martedì 23 dicembre 2014

Quirinale, Napolitano nonostante le richieste, non rinvia le dimissioni oltre il 14 pensando alla tempesta di marzo.

RENZI NAPOLITANOSbaglia chi pensa che Giorgio Napolitano possa aspettare fino alla data del 23 gennaio, per consentire a Matteo Renzi di presentarsi al bilaterale italo-tedesco con Angela Merkel con un capo dello Stato in carica.

 
O che addirittura, ragionando in un’ottica tutta europea abbia deciso di aspettare il 29 gennaio, giorno in cui il Parlamento greco si riunirà per scegliere il suo presidente, col rischio – qualora come pare non si dovesse sbloccare l’impasse – di tornare di nuovo alle elezioni in un quadro di incertezza. La data ufficiosa del 14 gennaio, per le dimissioni, non è in discussione. Nel senso che il capo dello Stato potrebbe al massimo aspettare le successive 48 ore, fino alla chiusura delle borse del venerdì 16, ma non di più. Fanno sapere dal Colle che, dopo il rendiconto del premier sul semestre italiano di presidenza in Europa, ogni momento è utile.

Ed è una notizia nella misura in cui negli ultimi giorni in parecchi hanno chiesto al capo dello Stato qualche giorno in più, col pretesto degli appuntamenti internazionali, ma in verità per consentire al Senato di approvare la legge elettorale in un clima più sereno evitando un cortocircuito tra discussione parlamentare sull’Italicum e successione al Colle. Perché è su questo che tutti gli oppositori del Nazareno hanno già cominciato a tessere la loro trama per imbrigliare il premier: “Se non dà garanzie un capo dello Stato autonomo – dice un dem vicino al dossier al Senato – sulla legge elettorale lo faremo ballare”.
E chissà se anche di questo si è parlato nel corso della visita di Renzi al Quirinale, dove ufficialmente c’è stato solo uno scambio di opinioni sulla vicenda dei Marò e sugli appuntamenti di fine anno del governo, con le misure sul lavoro che saranno varate al cdm di domani. È però certo, rivelano fonti vicine al premier, che Renzi – dopo il colloquio con Napolitano – ha ben presente che le prossime settimane saranno ad alto rischio. E che lo schema immaginato – arrivare al voto d’Aula sull’Italicum prima delle votazioni sul Quirinale – potrebbe cambiare. Si spiega anche così la “cautela” di cui parlano i suoi e l’impressione che stia gestendo il dossier Quirinale “senza fretta” e soprattutto tenendo aperte le due opzioni: da un lato ha riaperto tutti i canali diplomatici con Berlusconi, dopo i contatti di sabato, ma al tempo stesso dà segnali rassicuranti alla minoranza del suo partito che chiede un profilo non solo “di garanzia”, ma “autorevole” in Italia e in Europa.
E c’è un motivo se le dimissioni di Napolitano non sono affatto rinviabili. Ed è quella preoccupazione che aleggia al Colle ma che Renzi ha respirato anche a Bruxelles, all’ultimo vertice dell’Unione. I partner europei, che considerano l’Italia ancora un osservato speciale, si aspettano una figura “credibile e riconosciuta”. E una figura credibile e riconosciuta in Europa è anche l’auspicio di Napolitano. Già, credibile e riconosciuta in Europa. E che, per parafrasare il gergo di Bersani, sappia tenere il volante ben saldo quando si dovranno affrontare le prime curve. Per questo oltre il 16 gennaio il capo dello Stato non intende rimanere. Nel timing c’è anche una scelta politica: solo così il nuovo inquilino avrà il tempo di ambientarsi, prendere dimestichezza col “volante” e tenerlo fermo nelle curve di marzo. Perché tutto dice che sarà quello il momento più complicato. In molti, negli ambienti che contano e con cui ha consuetudine Napolitano, prevedono curve complicate. E se nella lettera che il commissario Moscovici ha inviato al Parlamento c’è, nero su bianco, la certezza che l’Italia sfori il tre per cento, si capisce cosa può succedere quando la commissione europea darà le pagelle di marzo sulla legge di stabilità. Ovvero è tornato il rischio di una procedura di infrazione e quindi di una manovra correttiva. È cioè il rischio che riparta un doloroso film già visto con l’Europa che chiede aggiustamenti di conti ma anche riforme strutturali, altrettanto dolorose. Perché è vero che alcuni capitoli sono stati affrontati, a partire dal mercato del lavoro, ma è altrettanto vero che ce ne sono altri su cui l’Europa ha chiesto di usare il bisturi sia nella famosa lettera del 2011 sia in quella con la quale chiuse la procedura di infrazione a maggio 2013. A partire dal pubblico impiego, altro tasto socialmente molto sensibile.
Ecco, le curve. Napolitano è stanco di tenere il volante. E non può che limitarsi ad auspicare un nuovo, affidabile pilota. Per ora il tema della credibilità internazionale non è affatto apparso un chiodo fisso del premier, convinto che l’Italia non sia un paese a “sovranità” limitata e che il nuovo capo dello Stato debba dare il senso del cambiamento. Anche nel tenere ferma la data del 14, slegandola dalle riforme o dai vertici internazionali, c’è una pacata disillusione di Napolitano. Di consigli al giovane segretario ne ha dati tanti, parecchi anche disattesi, tutto ciò che poteva fare per tutelare la stabilità di governo lo ha fatto, anche per evitare che, come teorizzava qualche consigliere del premier più realista del re, le elezioni fossero la risposta alla tempesta di marzo, e ha pure fatto capire il profilo del successore per il bene del paese. Ora tocca al giovane Matteo dimostrare la maturità. A un certo punto, uno o ce l’ha o non ce l’ha. Non serve un giorno in più o uno in meno di permanenza al Colle.

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