Al
centro del dibattito il carbone pulito, il gas di scisto e,
soprattutto, gli affari delle solite industrie. Le recenti catastrofi
avvenute in tutto il mondo (ultima quella in Sardegna) non interessano
né ai governi né all'Europa.
ilmanifesto.it Francesco Martone* e Alberto Zoratti**
La Conferenza di Varsavia (COP19) avrebbe dovuto
scandire il negoziato verso Parigi 2015 quando andrà adottato un nuovo
accordo sulle riduzioni delle emissioni di gas-serra, per contenere
entro i due gradi l'aumento della temperatura media globale. Lo scorso
anno venne adottato il Doha Climate Gateway, escamotage per
tenere aperta una trattativa già a rischio. Polonia, Russia ed Ucraina
tentarono allora di stoppare un accordo per continuare a lucrare sulla
vendita di quote di emissione, soluzione che l'Unione Europea voleva
abbandonare per segnalare l'impegno all'effettiva riduzione delle
proprie emissioni. Che le sorti di una COP presieduta dal governo
polacco fossero nelle mani delle lobby delle imprese c'era quindi da
aspettarselo, non foss'altro per il nutrito pacchetto di multinazionali
sponsor. Che però lo stesso decidesse di remare contro nessuno poteva
immaginarlo, almeno nelle modalità. Dal sostegno ad una kermesse
parallela per il carbone pulito alla sostituzione in corso
d'opera del ministro dell'ambiente e presidente della COP con un
ministro palesemente a favore del “fracking” e dei gas di scisto, ed il
gioco è fatto. Sullo sfondo la condotta contraddittoria dell'Unione
Europea. Da un lato la commissaria al clima Connie Hedegaard ha fatto la
voce grossa contro i sabotatori della lotta al cambiamento climatico.
Dall'altro prevale il nuovo approccio suggellato nel Consiglio Europeo
di giugno scorso, quando - cedendo alle lobby industriali - il
Presidente della Commissione Barroso impose l'abbandono di un approccio
alla mitigazione dei cambiamenti climatici e di un'equa transizione
ecologica, privilegiando l'accesso per le imprese a fonti energetiche endogene ed a basso costo, quali carbone pulito e gas di scisto.
I tentativi della Hedegaard poco possono contro il muro alzato dai Commissari che contano (del commercio e mercato interno in primis), che rappresentano gli interessi dell'industria.
Questa è oggi l'Europa: un attore globale incapace
di parlare ad una sola voce, nella sua proiezione esterna, e tanto meno
al suo interno. Un'incoerenza che si ripeterà a dicembre a Bali, quando
la Ministeriale della WTO tenterà di resuscitare il Doha Development Round proponendo ricette liberiste socialmente ed ecologicamente insostenibili.
Questa è la posta in gioco per il premier Enrico Letta nel semestre di presidenza dell'Unione nel 2014, tappa chiave nella roadmap verso un accordo sul clima nel 2015 che entrerà in vigore nel 2020. Date che confermano come la realpolitik
delle COP neghi un''evidenza fatta di catastrofi nelle Filippine, negli
States come nella nostra Sardegna. Contraddicendo inoltre la scienza
ed i dati dell'IPCC che confermano l'urgenza di stabilizzare la
temperatura globale riducendo le emissioni già dal prossimo anno.
Conferenza del carbone e del carbonio quindi, e
non della finanza per il clima, come invece si diede ad intendere, nel
tentativo di accattivarsi il sostegno dei G77 e dei paesi impoveriti.
Nessun impegno per risarcire i danni causati da eventi estremi, qualcosa
dalla Germania per il Fondo Verde per il Clima, e pochi soldi sul
tavolo sufficienti a salvare il Fondo sull'Adattamento e lanciare un
programma sulla foreste, chiamato Paesaggi Sostenibili.
Banca Mondiale, Norvegia, Stati Uniti e Germania
vorrebbero così tenere assieme tutela delle foreste, biodiversità, lotta
alla povertà, diritto al cibo e greenwashing delle
multinazionali. Che potranno creare nuovi mercati e avvantaggiarsi di
false soluzioni quali il commercio di permessi di emissione di carbonio
dalla tutela delle foreste o la compensazione delle proprie emissioni su
terre altrui. Terre minacciate dal land grabbing, inaridite dai cambiamenti climatici, sfruttate fino allo sfinimento dall'agribusiness.
La terra potrebe diventare leitmotiv sul clima e non solo, basti pensare alla Conferenza ONU sulla lotta alla povertà del 2015, o all'Expo di Milano.
La vera sfida sarà allora quella di mettere sul
serio al centro la giustizia climatica, sociale ed ecologica, ed il
protagonismo delle comunità locali, indigene, e contadine, e dei
movimenti sociali che già da ora praticano dal basso modelli alternativi
di produzione e cura del territorio. Gli stessi che hanno abbandonato
giorni fa in segno di protesta lo stadio di Varsavia dove i governi
facevano melina.
* Responsabile esteri Sinistra Ecologia Libertà
** Presidente Fairwatch
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