Nelle fondazioni, nelle agenzie
governative, nelle lobby si genera una “tossina” (o una droga) – così la
descrive un giornalista, qui osservatore per il “Washington Post” – che
entro i prossimi vent’anni avrà creato una distanza incolmabile tra le
due superpotenze. Come avviene per la deriva dei continenti, che ogni
anno scivolano di pochi metri sulle placche tettoniche: tempo qualche
milione di anni, e saranno separati da un mare immensurabile.
– In che cosa trova utili questi paragoni con la geologia? Come
immaginare in termini politici il formarsi di catene montuose generato
dall’urto tra continenti? – È soltanto un paragone.
– Come poco
fa, quando parlava di tossine e droghe. Anche in quel caso, un semplice
paragone. Ma dove sono gli elementi chimici, i batteri quando si parla
di politica? – Il paragone era mal scelto. Eppure i paragoni sono
necessari, quali che siano. In questo caso mi limito a descrivere
l’attività praticata da un singolo individuo, quella con cui si guadagna
da vivere.
L’esperto di questioni cinesi, di cui si è parlato,
siede su un divano nel foyer della grande sala congressi. Da lì, i
colleghi defluiscono attraverso il foyer diretti alla lobby dell’hotel,
quindi risalgono la corrente in senso inverso. Intorno all’esperto di
cose cinesi si affollano in molti: ciascuno è interessato a sottoporgli
la propria istanza. L’esperto non ha più bisogno di farsi da presso a un
gruppo di potenti aspettando il proprio turno per prendere la parola,
come agli inizi. Adesso, sono i potenti a venire da lui cercando di
accaparrarsi la sua attenzione anche solo per quei pochi minuti.
L’esperto ha occhi castani, espressivi, i tratti del viso distesi. Dal
suo atteggiamento non traspare alcuna aggressività.
– Se ho ben capito, è un lobbista. – Vive di quello. –
Il suo lavoro consiste nell’affermare pubblicamente qualcosa che
avvelena i rapporti tra Usa e Cina. L’informazione tossica viene
registrata, senza che egli faccia pressione, nei file delle agenzie di
stampa, e lì s’accumula. Ogni volta che ha luogo un incidente, le
tossine aumentano. – A partire di lì prende a esistere una “nuova
realtà”. E nell’opinione pubblica si forma un nuovo modo di vedere le
cose, che favorisce un progetto di alto profilo. – Insomma, un investimento che scommette sul conflitto tra Cina e Usa di qui a vent’anni? – Esattamente. L’uomo vive di questo. – Il modo in cui si guadagna da vivere non costituisce reato. – Ma costituisce un’ignominia. –
Niente di ciò che lui fa ricorda l’animale predatore quale si trova in
natura. Perché lei parla di “predatore moderno”? Noi esseri umani
discendiamo dai predatori? – Gli esseri umani sono tra i predatori meglio riusciti. –
Eppure nulla di quel lobbista ricorda un predatore. Non dilania alcuna
preda. Non vedo segni di ingordigia nei suoi gesti. Anzi, credo che, se
fosse lobbista o fellow di qualche fondazione, non avrebbe la minima
chance mostrandosi in veste di predatore. – Non si maschera. Non agita le mani, lo vede? Vede come parla? – Risponde forse con un morso quand’è aggredito? – Non credo. La sua specialità consiste nel creare legami. Lui “agevola”. – Si dice che gli animali predatori uccidano per incorporare la preda? –
Non così il predatore “moderno”, lui no. Lui modifica
impercettibilmente i “rapporti di realtà”. Di lì a poco ci si accorge
che si è depositata una “traccia di notizie”. È conseguenza dei rapporti
reali o l’ha disposto lui? Non è dato saperlo. – Che ne è della pista da lui aperta, nel momento in cui non serve più? – Lui per primo non ne ha più bisogno se il contatto lobbistico ha avuto successo. A quel punto, non se ne cura più. – La traccia rimane? – Rimane attiva. A partire da una certa concentrazione, informazioni e notizie vivono in modo autonomo. – Allora, la cosa più pericolosa di questi “predatori moderni” è la trascuratezza, non l’impulso aggressivo? – Perché dovrebbe aggredire? – Per eliminare qualcuno? – Troppa fatica. Se incontra resistenza, il lobbista segue altre vie. È mobile.
L’uomo
in tweed è fermo, seduto sul divano di fronte alla cerchia dei
questuanti. Da poco ha superato, senza riportarne danno, un momento di
crisi nella carriera. Lui, ispiratore di un odio a venire tra Repubblica
popolare e Usa, ha intascato il cospicuo compenso offertogli dalla
Repubblica popolare per una consulenza. Per questo ha dovuto abbandonare
l’influente posizione di presidente di un organo direttivo. Libero di
quell’incarico, è più potente di prima. Nel frattempo, i suoi
interessi sono migrati verso il Vicino Oriente. I suoi servigi sono
stati richiesti da una ditta interessata a strutture industriali in
ambito militare, presenti in Turchia, nel presupposto che a lungo
termine la Turchia muoverà un’offensiva nei confronti dell’Iran oppure
della cintura di nazioni nella parte più meridionale della Csi. Per
diversi mesi l’uomo ha soggiornato a Istanbul. Quando si parla di
animali da preda, continua il giornalista che segue i lavori del
congresso per conto di sei diverse testate, si parte dalle
caratteristiche che li connotano. Il ghepardo raggiunge la massima
velocità in brevissimo tempo, ma subito gli manca il fiato. Il morso
della tigre che azzanna la preda alla gola ne fa scaturire un fiotto di
sangue che zampilla direttamente tra le fauci del cacciatore famelico,
quasi già snervato, inducendo in lui lo stimolo estremo a dilaniare
finalmente la preda. Sono, tutte, forme di adattamento dovute
all’evoluzione, che nulla dicono della predisposizione dell’animale
predatore. L’animale uomo che pratica lo sfruttamento selvaggio non
evoca in nessuno di noi il digrignar di denti degli animali da preda,
quali li conosciamo in natura o allo zoo.
– Perché, come abbiamo detto, sarebbe controproducente. –
Anche la durata dell’adattamento è diversa. In cento, forse soltanto
quarant’anni, l’evoluzione socioculturale produce un cambiamento
evidente, che nei lenti processi dell’evoluzione naturale richiederebbe
quaranta milioni di anni. Appaiono in scena mostri diversi da quelli
presenti in natura. – Ma l’uomo in tweed di cui parliamo non ha alcun tratto mostruoso. – Perché lei non tiene conto del risultato, dell’azione che esercita. – Vuole dire ciò che mette in moto e lascia sedimentare? – I tratti del viso sono delicati, ricorda Saint Just, il temibile rivoluzionario del 1794. – Si dice che avesse un volto angelico? – Giovanissimo, ricco di futuro. – E già “moderno predatore”? –
Sul nascere. Poiché le conseguenze del suo agire non sono mai
proporzionate all’irrilevanza del suo intervento. Aggrotta la fronte, e
ne segue una lunga serie di condanne a morte. Poco importa che egli lo
abbia voluto. – Lo potremmo dire ingenuo? – Ingenuo e di efficacia letale. Il giorno dopo, l’interesse di Saint Just era già ad altre cose.
Alexander Kluge |
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