mercoledì 31 dicembre 2014

La Grecia fa scoppiare le contraddizioni della finanza internazionale. Ecco perché ora la partita diventa tutta politica.


Comincia il gioco pesante sulla Grecia in vista delle elezioni del 25 gennaio. Ieri il premier Samaras ha aperto di fatto la campagna elettorale parlando di “futuro dell’Europa in gioco” e di “sicurezza e stabilità della Grecia”. 
 
controlacrisi.org fabio sebastiani
Anche a livello internazionale si moltiplicano le pressioni perché il voto politico vada ancora una volta nel senso dell’austerità sottraendo a Syriza la possibilità di costruire una svolta per il Paese. Nonostante il fatto che dai mercati dei titoli arrivino segnali non così negativi c’è chi come Fitch che in una nota, dopo aver spiegato che un compromesso potrebbe essere trovato tra un nuovo governo greco e la Troika, sottolinea come gli eventuali negoziati con un nuovo governo guidato da Tsipras potrebbero diventare “difficili e prolungati”. In questo quadro, sostiene l'agenzia di rating, il "flusso di cassa" di Atene ne soffrirebbe, considerando anche che il Paese non avrebbe accesso al mercato e che potrebbe scattare una fuga di capitali. La speculazione internazionale non cambia. E c'è chi è pronto a difendere con le "armi nucleari" i suoi interessi, facendoli passare come "intreresse comune". Ne vedremo delle belle.

Peccato che il disastro venga smentito però dai numeri che arrivano dai mercati dei titoli e anche da alcune considerazioni politiche sulla Bce. Draghi proprio in forza di una impennata politica del fronte politico anti-austerity potrebbe rompere gli indugi e addirittura anticipare il programma di QE. A fronte di un debito complessivo di circa 330 miliardi di euro, la percentuale dei titoli di Stato greci scambiati sui mercati secondari è pari al 15% del totale; di questa quota il 4% del totale sono passività a breve termine (con una vita residua inferiore ai 18 mesi).

Intanto, un segnale indiretto ma sintomatico della reale situazione economica è arrivato proprio ieri il tasso sul Btp è precipato a un nuovo minimo storico, segnalando che lo spettro Grecia non spaventa più di tanto i titoli sovrani. Il Tesoro italiano ha venduto in asta poco meno di 3 miliardi di euro di Btp a 10 anni, con un rendimento che per la prima volta è sceso sotto la soglia del 2% all'1,89% dal 2,08% del collocamento di novembre. Contemporaneamente sul mercato secondario il tasso sul decennale della Spagna calava al minimo record dell'1,58% mentre quello della Grecia volava verso il 10%. Secondo alcuni analisti "la Grecia non rappresenta più la minaccia di una volta, un Paese oggi può essere isolato, evitando che ci sia un contagio" verso gli altri Paesi periferici dell'Eurozona.

Un quadro quindi completamente diverso da quello visto all'apice della crisi nel 2011, quando Atene trascinò nel tunnel anche Irlanda, Spagna, Portogallo e Italia ed i tassi sui titoli di Stato a 10 anni di questi Paesi schizzarono oltre la soglia psicologica del 7%. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che la partita diventa ancora di più politica, legata alle decisioni dei vari governi sulla direzione da prendere. Del resto è sempre stato così, ma ora è il momento in cui le contraddizioni, tutte interne al capitalismo finanziario vengono a galla.  Nelle parole lanciate da Tsipras proprio ieri all’indirizzo di Samaras c’è un po’ la chiave di questa interpretazione. “Samaras – ha dichiarato il leader di Syriza - non ha ancora capito il motivo per cui si va a elezioni anticipate. Il governo è caduto a causa della sua politica e sotto il peso del malcontento sociale".

Il Consiglio Esecutivo della Bce ha in calendario una riunione il 22, l'Eurotower ha in programma un vertice decisivo. A quel punto, i sondaggi “ad horas” in Grecia potrebbero addirittura spostare i confini dello scontro interno. La Germania - per bocca del presidente della Bundesbank Jens Weidmann - continua a esprimere la propria opposizione, ma i dati di questi giorni, dalla contrazione dei prestiti ai privati all'inflazione negativa in Spagna, sembrano tutte 'cartucce' a disposizione di Mario Draghi e della maggioranza che sostiene il varo degli acquisti. In realtà gli analisti - come sottolineava l'ultimo rapporto di Hsbc - pensano che la decisione finale possa arrivare nella riunione di marzo, quando gli economisti dell'Eurotower diffonderanno le nuove stime macroeconomiche. Ma, se ad Atene si preannunciasse un trionfo del fronte-austerità, Draghi potrebbe accelerare sul QE per evitare conseguenze peggiori. Il varo di un QE (che implicherebbe la possibilità per la Bce di acquistare titoli di Stato) terrebbe bassi invece i rendimenti dei titoli greci, ieri intorno al 10%, e darebbe ad Atene il segnale che l'Europa è disposta a concessioni pur di non arrivare a pericolose spaccature.

In realtà, a favorire una partenza anticipata del programma di "allentamento quantitativo" potrebbero essere gli ultimi dati macroeconomici: "Sono i numeri e non la situazione di un singolo paese che sembrano favorire l'idea di una decisione per il QE nella prossima riunione dell'Eurotower" aggiungono gli esperti dei mercati finanziari. "Noi, comunque nonostante le elezioni anticipate in Grecia, continuiamo a stimare al 65% la possibilità di un varo a gennaio del QE e all'80% quella di un a scelta a marzo".
Umori, questi, registrati anche dal Finalcial Times. Il quotidiano britannico sottolinea che nell'Eurozona "quello che deve cambiare è il modo in cui i paesi sono trattati come bambini ribelli: la gente - non solo nei paesi periferici ma anche in Italia e Francia, co-fondatori dell'UE, è stanca di ricevere lezioni".
Il riferimento diretto è alla Germania che peraltro - ricordava ieri sempre il 'Financial Times' "è stata il maggiore beneficiario in tempi recenti di una cancellazione del debito", con l'accordo post-bellico di Londra del 1953 con cui gli obblighi di Berlino furono in pratica azzerati.

L'idea di un nuovo haircut sul debito di Atene insomma deve essere accettata da tutti i partner europei (e questa volta coinvolgendo anche il settore pubblico) altrimenti la Grecia non si risolleverà più: almeno fino a quando resterà nell'Euro. E lo stesso commentatore del FT, poi, invitava i politici a smetterla "di essere ciechi sul fatto che l'enorme debito pubblico dell'Eurozona non sarà mai ripagato completamente". Insomma, all’interno del Vecchio continente c’è chi ha intenzione di scendere a patti con un paese che non intende seguire più la politica lacrime e sangue imposta dalla Troika. Secondo Intesa SanPaolo, poi, “nonostante i toni apertamente anti-europeisti e le minacce proferite nel corso della campagna elettorale, - si legge in un documento della Direzione centrale Studi e Ricerche - diversi membri del partito della sinistra radicale sono intervenuti nel corso delle ultime settimane a chiarire che, pur desiderando sovvertire le misure di austerità imposte dalla Troika non intendono mettere in dubbio la partecipazione della Grecia all'euro". "Eventuali nuovi interventi di ristrutturazione, qualora attuati, sarebbero – prosegue la Direzione Studi e Ricerche - probabilmente diretti al pagamento degli interessi e dovrebbero interessare solo il debito nelle mani del settore pubblico, dal momento che i titoli già ristrutturati e ancora detenuti dai privati rappresentano una quota solo marginale del totale".

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