando si propone un cambiamento totale dell'uomo e della realtà e non semplicemente parziale e sempre imperfetto e precario.

Le utopie novecentesche, con la loro scia di sangue, stanno ancora a dimostrarci la pericolosità e disumanità per l'uomo di pensare in grande. Perfettamente inseriti nell'orizzonte di senso della nostra civiltà, "barbarici" solo metaforicamente, i totalitarismi sono stati come un'esagerazione, portata al parossismo e all'estremo, dell'idea di natività: della capacità che Dio ha dato agli uomini, e che essi condividono con lui, di far nascere il nuovo. Ma questa capacità per il cristianesimo si esplica non tanto con concetti astratti, ma con le azioni e la carità concrete, con l'amore.
L'amore, in quest'ottica, non è il generico amore per l'umanità degli "umanitaristi" e dei "sacerdoti del bene", di cui è opportuno sempre diffidare. È, invece, appunto, sempre amore per qualche persona concreta e in un concreto rapporto. La stessa capacità di far nascere nuove forme e di contribuire alla continua trasformazione dell'essere ci è possibile, e va anzi desiderata, ma sempre limitandola ai ristretti ambiti in cui ci è dato operare. L'uomo è come Dio, ha una scintilla di esso, ma non può farsi Dio.
È per questo che l'astrattezza insita nelle retoriche dei buoni sentimenti, dei diritti umani, della giustizia e del bene che non guardano in faccia nessuno pur di realizzarsi, suonano non solo false ed ipocrite. Ma, correttamente intese, sono anche pericolose. Soprattutto se trasposte in ambito sociale. L'amore che si deve dare al prossimo, e a cui ci richiama il Cristo nato a Betlemme, si esplica nella semplicità e spontaneità di un rapporto vero, fosse anche solo nella forza di un sorriso. Non certo nella ostentazione di un buonismo di maniera, o nella vanagloria dell' "impegno" e delle "politiche umanitarie".
Fare bene ciò che si fa, stare attenti alle conseguenze dei propri atti, non prestar fede a chi vuol farci pensare e agire con la propria testa, richiamarci sempre e solo alla nostra "coscienza", accettare e anzi amare l'imperfezione del mondo e degli altri in spirito cristiano, non giudicare e non ergersi a moralisti, vivere con gioia la vita che ci è data e che comunque possiamo far rinascere in ogni istante: tutto questo è cristiano.
Non lo sono certo, almeno non nel senso positivo del termine, i sentimenti che hanno più corso oggi in Italia: l'indignazione, l'invidia sociale, l'insoddisfazione e la frustrazione esistenziale, il moralismo ipocrita che vede il male solo negli altri, la politicizzazione integrale seppur soft di ogni ambito di vita. Se questo Natale sortirà l'effetto di richiamarci a una concezione più umana e prosaica della realtà, meno soggetta agli idoli del presente e del potere, sarà stato davvero un buon Natale. Auguri!

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