venerdì 26 dicembre 2014

Con questo jobs act completa libertà di licenziare. Renzi segue l'agenda della troika.

  Purtroppo, i primi due decreti attuativi della Delega Lavoro confermano l'obiettivo vero dell'intervento: ulteriore svalutazione del lavoro, data l'impossibilità di svalutare la moneta, per puntare illusoriamente a crescere via export. Insomma, un'altra tappa del mercantilismo liberista raccomandato dalla Troika. Vediamo perché. Entriamo nel merito.

Il provvedimento nasce all'insegna del contrasto alla precarietà. Ma è evidente che i precari sono tirati in campo strumentalmente per colpire chi nell'universo del lavoro non è ancora così arretrato e resiste alla riduzione delle retribuzioni e all'inasprimento delle condizioni di lavoro. Le decine di tipologie di contratti precari rimangono tutte, compresi co.co.co e co.co.pro. La sbandierata estensione degli ammortizzatori sociali alla platea degli esclusi non c'è. Non ci poteva essere, dato che la Legge di Stabilità non ha individuato risorse aggiuntive. Quindi, inevitabilmente, si ripropongono le norme della Legge Fornero con qualche ritocco al margine.

Il Nuovo Aspi ha una durata più lunga dell'Aspi, 18 mesi anziché 12, soltanto per chi perde il lavoro dipendente prima di 55 anni, ma è di importo inferiore rispetto a quanto oggi in vigore e scende a circa 400 euro al mese nel semestre finale: maggiore durata e minore importo si compensano per i più "fortunati", gli altri ci perdono. Il Nuovo "mini-Aspi" e il sostegno al reddito per co.co.co e co.co.pro ricalcano sostanzialmente quanto già in vigore (la lump sum viene rateizzata), mentre le Partite Iva individuali subiscono, oltre al danno inferto dalla Legge di Stabilità (innalzamento dei contributi previdenziali dal 28 al 33% e restrizione delle condizioni di accesso al regime dei "minimi"), anche la beffa dell'esclusione dalla copertura degli ammortizzatori sociali: sono lavoratori dipendenti a fini previdenziali, ma autonomi per il sostegno al reddito.
Il "Contratto di Ricollocazione", celebrato durante la conferenza stampa del Premier come lo strumento per la "presa in carico" della persona che ha perso il lavoro e presunto bilanciamento della libertà di licenziamento attribuita all'impresa, è la riproposizione di quanto introdotto dal Governo Letta senza un euro di risorse aggiuntive e nel caos dei servizi per l'impiego delle Province. Infine, l' "Asdi", l'Assegno di Disoccupazione, l'intervento di carattere fiscale di circa 300 euro al mese (il 75% dell'ultimo Naspi) per 6 mesi previsto per i disoccupati poveri dopo l'esaurimento del periodo nel Naspi, è la ridenominazione di quanto già in vigore come "Sostegno all'Inclusione Attiva", la cui dotazione viene integrata di 300 milioni, solo per il 2015.
Il vero "valore aggiunto" della Legge Delega e dei Decreti sta nella attribuzione di completa libertà di licenziamento alle imprese. Anche quando un giudice rilevasse l'insussistenza di ragioni economiche per il licenziamento, si perde il diritto al reintegro e si ricevono due mensilità per anno di occupazione. La celebrata "concessione" sul reintegro per i licenziamenti disciplinari si rivela un guscio vuoto. Da un lato, nessuna impresa rischia la strada del "disciplinare" quando l'"economico" è senza rischio di reintegro. Dall'altro, dimenticate le tipologie di licenziamenti disciplinari evocate nell'ordine del giorno approvato dalla Direzione Nazionale del Pd, considerare il reintegro soltanto in caso di "insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore" insieme alla esplicita esclusione del principio di proporzionalità, equivale a un canale puramente virtuale: anche per un fatto disciplinare minimale, la sproporzione del licenziamento come misura sanzionatoria non può essere annullata dal giudice.
Insomma, come da impostazione della Delega "a costo zero", nei decreti pre-natalizi la parte di riduzione della precarietà e di estensione del sostegno al reddito e all'occupazione è inesistente, mentre la libertà di licenziamento attribuita all'impresa è effettiva e ampia. Il governo Renzi sul lavoro segue l'agenda della Troika, dei conservatori e dei liberisti europei: si indebolisce ancor di più la capacità negoziale e, conseguentemente, la retribuzione del lavoro subordinato. Dovevamo andare in Danimarca, ci accodiamo a Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna. Non è una "rivoluzione copernicana". È una "rivoluzione conservatrice". È certamente un grande cambiamento, ma regressivo. È una strada iniqua e recessiva che, nel quadro di una Legge di Stabilità restrittiva, consolida uno scenario di stagnazione, disoccupazione e debito pubblico insostenibile.
Proposito per il nuovo anno: intensifichiamo l'impegno, anche attraverso la partecipazione diretta dei cittadini, per correggere la rotta, per una politica economica di sviluppo, rivalutazione del lavoro e della dignità della persona che lavora.

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